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Tecnologia

Tim Berners-Lee ha proposto un nuovo contratto per salvare il Web

Il fatto che Facebook e Google siano prontissimi a firmarlo, però, non è un buon segno.
Riccardo Coluccini
Macerata, IT
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Nella giornata di ieri, il padre fondatore del web, Tim Berners-Lee, ha annunciato una campagna per salvare (di nuovo) la sua creazione. Ha presentato infatti una lista di principi per un nuovo “contratto per il web” il cui scopo è garantire libertà e protezione a tutti gli utenti.

Tim Berners-Lee considera questi principi come una sorta di “Magna Carta per internet” e saranno la base per il contratto vero e proprio che verrà pubblicato a maggio 2019.

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Oltre 50 organizzazioni mondiali hanno già espresso il proprio supporto per i principi del contratto. Fra queste ci sono persino Google e Facebook.

E proprio per questo motivo dovremmo riflettere sull’efficacia dell’azione di Berners-Lee: se i due maggiori esponenti del capitalismo della sorveglianza sono a favore dei principi che proponi, forse il progetto non è radicale come vorrebbe, ma rischia di diventare la migliore pubblicità per quelle stesse aziende.

Fra i principi, si richiede che le aziende garantiscano l’accesso a internet per tutti, che rispettino la privacy e i dati personali degli utenti, che sviluppino “tecnologie che supportano il meglio dell’umanità e sfidano il peggio.” Nel frattempo, i governi dovrebbero evitare di censurare e bloccare l’accesso a internet e rispettare il diritto alla privacy delle persone.

Nelle intenzioni, sono tutti principi lodevoli — ma basta guardare le notizie recenti per capire che sia Google che Facebook calpestano sistematicamente e volutamente da anni questi stessi principi.

Se i due maggiori esponenti del capitalismo della sorveglianza sono a favore dei principi che proponi, forse il progetto non è radicale come vorrebbe

Google sta lavorando segretamente ad un progetto — dal nome in codice Dragonfly — per reintrodurre il suo motore di ricerca in Cina (finora censurato) e ha cercato in tutti i modi di bloccare la fuga di notizie e negare lo stato di avanzamento del piano. Il motore di ricerca prevede una blacklist di contenuti da censurare e bloccare oltre a collegare l’identità dell’utente al proprio numero di cellulare. I dipendenti di Google stanno protestando duramente contro Google ed è solo grazie alle informazioni fornite da alcuni di loro che i media hanno potuto svelare il progetto.

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Facebook, dopo aver superato il fuoco incrociato delle interrogazioni parlamentari sui due lati dell’oceano atlantico per lo scandalo di Cambridge Analytica, è stato recentemente vittima di un attacco informatico che ha sottratto i dati personali di oltre 30 milioni di utenti — fra cui numero di telefono, mail, pagine seguite e luoghi visitati.

Inoltre, sempre nella giornata di ieri, Facebook ha pubblicato un report svolto da alcuni ricercatori indipendenti sull’impatto che il social network ha avuto sui diritti umani in Myanmar. Il risultato: Facebook non aveva fatto abbastanza per evitare che la piattaforma generasse divisioni e incitamento alla violenza offline. Persino alcuni esponenti dell’ONU avevano già sottolineato a marzo il ruolo di Facebook nel genocidio in corso in Myanmar.

Sono anni che vediamo fioccare carte dei diritti su internet — l’Italia ha introdotto la propria nel 2015, diventando così il primo stato europeo ad averne una. Gli articoli lì inclusi sono meravigliosi — ma purtroppo solo sulla carta. Non siamo stati in grado di trasformarli effettivamente in strumenti di garanzia e applicarli come si dovrebbe: abbiamo una legge che permette la conservazione dei tabulati telefonici per 6 anni, sono stati presentati disegni di legge che vogliono contrastare l’anonimato come fossimo in Cina, AGCOM può bloccare i siti che violano il diritto d’autore senza che vi sia effettivamente un processo, abbiamo offerte telefoniche che violano la net neutrality ma nessuno fa nulla, e uno dei due partiti al governo propone un sistema di voto elettronico in cui non ci sono garanzie per la sicurezza dei dati dei cittadini.

Tutte queste violazioni di principi e intenti ci riportano quindi alla Magna Carta proposta da Tim Berners-Lee: se continuiamo a proporre sani principi che non sfidano né richiedono sforzi pratici tanto alle aziende quanto ai governi, allora vuol dire che abbiamo abbassato troppo l’asticella. Vuol dire che ci siamo accontentati di portare un messaggio tanto distensivo e rassicurante quanto concretamente inutile. Se continuiamo a offrire modi alle aziende e ai governi di mostrare come siano dalla parte dei diritti solo nei proclami, allora abbiamo sbagliato tutto.

Abbiamo bisogno di proposte radicali e che inchiodino tutti di fronte ai propri doveri, altrimenti offriamo solo la possibilità ai titani del capitalismo della sorveglianza di fare l’ennesimo tour di scuse.