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Tecnologia

Il tuo prossimo parlamentare potrebbe essere uno youtuber

La campagna di lobbying attuata da Google per imporre il proprio Content ID come soluzione agli art. 11 e 13 della nuova riforma europea del copyright fa leva sulla popolarità dei content creator — una forza politica senza precedenti.
YouTuber parlamentari
Foto: Unsplash.

All'interno del dibattito sugli Art. 11 e 13 della riforma per il copyright approvata lo scorso settembre dal Parlamento Europeo, emerge un fatto curioso: in funzione di una robusta campagna di lobbying — solo in apparenza critica nei confronti della direttiva e a difesa della libertà del web — Google ha iniziato a sguinzagliare gli influencer di YouTube.

Sulla piattaforma è infatti ora disponibile una sezione dedicata all'Art 13 e gli upload filter, dove campeggiano diversi video dei personaggi di punta del sito. Ce ne sono di ogni nazionalità e a rappresentare l'Italia è lo youtuber romano Willwoosh, per quanto non in mondo esclusivo: altri content creator l'hanno seguito a ruota facendo video sul tema. Non è chiaro quanto gli youtuber siano consapevoli del tentativo di YouTube di imporsi, in realtà, come il sistema di filtro dominante tramite il suo Content ID, perché più affidabile di quelli automatici, instaurando di fatto un potenziale monopolio sui contenuti online. Quello che appare chiarissimo, invece, è che per Google usare i propri youtuber per veicolare un messaggio politico è perfettamente naturale.

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Per quanto la politica sia ovviamente sempre stata oggetto di contenuti su YouTube, in tempi più recenti lo youtuber sta assumendo un ruolo più complesso, come ingranaggio della macchina di lobbying di un colosso tech come Google. Si tratta di un tipo di endorsing politico molto specifico, che non riguarda un partito o un movimento politico, ma il proprio datore di lavoro — una di quelle aziende che ha ormai il peso diplomatico di una nazione, ma che fatica ad assumersi responsabilità proporzionate. Così, la notorietà del primo rafforza la potenza di fuoco del secondo in sede di trattativa con le più alte istituzioni politiche dell'Unione Europea — mentre la base di consenso popolare di cui gode potrebbe portare, un domani non lontano, lo stesso youtuber a diventare il tuo consigliere di quartiere, il tuo presidente di regione e il parlamentare eletto nella tua circoscrizione.

Per Google usare i propri youtuber per veicolare un messaggio politico è perfettamente naturale.

In altre parole, oggi la parola influencer sta acquisendo un significato più complesso: lo youtuber, così come la star di instagram, non è più il content creator che usa il proprio carisma per pubblicizzare al pubblico prodotti per la scuola, cosmetici, videogiochi e quant’altro, ma rappresenta un portale da cui un messaggio politico può essere amplificato enormemente.

Poco importa se — come dimostra lo stesso Favij nell’apertura del suo video sull’Art. 13 — lo youtuber rischia di scivolare nella sovrasemplificazione, inciampando sul lessico del diritto e della politica e usando “legge,” “articolo” o “direttiva” come parole perfettamente interscambiabili, perché ne ignora il significato specifico: tanto sono termini che fraintende anche una buona fetta dei destinatari del messaggio.

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"Perché non ti candidi e fai un partito?," chiede a metà tra il serio e il sarcastico l'imprenditore e influencer Marco Montemagno proprio a Favij, durante una chiacchierata caricata sul suo canale. Il ragazzo risponde imbarazzato dicendo che non succederà mai — la politica non gli interessa. Ma Montemagno, che di politica ne mastica qualcosa (nel 2012 ha gestito la campagna social del PdL) insiste: "Tu fallo per me, così potrò dire di aver previsto pure questo." I due ridono e la cosa finisce in boutade.

Non che si tratti di una profezia poi così ardita: in altri paesi, lo youtuber che si fa candidato e, quindi, deputato è cosa di oggi, del 2018, e non di un lontano futuro distopico. È successo in Brasile: Kim Kataguiri e Arthur Mamae Falei sono due nomi che probabilmente non vi dicono nulla, eppure hanno un seguito da rockstar, e si sono conquistati entrambi un seggio al Parlamento Nazionale a colpi di video su YouTube e contenuti virali sui social. Il primo, con i suoi 22 anni, è il più giovane parlamentare della storia del Paese sudamericano. Entrambi sono due delle menti dietro alla piattaforma right-libertarian e anti-politically correct Movimento Brasil Livre, che, alle ultime elezioni, è riuscita a far eleggere 16 dei suoi candidati, 6 dei quali all'assemblea nazionale. "Posso garantire che in Brasile gli youtuber sono molto più influenti dei politici," aveva detto senza troppi giri di parole Mamae Falei a Buzzfeed. E infatti si è visto.

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Con oltre un milione di iscritti, il canale YouTube del MBL è riuscito a posizionare i propri contenuti nella homepage del sito per tutta la durata della campagna elettorale. I video sulla piattaforma garantiscono parte dei ricavi pubblicitari ai loro autori, e, come spiega sempre Buzzfeed, questi introiti rappresenterebbe da soli il 40% del budget complessivo del Movimento Brasil Libre. Nel frattempo, negli Stati Uniti, YouTube contribuisce da tempo allo sviluppo di un vero e proprio ecosistema per l'alt-right.

Per la prima volta — almeno con risultati apprezzabili — YouTube e i video sui social non servono per commentare la politica, ma per farla, anche in Italia.

Anche in Italia qualcosa inizia a muoversi: YouTube Italia, con la sua egemonia di video umoristici, tutorial di varia natura, e contenuti destinati a gamer e geek, era tendenzialmente vergine di influencer votati alla politica. Certo, c'erano e ci sono anche Breaking Italy (Alessandro Masala) e Dellimellow (Domenico Compagni) — ma il primo si occupa di infotainment, almeno ad un primo sguardo fugace, non schierato ed imparziale, mentre il secondo, che si definisce "soldatissimo di Renzi," si è ritagliato un ruolo marginale di troll conosciuto da tutti, ma amato da davvero pochi (ruolo scelto consapevolmente e in cui si trova a suo agio, beninteso). Così la vera novità è stata la nascita di una piccola pattuglia di posterboy del sovranismo italiano, Luca Donadel su tutti. Per la prima volta — almeno con risultati apprezzabili — YouTube e i video sui social non servono per commentare la politica, ma per farla, anche in Italia.

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Che si faccia fatica a distinguere i confini tra mondo dell'intrattenimento e della politica (o, come direbbe qualcuno, lo showbiz dei brutti), va detto, non è esattamente cosa di oggi. La Casa Bianca, negli Stati Uniti, è occupata da una star dei reality, prima di lui era stato eletto come Governatore della California l'attore hollywoodiano Schwarzenegger, benché quest’ultimo nell'esercizio del mandato non si sia dimostrato altrettanto distante dalla politica tradizionale. In questo senso, il vero precursore di Trump, in realtà, è considerato Jesse Ventura, ex leggenda del wrestling, membro della Hall of Fame della WWE (come Trump), prima sindaco di Brooklyn Park, e poi fautore di un'impresa a dir poco ardita: nel 1999 è stato infatti eletto Governatore del Minnesota, da candidato del Reform Party, grazie a una base politica anti-establishment e populista — ma pur sempre marcatamente progressista.

In Italia a rompere i tabù, come spesso è successo, sono stati i Radicali, con l'elezione di Ilona Staller alla Camera nel 1987, mentre (lo stesso anno) i socialisti puntavano sul più rassicurante volto di Gerry Scotti (eletto a sua volta alla Camera dei Deputati) e su altri nomi del mondo dello spettacolo — cosa che costò a Craxi l'accusa di "aver infarcito il PSI di nani e ballerine."

Dove sta, dunque, la differenza tra tutto questo, e un mondo dove Favij fa il sottosegretario agli Esteri, e Chiara Ferragni il Ministro allo Sviluppo Economico (si fa per dire, ovviamente)?

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Il pubblico si fida del suo youtuber preferito e questo Google lo sa.

Gli uomini di spettacolo non sono noi, sono diversi. Hanno esperienze e tenore di vita diversi. Ma per il mondo degli youtuber questa asimmetria di benessere e di condizioni sociali percepita non esiste, e se esiste è mascherata dalla nostra necessità di ignorarla. YouTube ha bisogno di vendere i suoi content creator come attori spontanei: senza la narrazione del ragazzino nella sua cameretta — che non ha un copione, trucco e parrucco, cameraman, autori, registi o direttori della fotografia, ma forse nemmeno un interesse economico quantomeno esclusivo — non funzionerebbe ugualmente bene. Che senso avrebbe guardare una pallida imitazione a basso costo della televisione, quando c'è l'originale?

Lo youtuber sarà pure il professionista che rilascia fatture da migliaia di euro ai brand, ma il suo pubblico ha bisogno di inquadrarlo come una figura non dissimile dal cugino che vai a trovare per vederlo giocare alla PlayStation 2, o dall'amico che ti confida i segreti più intimi. Non è l'attore milionario che vive nella sua bolla e pretende di insegnarci a vivere. Proprio in questo poggia la sua capacità di influenza (ben più persuasiva di quella di una stella del cinema), e questo rende un suo video, ai fini di una campagna politica, o di lobby, più efficace di un paginone acquistato su un quotidiano nazionale, del pezzo d'opinione di un economista, di un giurista, o del comizio di un politico che ricopre posizioni apicali.

Non per niente, negli ultimi anni alcuni politici hanno fatto il il percorso inverso, trasformandosi in webstar e bombardando il proprio pubblico di immagini di vita privata, dunque umana, sincera, affidabile.

Ma se è già assodato che i social hanno cambiato il modo in cui i politici interagiscono con le persone, non è ancora altrettanto scontato che youtuber e star di Instagram abbiano accumulato una base di sostenitori degna di una rivoluzione politica. Il pubblico si fida del suo youtuber preferito e questo Google lo sa. È sempre più evidente che il mondo tech ha una responsabilità politica — sia che si tratti di interferenze nelle campagne elettorali, che di riforme sul copyright — e, ora, è chiaro qual è l’esercito di rappresentanza.

Aggiornamento: Una prima versione di questo post utilizzava per errore una foto dello YouTuber Matteo Bruno — Cane Secco NOME, ora rimossa.