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Tecnologia

Stiamo già violando il primo codice etico per la realtà virtuale

Raramente alle nuove tecnologie è permesso di rimanere moralmente ambigue a lungo.
Immagine: Medical Realities

Sembra destino che ogni nuova tecnologia sia seguita a ruota da un'inevitabile delirio legislativo per sancirne l'uso proprio e quello improprio. Che sia la fissione nucleare e la convenzione IAEA per la sicurezza nucleare, la medicina moderna e il giuramento di Ippocrate, raramente alle nuove tecnologie è permesso di rimanere moralmente ambigue a lungo.

E così non fa notizia che siano già stati mossi i primi passi in direzione di un codice etico condiviso che normi la fiorente industria della realtà virtuale (VR), che anticipa di poco il lancio commerciale di prodotti dedicati da parte di Oculus, HTC e Sony. Lo scopo del pionieristico paper pubblicato su Frontiers in Robotics and AI è proprio "presentare la prima lista di preoccupazioni etiche che potrebbero sorgere dalla ricerca e l'uso personale della realtà virtuale e le tecnologie connesse, offrendo consigli concreti per minimizzare i rischi."

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Analizzando i rischi di abitare un surrogato virtuale del proprio corpo, il codice etico scritto da Michael Madary e Thomas Metzinger, due filosofi tedeschi dell'univeristà Johannes Gutenberg di Mainz, offre un'importante contraltare all'hype riguardo i benefici clinici ed educativi della VR. Il duo di autori si concentra in particolare sui rischi cui incorrono gli utenti soggetti a potenziali "illusioni di embodiment," la sensazione di abitare un corpo diverso dal proprio (giocando nei panni di un avatar virtuale, per esempio).

"I tradizionali protocolli della psicologia sperimentale, come gurdare un film o giocare a un videogame non-immersivo non possono creare un'illusione altrettanto forte di possedere e controllare un corpo distinto dal proprio," scrivono Madary e Metzinger. "La VR è destinata a modificare radicalmente non solo l'immagine generale dell'umanità, ma anche la nostra comprensione di alcune nozioni profondamente radicate nell'esperienza, come quella di 'esperienza cosciente,' 'individualità,' 'autenticità' o 'realtà.'"

Come sottolineano i ricercatori, esiste almeno un buon motivo per essere particolarmente preoccupati circa l'influenza che avrà la realtà virtuale sul cervello umano, a differenza di medium come la televisione. Una serie di esperimenti psicologici hanno mostrato, nel tempo, una certa plasticità della mente umana e il modo in cui viene plasmata dall'ambiente circostante (si faccia riferimento all'esperimento carcerario di Stanford o gli esperimenti di Milgram riguardo l'obbendienza per alcuni riscontri particolarmente inquietanti della cosa).

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Eppure, per quanto efficaci, nessuno di questi esperimenti approssima il livello di controllo ambientale reso ipoteticamente possibile da una difussione capillare di questi sistemi di realtà virtuale.

"A differenza di altri media, la VR può creare situazioni in cui l'intero ambiente che circonda l'utente è predeterminato dagli sviluppatori del mondo virtuale," scrivono gli autori del paper. "Questo introduce la possibilità di un livello inedito di manipolazione mentale e comportamentale, specialmente dal momento in cui interessi commerciali, politici e religiosi di interessano alla creazione e alla manutenzione di questi mondi virtuali."

Come se non bastasse, alcuni esperimenti recenti mostrano che le esperienze nella realtà virtuale presentano effetti a lungo termine. Si pensi a quegli utente che hanno giocato nella VR nei panni di Superman e in seguito si sono mostrati più propensi a comportamenti altruistisci, o alle persone che hanno utilizato avatar con un colore diverso della pelle e hanno mostrato una riduzione dei propri pregiudizi razziali.

Proprio in virtù della potenzialità di produrre effetti psicologici a lungo termine sull'utente, Madary e Metzinger hanno redatto una lista in sei punti per orientare eticamente tanto la ricerca quanto l'uso commerciale della VR. Grossomodo:

1) In accordo al principio di non-danneggiamento adottato dalla associazione degli psicologi americani, è necessario assicurarsi che gli esperimenti che coinvolgono la realtà virtuale non causino danni seri o permanenti ai soggetti sperimentali.

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2) I partecipanti a esperimenti che coinvolgono la realtà virtuale dovrebbero essere informati circa gli effetti seri e duratori sul comportamento legati alla stessa e che la portata esatta di questi effetti non è ancora stata determinata con certezza.

3) I ricercatori e la stampa dovrebbero evitare di enfatizzare eccessivamente possibili benefici legati all'uso della realtà virtuale, specialmente in campo medico.

4) Essere consapevoli, per il caso della VR, delle problematiche riguardanti il doppio uso, ovvero l'uso di una tecnologia per motivi diversi dalle intenzioni originali di chi l'ha sviluppata. Gli autori, in particolare, sono preoccupati da eventuali applicazioni militari (già ampiamente sviluppate e adottate), che si tratti di un nuovo strumento di tortura o di un modo per abbassare la soglia di empatia del soldato nei confronti del nemico.

5) Adottare procedure che assicurino che la privacy dell'utente sia garantita durante l'uso di applicazioni commerciali che coinvolgono la realtà virtuale e l'intersezione tra realtà virtuale e internet. Dal momento che la realtà virtuale offre la possibilità di tracciare nuovi tipi di informazioni personali (dal movimento degli occhi al movimento dell'intero corpo nello spazio), assicurarsi che questi dati siano trattati in modo responsabile deve essere una priorità tanto dei ricercatori quando delle entità commerciali.

6) La questione della privacy è preoccupante anche in senso pubblicitario. Gli ambienti virtuali sono terreno fertile per una comunicazione particolarmente mirata, o "neuromarketing," e studi precedenti hanno mostrato i vari modi in cui le tecnologie per la VR potrebbero essere usate per influenzare significativamente il comportamento del consumatore (specialmente se le suddette tecnologie sono effettivamente sviluppate da compagnie il cui business model è largamente basato su una comunicazione commerciale mirata, come, per esempio, Facebook).

Nonostante si concentrino sui pericoli latenti della tecnologia, però, Madary e Metzinger non sono certo dei luddisti. Nel paper esplicitano di "supportare pienamente la ricerca nel settore della realtà virtuale" e di limitarsi a specificare alcune questioni etiche che dovrebbero permettere una ricerca maggiore. La loro principale preoccupazione è proprio che la ricerca si svolga in modo etico e responsabile "minimizzando il danno per il pubblico."

Per quanto il codice etico redatto da Madary e Matzinger manchi di un'autorità che possa farlo rispettare, la sua pubblicazione segna un importante primo passo per assicurarsi che il proliferare della realtà virtuale non ci conduca rapidamente in un inferno à la Matrix.

"Sempre di più, [la mente umana] non si limita a essere inquadrata culturalmente e socialmente, ma viene anche plasmata da una nicchia tecnologia che, nel tempo, ha acquisito a sua volta una dinamica autonoma e nuove proprietà," scrivono gli autori. "Questo crea una circonvoluzione complessa… in cui ogni mente biologica e la sua rispettiva nicchia tecnologica si influenzano a vicenda in modi che stiamo iniziando solo ora a comprendere. È proprio questa circonvoluzione complessa a rendere così urgente un discorso sull'etica del medium in un modo critico, basato sui fatti e razionale."

Il punto, qui, è che si assume continuamente la realtà virtuale diventerà davvero pervasiva e importante quanto promettono Zuckerberg e gli altri evangelisti. Resiste un folto contingente di scettici che ritiene la realtà virtuale una stronzata e il loro scetticismo sarà messo alla prova a breve, quando, nei prossimi messi, la tecnologia sarà sottoposta al più rigoroso test a cui possa sottoporla la società capitalistica avanzata: quello del successo commerciale.