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Ma di quale vittoria parla Salvini?

Di quale “vittoria” con la Aquarius parla il nuovo ministro dell’interno? Di quale vittoria si stanno vantando i suoi compagni di governo?
Leonardo Bianchi
Rome, IT
Grab via Twitter.

Meglio dirlo subito, tanto per sgomberare ogni equivoco: la decisione di chiudere i porti italiani alla nave Aquarius della Ong Sos Mediterranée è stata ampiamente preparata da oltre un anno di campagna mediatica dai toni spasmodici, di dichiarazioni ai limiti della calunnia, di inchieste che non hanno portato a nulla se non a infilare tonnellate di fango nel ventilatore, di teorie del complotto su ricchi finanzieri ebrei che tramano per “invadere” l’Italia, di “codici di condotta” e di politiche concrete implementate dal precedente governo.

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Matteo Salvini, come sappiamo, è stato in prima linea in questa caccia alle streghe; ha sempre promesso che avrebbe fatto piazza pulita, ha sempre considerato le Ong alla stregua degli scafisti, ha sempre sempre evocato l’immagine di blocchi navali, e non appena ha avuto il potere di fare qualcosa, l’ha fatto senza indugi—trascinandosi dietro il M5S, che sul tema dell’immigrazione è sempre stato ambiguo nel migliore dei casi, e convintamente schierato su posizione di destra nella normalità.

E così, non appena il governo spagnolo ha annunciato la disponibilità a far attraccare l’Aquarius in Spagna, il nuovo ministro dell’interno ha potuto rivendicare il primo “risultato” dell’esecutivo giallo-verde. “VITTORIA!,” ha scritto Salvini su Facebook. “Non sta scritto da nessuna parte che gli immigrati debbano sbarcare tutti, e sempre, in Italia. Stiamo facendo di più noi in una settimana che la sinistra in sette anni :D”

Ma esattamente, di quale “vittoria” parla il nuovo ministro dell’interno? Di quale vittoria si stanno vantando i suoi compagni di governo?

Mentre scrivo, infatti, il destino dell’Aquarius è ancora incerto. Se secondo gli ultimi aggiornamenti le persone a bordo dell'Aquarius verranno trasferite su navi italiane e condotte a Valencia, lo stallo ha generato ulteriore caos e aggravato la situazione.

“Le persone a bordo hanno problemi di disidratazione, di ustioni da carburante e infine c’è un ragazzo che ha bisogno di un intervento chirurgico,” ha spiegato a Internazionale il volontario Alessandro Porro. “Per ora non ci sono ancora state tensioni, ma la situazione non è facile, ci stiamo facendo aiutare dagli stessi migranti per le pulizie.”

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Medici Senza Frontiere, su Twitter, ha raccontato che “un uomo ha minacciato di buttarsi in mare dicendo di aver paura di essere riportato in Libia.” E nonostante un rifornimento arrivato da Malta, i viveri scarseggiano: Sos Mediterranée ha affermato che le scorte bastano solo per un altro giorno. Insomma, le condizioni non sono affatto “buone,” come aveva detto il ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli.

Sotto questo aspetto, pertanto, non si può fare a meno di notare la ributtante strumentalità che trasuda da questa operazione, che diventa ancora più insopportabile se si ascolta la propaganda trionfale dell’esecutivo. Sì, è vero: Malta ha un atteggiamento a dir poco negligente sull’immigrazione; però si tratta anche di una piccola isola-Stato, non attrezzata a pattugliare la sua (ingiustificatamente) immensa zona Sar, né a garantire un’adeguata accoglienza. In questo caso, poi, non avrebbe nemmeno avuto la responsabilità dei soccorsi, visto che il salvataggio è avvenuto nella Sar libica.

Ingaggiare un braccio di ferro con Malta è inoltre molto rischioso; e a volte ha portato a conseguenze letali. Nell’ottobre del 2013, ad esempio, i rimpalli di responsabilità tra i due stati (che ora sono oggetto di un procedimento penale) hanno portato al naufragio in cui sono morti 268 migranti, compresi 60 bambini. Quella strage, tra l’altro, ha spinto l’allora governo Letta a inaugurare la missione Mare Nostrum.

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Quanto successo con l’Aquarius, invece, potenzialmente poteva configurarsi come un respingimento collettivo vietato dalle convenzioni internazionali. Purtroppo, non è nulla di nuovo: siamo già passati per questa strada e siamo già stati condannati dalla Corte europea per i diritti dell’uomo. Il “governo del cambiamento,” dunque, sull’immigrazione non fa altro che riproporre vecchie formule leghiste.

Quello che è effettivamente cambiato, d’altro canto, è il contesto intorno all’Italia; cioè quello europeo. In peggio, ovviamente. Perché sarebbe estremamente miope non accorgersi di come le istituzioni europee abbiano spianato la strada a “soluzioni” di questo genere.

Come spiega Daniel Howden, senior editor del sito Refugees Deeply, negli ultimi anni le politiche migratorie dell’UE si sono focalizzate quasi esclusivamente sul controllo degli arrivi via mare, nella convinzione che questo avrebbe rafforzato il “centro” o i partiti “tradizionali.”

Si è così deciso di calpestare diritti umani e leggi internazionali, preferendo una serie di oscuri accordi con le milizie libiche, o pagando trafficanti per travestirsi da agenti della guardia costiera—e viceversa. Il ragionamento, prosegue Howden, è che gli elettori avrebbero “perdonato” questi abusi in cambio di frontiere più blindate. Ma l’Italia, come la Grecia, non potrà mai blindare del tutto le sue frontiere; e il meccanismo di Dublino III (secondo cui il paese di primo ingresso deve prendersi carico della domanda di asilo del migrante) è comunque iniquo e penalizzante.

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A tal proposito, Salvini—insieme al premier ungherese Victor Orbán e quello austriaco Sebastian Kurtz, suoi alleati e modelli di riferimento—sa perfettamente che di fronte all’immigrazione, l’UE non ha valide risposte da offrire. La settimana scorsa, infatti, si è arenato il negoziato sulla riforma del regolamento di Dublino. Il cuore di quest'ultima è l’introduzione delle quote di ripartizione dei richiedenti asilo all’interno dello spazio europeo, un principio di cui si parla nell’Agenda europea sull’immigrazione elaborata nel 2015. La bozza presentata dalla Bulgaria è stata giudicata insufficiente—perché, di fatto, non supera del tutto Dublino III—e non ha trovato il consenso necessario.

Tra i contrari c’è stata anche l’Italia, che ha rotto il “fronte mediterraneo” e si è schierata per la prima volta con il “gruppo di Visegrad.” Del resto, il 4 giugno Salvini aveva detto chiaramente da che parte vuole stare: “Mi ha telefonato Orbán, e insieme a lui cambieremo le regole di questa Europa.”

E dunque, per rispondere alla domanda iniziale: politicamente può essere un'estemporanea “vittoria” interna per Salvini, che pure—come dice il vicepresidente dell'Asgi Gianfranco Schiavone—ha “giocato d’azzardo,” perché “qualunque cosa fosse successa a quella persone, la catena di comando di chi ha disposto la chiusura dei porti italiani e del soccorso ne avrebbe risposto sul piano civile e penale.”

Al contempo, si tratta dell’ennesima sconfitta per un’Europa debolissima e incapace della minima solidarietà. Una sconfitta creata da molti artefici e complici, e che stanno pagando solo i migranti e chi li soccorre in mare aperto.

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