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Tecnologia

Ok, i gamer italiani si stanno scannando per una pubblicità di Unieuro

Un meme uscito male o uno scontro generazionale?
Giulia Trincardi
Milan, IT

Domenica scorsa, la catena di negozi di elettronica Unieuro ha pubblicato sulla sua pagina Facebook un post che invitava i giocatori ad acquistare scontato presso le loro sedi il gioco Detroit: Become Human — sviluppato da Quantic Dream e pubblicato di recentissimo da Sony per PlayStation 4.

Nell’immagine del post campeggia la frase “Quando finalmente hai comprato Detroit e sei pronto per una domenica di PS4, ma la tua ragazza ti chiede di andare a fare shopping con lei”, con sotto personaggio che si emo-disintegra in pieno stile giorno del giudizio di Thanos (suppongo, a suggerire l’infelicità devastante del giocatore costretto a fare qualsiasi altra cosa che non sia giocare), e il commento aggiunto: “È ora di ridefinire le priorità… a chi serve una ragazza?”

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Nel settore non sono tardate le reazioni di critica, mentre sotto il post si sono in fretta accumulate decine commenti, tra chi — ehi — sottolinea che sia vagamente sessista suggerire che le “fidanzate” fanno shopping, mentre i giocatori interessati a Detroit: Become Human sono tutti maschi eterosessuali, chi (per lo più ragazze) si difende ciecamente rivendicando il proprio amore per i videogiochi, e chi trova il meme effettivamente divertente e ride. Ok.

Lasciate che sia chiara: messaggi del genere non vanno bene, perché reiterano una serie di stereotipi tossici — per cui le donne non giocano e se giocano sono incapaci o lo fanno per secondi fini —, che nel mondo dei videogiochi hanno fatto (e fanno tutt’ora, costantemente) danni sproporzionati. Sì, anche qualora intesi solo “per scherzo.”

Allo stesso tempo, reagire a un post del genere sentendosi in dovere di provare a un negozio di elettronica (e a un branco di sconosciuti) che anche le donne giocano ai videogiochi, è quasi più snervante. Non dovrebbe essere necessario. Nessuna giocatrice dovrebbe dover giustificare il proprio status, dimostrare niente a nessuno, o ricevere commenti in risposta come se fosse una specie di prezioso animale mitologico. Perché, in questo modo, si rischia di assecondare l’idea che le donne che giocano debbano ancora (e solo) farsi avanti nella comunità per essere considerate. Mentre siamo qui da un bel pezzo — a goderci l'aria che tira, che fa notoriamente abbastanza schifo.

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Nel 2018, il post di Unieuro è soprattutto una battuta mal riuscita. Certo, il messaggio che reitera è sbagliato, potenzialmente pericoloso (nella misura in cui non si discosta da una visione del mondo del gaming che legittima il clima di pregiudizi e abusi nei confronti delle giocatrici) ma è, soprattutto, vecchio e infelice. Come la battuta di un comico scongelato dagli anni Cinquanta.

In questo senso, pensandoci, un post del genere è una sorta di capsula temporale che permette di fare un doveroso reality-check a chiunque pensi che il mondo del gaming possa prima o poi evolversi verso spiagge migliori. È una specie di Twilight Zone in cui il sessismo “ironico” funziona, anzi: è una figata. È lo specchio di una comunità tipo il film The Village che crede che restare attaccati a certi “principi” e negare l’esistenza del mondo esterno in evoluzione sia decisamente più auspicabile che, non so, godere dei vantaggi della penicillina. Una finestra su un dibattito sempre uguale e su una mentalità per cui — non importa quante volte alziamo gli occhi al cielo — il sessismo nel mondo dei videogiochi fa ancora mega ridere.

Ah ah.

Ah.

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