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Danza con gli squali tigre

Hannah Fraser può trattenere il respiro per tre minuti e solleticare gli squali tigre sul naso.

All’inizio ho avuto l'impressione che questo Avatar-incontra-Lo Squalo in forma di balletto fosse più adatto alla fiancata di un van che a un video. Ma dopo qualche istante mi sono reso conto che più lo guardavo più lo trovavo stupefacente. Lasciando da parte la mia passione viscerale per l’estetica hipster, mi sono chiesto: chi è questa ragazza, e perché non indossa la muta da sub? A che profondità si trova, perché tutto è così trasparente, e soprattutto che ci fa laggiù? Quello squalo tigre ha appena tentato di azzannarle uno stivale? Ho deciso di chiamarla.

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Per farla breve si chiama Hannah Fraser, è una modella subacquea australiana che negli ultimi 12 anni si è fatta un nome nuotando con megattere, mante e diversi tipi di squali—dagli squali balena ai grandi squali bianchi—senza mai rinunciare al suo costume da sirena.

Anche se il vero obiettivo di “Tigress shark” è dimostrare che gli squali tigre non sono le belve assassine dipinte dal governo australiano per giustificarne la decimazione, Hannah Fraser non nega che sia un'attività piuttosto pericolosa. Anche se stavolta la sua squadra è riuscita a evitar il pericolo di nuotare con un predatore alfa agitandogli davanti la pinna caudale tipica delle sue prede, rimaneva il problema di danzare a quasi dieci metri di profondità nell'oceano delle Bahamas, con una visibilità limitata, niente muta, e niente aria. Ah già, dimenticavo: gli squali.

A me sono bastati i suoi racconti su Skype per entrare nel panico: quattro giorni di riprese durante i quali si è dipinta il corpo, ha trattenuto il fiato per un minuto e mezzo di seguito e ha accarezzato uno squalo sul naso. Ma devo iniziare dalle questioni di estetica.

MOTHERBOARD: Come mai ti sei dipinta il corpo? 

Hannah Fraser: Gli squali sono enormemente attratti da qualsiasi cosa rifletta la luce, soprattutto dal bianco. Tendono a puntare qualsiasi cosa assomigli a un pesce, e i pesci di cui si nutrono solitamente hanno la pancia bianca e lucida. Quindi indossare una coda era impensabile, mi avrebbero attaccata immediatamente.

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Ma la coda non è stata un problema quando hai nuotato con i grandi squali bianchi? 

È curioso, allora non avevo così tante squame attaccate alla coda. Era blu, piuttosto opaca. Le code che ho adesso sono completamente ricoperte di scaglie luccicanti, quindi diciamo che non è il caso tentare.

Con gli squali bianchi dovevo fare più attenzione a quello che indossavo, ma almeno non mi trovavo in mezzo al branco. Ce n’erano un paio che giravano introno alla barca, e io nuotavo con loro. Mi concentravo su uno solo dei due: sono predatori molto diffidenti, e se gli fai capire che li stai tenendo d'occhio, che ne controlli la posizione, difficilmente ti attaccheranno.

Ma stavolta ero in mezzo a sei tigre, con una cinquantina di squali minori tutt'attorno. Non c’era modo di interagire con i singoli esemplari, di valutare ed eventualmente anticipare ogni possibile segno di un attacco imminente. Tutto quello che potevamo fare era minimizzare il più possibile il rischio.

Questi squali sono abituati a vedere i sub, sempre vestiti di nero, quindi sapevamo che ai loro occhi sarei apparsa come un pesciolino luccicante. Specialmente le mie dita, sempre in movimento. Se non avessi indossato i guanti sarebbero sembrate davvero bianche sott'acqua, e questo avrebbe aumentato enormemente il rischio. Così ci è venuta quest'idea: se il mio corpo deve essere scuro, perché non farlo assomigliare a quello degli squali attorno a me, sarebbe stato logico anche da un punto di vista artistico. Ecco il perché del mio look da tigre.

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Mettendo insieme il costume ci siamo resi conto che assomiglio un po' a un personaggio di Avatar, ma a noi va bene. Il senso di quel film è la creazione di un legame  con il mondo naturale, e l’immagine che abbiamo inavvertitamente presentato è perfettamente in linea con il senso generale dell’opera.

Immagine: Shawn Heinrichs used with permission

Con noi ha lavorato Julia Chavez, un’artista di Hollywood che dipinge con l’aerografo. Per rientrare in acqua ogni volta occorrevano due ore e mezza di mare grosso su una barchetta instabile. Abbiamo usato talmente tanta pittura (in tutto quasi 800 dollari) che alla fine abbiamo dovuto razionarla perché la stavamo per finire, e ho dovuto dormire con la vernice addosso perché non potevo toglierla. Oltretutto ovviamente era impermeabile, e per toglierla dovevamo usare un solvente molto forte, e non avevamo tempo perché dovevamo girare, quindi dormivo un paio d’ore, mi svegliavo e ricominciavo a girare.

Alla fine sono rimasta blu tutta la settimana, limitandomi a qualche ritocco ogni volta che entravo in acqua. È stato un po’ pesante dal punto di vista fisico, ma Julia è stata insuperabile. Aveva anche mal di mare, ma è riuscita comunque a lavorare su una barca ondeggiante in mezzo a una tempesta. Piuttosto impressionante.

Tu sei laggiù, tra gli squali, e a un certo punto uno di loro si avvicina a un tuo stivale…

Non mi ricordo bene di quel momento. Ma che lo abbia sentito oppure no, ho reagito. Quando l’ho visto, ho pensato “Merda, ha puntato il mio piede!” Ma una volta in superficie non ricordo quasi niente dei momenti vissuti là sotto.

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Avrete discusso della possibilità che si avveri lo scenario peggiore? Qual è il piano? 

Siamo riusciti a evitare di parlarne. Non avremmo girato, se avessimo percepito un pericolo mortale. Ovviamente ci sono dei rischi: anche attraversare la strada ne comporta. Tutto quello che faccio sott’acqua è rischioso, ma gli animali non lo sono. Avevamo piena fiducia che il nostro equipaggiamento e la nostra preparazione ci avrebbero permesso di filmare in tutta tranquillità.

Quindi sapevamo dove trovare il kit di primo soccorso, ma sapevamo anche che se qualcosa fosse andato storto ci saremmo trovati a ore dalla costa. Un elicottero ci avrebbe messo secoli a raggiungerci. Se fosse accaduto qualcosa di grave sarei morta dissanguata prima di raggiungere la superficie, quindi in un certo senso era un rischio calcolato.

C'erano altri rischi? Ti trovavi abbastanza in profondità da doverti preoccuopare dei livelli di azoto? 

Mi trovavo a otto metri di profondità e sì, respirando aria compressa non potevo risalire troppo velocemente. In caso di incidente grave sarei stata obbligata a riemergere molto in fretta, e sarebbe stato pericoloso per la decompressione. Molto pericoloso.

Dovevo fare una pausa di cinque minuti a un paio di metri sotto la superficie. Per me è sempre una sfida, cerco sempre di spingermi al limite delle mie capacità. Così quando avvisavo di dover risalire il più delle volte erò già congelata, avevo perso una lente e non ci vedevo quasi più. Insomma volevo solo uscire dall’acqua. E invece dovevo aspettare altri cinque minuti.

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Il momento più pericoloso è quando si viene tirati fuori dall'acqua, perché gli squali possono arrivare da sotto come fanno di solito con le loro prede. Era un momento cruciale, in dovevamo stare molto attenti a non farci scambiare per foche o tartarughe.

L’ultimo giorno, per farmi una sorpresa, gli altri della squadra hanno riempito una grossa vasca di acqua calda. Una vera e propria SPA per sirene: la mia sorgente termale privata.

Immagine: Shawn Heinrichs used with permission

Quanti di voi si trovavano sott’acqua allo stesso momento? 

Sette o otto membri della squadra, più due domatori che stavano attenti che gli squali non squarciassero in due le scatole esca. In realtà non gli davamo veramente da mangiare. Avevamo queste scatole in cui mettevamo del pesce in modo che ne uscisse l'odore.  Per evitare di sconvolgere la loro dieta naturale.

Quindi in tutto eravamo circa dieci persone, me inclusa.

È fantastico come nel video non ve ne sia traccia. Non si vedono neppure le bolle. 

Continuavamo a ripeterci: “Siamo una punta di lancia. Hannah è il culmine, Sean e Jim vengono subito dopo. Tutti gli altri devono stare sempre dietro a loro.” Per cui era impossibile che entrassero nell’inquadratura, nemmeno con le bolle.

Uno dei momenti più delicati era quando il mio sommozzatore d'appoggio doveva portarmi l’aria. Aspettavo sempre fino all'ultimo prima di chiamarlo, e lui doveva arrivare il prima possibile. L'ho visto spingere via uno squalo di quasi cinque metri senza nemmeno distogliere lo sguardo da me. Niente lo poteva fermare. È stato incredibile.

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Quanto tempo sei rimasta là sotto? 

Le riprese sono durate quattro giorni. Il video dura solo un minuto e mezzo; lo abbiamo montato in modo da renderlo il più commerciale possibile.

Lavorerai ancora con gli squali? 

Mi piacerebbe; sono stati magnifici.

Che differenza c’è a lavorare, ad esempio, con i delfini? 

I delfini sono creature amichevoli, giocherellone, con cui è semplice interagire. Trasmettono energia positiva. Anche gli squali sono amichevoli e curiosi, ma bisogna tenere sempre presente che, nel caso si sentano attaccati, minacciati, o troppo interessati, al posto delle mani hanno denti affilati come dei rasoi.

Quando dici che sono amichevoli e curiosi cosa intendi? In che modo manifestano la loro personalità?

Ti vengono vicino e cercano di farsi toccare, soprattutto sul naso. Lì si trovano tutte le loro terminazioni nervose, quindi per loro deve essere un’esperienza fantastica. Tornano continuamente per farsi dare una carezza sul naso. Sembrano dei grossi cani affettuosi, quando li accarezzi ruotano gli occhi dentro la testa. È chiaro che tornano di continuo perché gli piace più che per l'odore delle esche: è come se le esche gli comunicassero che gli umani sono arrivati per accarezzarli.

Immagine: Shawn Heinrichs used with permission

Che ne pensi del risultato finale? 

Mi fa impazzire. È impressionante. Sembra tutto così grazioso e semplice. Poi penso a tutto quello che c'è dietro e mi viene da ridere.

Con cosa nuoterai la prossima volta? 

Non lo so. Come si può fare meglio di così?

Calamari giganti?

Per saperne di più sulla danza con gli squali: "How to Swim from Cuba to Florida," Motherboard's film on Diana Nyad's most epic swim