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Tecnologia

Come Facebook ha cercato di seppellire tutti i suoi scandali

Ci sono di mezzo report su Soros, campagne di lobbying a favore dei Repubblicani e una lentezza atavica nel gestire gli attacchi della Russia.
Riccardo Coluccini
Macerata, IT
mark zuckerberg new york times inchiesta
Immagine: Saul Loeb/AFP/Getty Images

Questa settimana, il New York Times ha pubblicato un’approfondita inchiesta che svela i movimenti segreti di Facebook per contrastare e insabbiare l’ondata di scandali relativi al caso Cambridge Analytica e le interferenze russe nelle elezioni statunitensi del 2016. Ci sono di mezzo Soros, campagne di lobbying a favore dei Repubblicani e una lentezza atavica nel gestire gli attacchi della Russia.

Facebook, infatti, avrebbe messo in piedi una strategia di comunicazione diretta a screditare le altre aziende tecnologiche e le campagne di protesta, cercando così di spostare l’attenzione dai propri problemi interni. In un caso estremo, Zuckerberg ha persino intimato ai suoi dipendenti di utilizzare esclusivamente dispositivi Android a seguito di alcune severe critiche di Tim Cook sull’attività di sorveglianza digitale operata da Facebook con i dati degli utenti.

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Facebook avrebbe assunto un’azienda di consulenza per screditare le proteste degli attivisti, “collegando in parte queste attività al finanziere George Soros”

Questa versione è stata in parte confermata da Facebook stessa, in un post di risposta all’inchiesta, dove l’azienda si è però anche giustificata aggiungendo che il sistema operativo Android è il più utilizzato al mondo.

A peggiorare la situazione, però, è l’operazione messa in piedi dal braccio destro di Zuckerberg, Sheryl Sandberg che, secondo quanto riportato dal NYT, avrebbe “supervisionato una campagna di lobbying aggressiva per combattere i critici di Facebook, spostando la rabbia degli utenti verso le aziende rivali e scongiurando una regolamentazione dannosa.”

Per fare questo, Facebook avrebbe assunto un’azienda di consulenza, la Definers Public Affairs, per screditare le proteste degli attivisti, “collegando in parte queste attività al finanziere George Soros” — Soros è da tempo al centro di teorie complottiste alt-right su tutta internet.

Definers avrebbe fatto circolare un report in cui si dipinge Soros come la forza non riconosciuta di un ampio movimento anti-Facebook.

Sempre secondo l’inchiesta, infatti, Definers avrebbe fatto circolare un report in cui si dipinge Soros come la forza non riconosciuta di un apparentemente ampio movimento anti-Facebook.

Nella nota di chiarimenti, Facebook ha negato di aver pagato Definers per pubblicare e diffondere articoli e disinformazione. Nella serata di mercoledì, però, Facebook ha reciso il proprio contratto con l’azienda.

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L’inchiesta, inoltre, fa luce sulla lentezza di Facebook nel gestire le operazioni sugli attacchi della Russia: nella primavera del 2016 l’allora capo della sicurezza di Facebook, Alex Stamos, avrebbe scoperto e notificato al consiglio generale di Facebook che alcuni hacker russi stavano cercando di accedere agli account di persone collegate alla campagna presidenziale USA in corso — alcuni account cercavano persino di contattare i giornalisti riguardo i documenti rubati dalle mail del partito Democratico.

Zuckerberg e Sandberg non avrebbero compreso la drammaticità della situazione sin da subito — attaccando persino Stamos, sempre secondo il NYT, per aver avviato delle indagini interne autonomamente. Il primo post ufficiale di Facebook sulla vicenda russa è del settembre 2017 — quasi un anno dopo la fine della campagna elettorale USA.

Fino ad allora, riporta l’inchiesta, il vice presidente per la policy pubblica dell’azienda, Joe Kaplan — repubblicano e assunto da Sandberg — aveva cercato di frenare ogni collegamento alla Russia: “se Facebook implicasse ulteriormente la Russia, ha detto Kaplan, i repubblicani avrebbero accusato l’azienda di schierarsi con i democratici. E se Facebook avesse abbattuto le false pagine dei russi, i normali utenti di Facebook avrebbero potuto anche reagire con indignazione per essere stati ingannati,” si legge nell’inchiesta.

Nella serata di ieri, Zuckerberg ha negato di essere a conoscenza delle attività dell'agenzia Definers, e la stessa Sheryl Sandberg ha smentito altri punti dell'inchiesta con un post su Facebook.

A prescindere, il tour di scuse di Zuckerberg, che era stato chiamato a testimoniare sia negli Stati Uniti che al Parlamento Europeo, mostra tutta la sua debolezza e inconsistenza.

Il social network è strutturalmente soggetto a questo tipo di attacchi, ma Zuckerberg e Sandberg si sono accorti troppo tardi dei pericoli e, piuttosto che valutare in profondità le proprie debolezze, hanno deciso di contrattaccare utilizzando le stesse strategia da manuale che dovrebbero contrastare: diffondere disinformazione, screditare gli oppositori, assecondare il governo, e fare lobbying contro gli interessi degli utenti.