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Tecnologia

L'informazione non ci renderà immortali

L'idea che l'informazione sia 'l'anima 2.0' si sta facendo strada online, ma è solo un'illusione.
Immagine: 30000fps

Nel mondo dei blog si sta diffondendo un'idea curiosa: ovvero, che l'informazione sia la nuova anima—una sorta di anima 2.0. Un qualcosa di migliore che va oltre la pura e semplice materia. L'informazione viene concepita come qualcosa di diverso dalla materia pur essendo effettivamente reale. Questo punto di vista si sta trasformando nel sottotesto metafisico che sta dietro a molte innovazioni che rappresentano lo stato dell'arte della tecnologia e a molte idee comunemente accettate. Una visione promossa da una serie di dichiarazioni ad effetto rilasciate da intellettuali e imprenditori—l'onnipresente Elon Musk, il futurista Ray Kurzweil, imprenditori avventurosi come Martine Rothblatt—per non parlare dell'impatto che ha esercitato sul cinema—dal classico di Wachowski, la trilogia di Matrix, fino all'adattamento di Ghost in the Shell ad opera di Rupert Sanders—e su innumerevoli romanzi di fantascienza.

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Dopo tutto, l'informazione non ha forse tutte le carte in regola per soppiantare il ruolo occupato dall'anima? Sembra proprio così se si pensa alla funzione e all'essenza dell'informazione così come vengono comunemente intese. In effetti, impariamo tutti che l'informazione è una sorta di sostanza immateriale indipendente dal suo supporto. Non trasferiamo forse i dati da un dispositivo all'altro? Così, mentre i dispositivi si deteriorano, le informazioni sembrano durare per sempre.

In parallelo, il ruolo cruciale delle informazioni nell'economia di internet suggerisce un progressivo spostamento dalla realtà materiale verso quella dei dati che produciamo noi tutti. Le aziende e i governi stanno estraendo quei dati per "conoscerci meglio di quanto noi conosciamo noi stessi" e noi, d'altra parte, smaniamo per produrre questi dati che ci riguardano, sotto l'effetto della pressione esercitata dai social media o utilizzando applicazioni che sfruttano il self-tracking. Tutto ciò ci porta a pensare che se riuscissimo a registrare tutti i nostri gusti, idee, connessioni e eventi della vita, allora potremmo, in qualche modo, risorgere.

Il filosofo Luciano Floridi ha promosso l'idea che quella in cui viviamo è una infosfera composta di informazioni che finiscono per diventare più reali del mondo degli oggetti. Diversi filosofi si sono chiesti se l'universo possa essere, in ultima analisi, immateriale—un concetto ripreso dal motto di John Archibald Wheeler "It from bit."

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In generale, il concetto di informazione si sta avvicinando sempre di più alla nozione classica di spirito. L'informazione è disincarnata, incolore e praticamente immateriale. Può essere trasferita facilmente da un corpo a un altro, come si credeva potessero fare le anime attraverso la metempsicosi. Può essere moltiplicata senza sforzo sopra a tutti i dispositivi che vogliamo. Secondo questo ragionamento, una rappresentazione digitale, trasferita continuamente su nuovi supporti, diventa praticamente eterna.

Per completare il quadro, l'ubiquità raggiunta recentemente dal cloud ha anche fatto superare la necessità di disporre delle copie personali dei nostri dati, in modo che non dobbiamo neanche prenderci più cura personalmente dei vari dispositivi di memorizzazione fisica. Tutto sembra essere composto solamente d'aria. Un tempo i cieli erano il regno degli angeli e delle anime; oggi, il cloud è il suo sostituto tecnologico.

Prendiamo in considerazione un caso familiare. All'epoca delle fotografie stampate, i nostri ricordi di famiglia erano condannati a deperire e prendere polvere, oggi, invece, le loro versioni digitali restano eternamente nitide senza alcuna traccia del passaggio del tempo. Il primo grande salto è avvenuto negli anni Novanta quando gli utenti hanno iniziato a memorizzare le informazioni in digitale. Da allora, abbiamo mantenuto tutti i nostri dati immacolati come la neve, identici al giorno in cui sono stati registrati. Per finire, negli ultimi dieci anni, il secondo grande salto è stato l'adozione massiccia dei servizi di storage basati sui cloud, così, anche gli ultimi supporti fisici sono stati rimossi dalla nostra vista. Come risultato, siamo arrivati a pensare che i dati abitino un regno parallelo, immune alle miserie del mondo materiale.

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Nessuno ha mai visto una particella di informazione, ma solo le sue presunte manifestazioni.

Tuttavia, questa capacità tecnologica non è l'unico fattore ad influenzare l'attuale flusso di informazioni. L'altro fattore fondamentale è la galassia delle scienze della mente. In effetti, il legame tra informazione e anima ha subito un importante aggiornamento quando le neuroscienze e l'informatica si sono intrecciate l'una con l'altra. Intorno agli anni Cinquanta, a causa della natura notoriamente sfuggente della mente, molti studiosi hanno adottato una visione computazionale della stessa riassunta in un concetto diventato molto popolare: il cervello è come un computer e la mente è il programma che viene eseguito sopra di esso.

Anche se finora non esistono prove di questa teoria, ne vengono riproposte periodicamente delle nuove versioni (vedi la teoria di Tononi sull'informazione integrata per avere un esempio più aggiornato.) La conclusione di tale linea di ragionamento ancora completamente ipotetica è ovvia in maniera estremamente invitante. Se la mente è informazione e le informazioni esistono al di là della pura materia, allora, anche la mente è immateriale ed eterna. Tombola!

Non stiamo quindi cercando di riproporre il concetto di anima attraverso l'informatica? Leggendo la letteratura scientifica e tecnica si ha questa impressione. Considerate, ad esempio, quanti articoli suggeriscono la possibilità che un giorno le informazioni nel nostro cervello, se opportunamente registrate e conservate, potrebbero essere riattivate e riportate a nuova vita. Gli informatici e i neuroscienziati hanno speculato circa la possibilità di downlodare la totalità delle informazioni contenute in un cervello umano.

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Se ciò fosse possibile, le stesse informazioni potrebbero essere caricate a loro volta in un altro cervello (presumibilmente vuoto) così la stessa persona verrebbe riportata in vita. In questo modo, la trasformazione delle informazioni in spirito equivarrebbe alla trasmigrazione delle anime e, dal punto di vista pratico, l'informazione equivarrebbe all'anima. Le Informazioni sarebbero l'anima 2.0—eterne, immateriali, il supporto non deperibile per la nostra esistenza.

Naturalmente, questi tentativi non riguardano l'anima trascendente, la cui esistenza non può essere dimostrata scientificamente, ma rappresentano in pieno la nostra tendenza a ottenerne un sostituto basato sulla teoria delle informazioni. In effetti, l'uso salvifico della scienza non è una novità assoluta. Nella sua versione divulgativa, la scienza ha cercato spesso di elaborare dei metodi pratici per raggiungere l'immortalità; in letteratura, questo sogno è stato immortalato nel 1816, con il dottor Frankenstein creato da Mary Shelley che immette una potente scarica elettrica in un agglomerato di organi prelevati da cadaveri trafugati per raggiungere la resurrezione. Forse non è un caso che, un secolo dopo, l'elettricità sia il supporto fisico per le informazioni tanto nel cervello quanto nei dispositivi artificiali.

In più di un senso, l'elettricità è simile allo spirito: è invisibile, estremamente veloce, quasi immateriale e, all'occorrenza, immortale! Dopo la sbandata vittoriana per l'energia elettrica, nel secolo scorso, gli informatici hanno avanzato un candidato ancora migliore per rimpiazzare l'anima: l'informazione. Essendo un concetto astratto, l'informazione si qualifica anche come candidato per rappresentare le nostre menti che sono così difficili da comprendere. Inoltre, le informazioni sono state glorificate come un qualcosa che catturiamo, registriamo, memorizziamo ed espelliamo, elementi astratti nella stessa misura in cui lo sono le idee di Platone. Possiamo vedere un oggetto fisico che usiamo per memorizzare le informazioni—come una chiavetta USB o un foglio di carta—o vedere cosa compare su un dispositivo quando trasmette queste informazioni—un'immagine su uno schermo o su una pagina stampata. Ma non vediamo mai le informazioni in quanto tali. Questo è qualcosa sui cui cominciare a riflettere: nessuno ha mai visto una informazione, ma solo le sue presunte manifestazioni.

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Tenuto conto del fatto che nessuno sa per certo cosa siano le nostre menti, l'informazione sembra un candidato ragionevole per rappresentarle.

Tenuto conto del fatto che nessuno sa per certo cosa siano le nostre menti, l'informazione sembra un candidato ragionevole per rappresentarle. Sia la mente che le informazioni sono invisibili! Entrambe sono legate all'evoluzione dei cervelli biologici ed elettronici. Così, se le menti e le informazioni sono la stessa cosa, tanto gli scienziati quanto i filosofi sono affascinati dalla possibilità dell'immortalità ottenibile nel prossimo futuro. Data la breve durata della vita dei nostri corpi, per la visione materialista del mondo, le informazioni sembra costituire una comoda scialuppa di salvataggio. Eppure, una volta di più, come nel caso dei bulloni di Frankenstein, tutto questo potrebbe semplicemente essere troppo bello per essere vero.

Come ci si potrebbe aspettare, ora inizia la parte in cui comunico le brutte notizie. Le informazioni non doneranno la vita eterna a nessuno. Purtroppo, l'informazione non è il genere di cosa che può ospitare i nostri sentimenti, pensieri e desideri, perché, per farla breve, non è propriamente una cosa. L'informazione è solo un modello probabilistico ideato dai matematici negli anni Cinquanta per risolvere dei problemi legati alla comunicazione. Per spiegare il mio punto, dovrò fare una digressione breve ma densa sulle umili origini della teoria dell'informazione.

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Nella letteratura, esistono due teorie dell'informazione molto importanti che condividono dei punti in comune—quella di Kolmogorov e quella di Shannon. Dal momento che sono praticamente equivalenti—per quanto ci riguarda nel nostro discorso—concentriamoci su quest'ultima che è più facile da comprendere. Il concetto è stato sviluppato durante la Seconda Guerra Mondiale, quando le radiocomunicazioni sono diventate cruciali e si è reso necessario svilupparne un modello matematico. Date le carenze della tecnologia del tempo, i messaggi non venivano ricevuti sempre in maniera corretta. Così, era necessario ottenere una risposta quantitativa ad un problema fondamentale: come capire se abbiamo ricevuto il messaggio giusto?

L'ingegnere e matematico Claude Shannon ha deciso di concentrarsi solo su un concetto probabilistico molto astratto: fu così che nacque la teoria dell'informazione. Shannon ha preso in esame il messaggio più semplice: sì o no. Se non sappiamo nulla della probabilità del risultato, ogni risposta ha esattamente la metà delle probabilità di verificarsi. In linea di principio, qualsiasi messaggio, non importa quanto complesso, può essere codificato come una sequenza di domande e risposte del tipo si/no. Con qualche accorgimento matematico, la probabilità di ciascuna di queste risposte astratte sì/ no viene espressa da una nuova unità di misura impostata a 1: il bit.

Fondamentalmente, questo è il passaggio chiave, il bit non è letteralmente una misura di qualcosa, come quando si misurano un metro di pizza o un chilo di pasta. Il bit è un'astrazione matematica che mi dice quante risposte del tipo sì/no possono essere immagazzinate in un sistema fisico da un certo utente. Si tratta della misura di un qualcosa che può essere realizzato da un'intera rete di dispositivi e di utenti che utilizzando determinati strumenti. Il bit non misura qualcosa di fisico: misura cosa possiamo fare con il medium che stiamo sfruttando.

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Per esempio, una chiavetta da 1 gigabyte può essere utilizzata per memorizzare 1 miliardo di risposte del tipo sì/no. Sfruttate in modo efficiente, tutte queste risposte possono essere utilizzate per ricostruire qualsiasi genere di messaggio complesso—immagini, audio e video inclusi. Questa quantità non misura nulla di fisico—come la massa di un pianeta—ma offre semplicemente una scorciatoia matematica per ricapitolare uno stato più complesso di un sistema che include gli utenti, i ricevitori e i dispositivi. In effetti, la stessa chiavetta potrebbe contenere una quantità diversa di informazioni a seconda delle intenzioni e dei mezzi del suo utente. A dire il vero, l'informazione non è la misura di una realtà fisica che abbiamo scoperto, come è successo con l'elettricità, ma una stima delle probabilità di ciò che gli utenti possono fare. Eppure, la nozione di informazione come una sostanza che scorre allo stesso modo dell'elettricità è talmente efficace che si tendono a confondere le due cose.

Una volta conclusa questa digressione, il punto centrale del mio discorso dovrebbe risultare chiaro. Se l'informazione non è un qualcosa di fisico, non può essere quello stesso qualcosa di cui sono composti i sogni (e la mente,) ed è per questo che non possiamo contare su di essa per vivere per sempre. L'informazione è più simile a un bacio che ad una moneta. Quando date una moneta a qualcuno, un oggetto fisico viene spostato dal vostro portafoglio al suo. Quando date un bacio a qualcuno, non viene spostato nulla di fisico.

La quantità incredibile di libri e articoli che promuovono l'idea che un giorno risorgeremo grazie alla riattivazione delle informazioni contenute nel nostro cervello si basa solo su un'illusione. Infatti, le informazioni da sole non sono chiaramente sufficienti. Quando guardiamo una registrazione del crollo delle Twin Towers, nessuno muore. Le informazioni sono state conservate e i fatti memorizzati digitalmente, ma le cose registrate sono andate perdute. Gli eventi sono composti di carne, sangue, cemento e acciaio. L'informazione non è nulla di simile. L'informazione non conserva la realtà. Certo, potremmo usare quelle informazioni per provocare un nuovo disastro, ma sarebbe un disastro diverso da quelli precedenti.

È quindi tristemente ironico che ogni anno aumenti il numero di persone morte o ferite perché volevano scattarsi un selfie. Il desiderio di caricarci sul cloud collettivo e immateriale è così forte che molte persone sembrano pronte a rischiare la propria vita per farlo. Tuttavia, questa è solo la logica conseguenza del pensare che la versione digitale di se stessi sia importante come l'originale, o forse anche di più, dal momento che non subirà decadimento e non morirà. La versione digitale di noi stessi, una sorta equivalente digitale del ritratto di Dorian Gray, rimarrà per sempre giovane e bella. In un certo senso, la morte a causa di un selfie potrebbe essere vista come una forma di proto-martirio per raggiungere il sogno di un sé completamente digitale.

Le informazioni potrebbero rappresentare una sorta di ricetta per costruire, nella migliore delle ipotesi, la replica fedele di un evento, di un oggetto o di un organismo del passato. Anche il DNA sfrutta lo stesso principio. Pur riproponendolo in maniera identica—come nel caso dei cloni—i nuovi individui non sono la stessa identica cosa di quelli passati: sono nuovi individui che condividono molte similitudini con il loro originale. Il DNA e le informazioni sono come le ricette, un qualcosa di diverso dal cibo reale. Come ha sostenuto qualche anno fa Searle, l'informazione è un fantasma negli occhi di chi guarda. E noi non siamo né fantasmi né anime immateriali. Stiamo qui sulla Terra.

Dopo tutto, siamo composti di carne e di sangue. Non siamo astrazioni. Sogniamo il regno dei cieli, ma non viviamo dentro la nuvola del cloud: siamo creature terrene fatte di materia. L'informazione non è l'anima 2.0. Mi spiace ragazzi: purtroppo, premere il pulsante 'salva' non ci salverà.


Riccardo Manzotti è professore di psicologia presso l'Università di Milano, ha svolto un dottorato di ricerca in robotica, è autore di 50 paper sui fondamenti della coscienza, oltre ad essere il webmaster di consciousness.it.. In precedenza si è chiesto, su Motherboard, se i pixel stanno dissolvendo la realtà e con Andrew Smart ha esaminato l'affermazione di Elon Musk secondo cui probabilmente il nostro universo è una simulazione.