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Attualità

Internets italiano, serious business

O di come il dibattito sulla "anarchia del web" ci ha riportato indietro nel tempo.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

L’ormai famigerata intervista di Concita De Gregorio alla Presidente della Camera Laura Boldrini non avrebbe potuto essere più drammatica, a partire dal titolo: “Boldrini: ‘Io, minacciata di morte ogni giorno. Non ho paura ma stop all'anarchia del web’.”

Breve riassunto del pezzo. Con tono enfatico e costernato, la giornalista di Repubblica inizia parlando delle “minacce di morte, di stupro, di sodomia, di tortura” ricevute dalla Boldrini in alcuni siti neofascisti, poi scende nei dettagli: “Fotomontaggi: il suo volto sorridente sul corpo di una donna violentata da un uomo di colore, il suo viso sul corpo di una donna sgozzata, il sangue che riempie un catino a terra.” Stando all’articolo, insomma, la giornata tipo della terza carica dello Stato su Internet è un incrocio tra 4chan e American History X.

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I passaggi più controversi e ambigui del pezzo sono fondamentalmente due. Nel primo, la Boldrini dichiara: “So bene che la questione del controllo del web è delicatissima. Non per questo non dobbiamo porcela”. Nel secondo, la Presidente della Camera invita a “pensare alla rete come ad un luogo reale” con “persone reali” (come se non lo fosse già abbastanza) e quindi a “discuterne quando si deve” e “prendere delle decisioni misurate, sensate, efficaci,” senza però “avere paura dei tabù che sono tanti.” “La politica," conclude la Boldrini, "deve essere coraggiosa, deve agire.”

E così, mentre da un lato ci si scannava sulla scelta del titolista di Repubblica di usare l’espressione “anarchia del web” (mai usata dalla Boldrini) o si cercava di riportare il dibattito al 2013, dall’altro la politica dipingeva Internet come una distopia post-apocalittica in cui bande di “terroristi virtuali” fomentano attentati nella vita reale, si scambiano foto hard di deputati e pedopornografia alla luce del sole e scorrazzano impuniti nelle sconfinate praterie dell’hate speech.

“Se non si apre una battaglia politica contro gli idioti, i mascalzoni, i fanatici che scrivono sulla rete e agitano gli animi, andremo incontro a seri rischi,” tuonava Fabrizio Cicchitto (Pdl). L’ex Ministro del Lavoro Elsa Fornero si lamentava di essere “stata presa di mira più volte nella Rete” e definiva il web “un catalizzatore assoluto di violenza.” Alessandra Moretti (Pd) se la prendeva con “l’anonimato”, ossia il lasciapassare per “scatenare facilmente” le “peggiori porcherie” sul web e offrire “una visione della donna ‘decorativa’ e stereotipata.”

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Inserendosi nel solco tracciato dalla Boldrini, diversi politici hanno invocato repressione a tutto spiano e “leggi speciali” per l’Internet. “Serve qualche regola per impedire il festival permanente dell’odio senza controlli o sanzioni,” twittava Maurizio Gasparri. Luigi Zanda del Pd si spingeva ancora più in là: “È dovere delle istituzioni arginare con iniziative legislative adeguate, che prevedano anche sanzioni, una deriva sessista e razzista che potrebbe alimentare propositi di violenza e sfociare in tragedia.” Infine anche il Presidente del Senato, Piero Grasso, interveniva a gamba tesa—“Le leggi che proteggono dal Web… beh, quelle effettivamente le dobbiamo assolutamente ideare”—salvo poi smentire tutto. A neanche 24 ore dalla pubblicazione dell’intervista a Laura Boldrini il dibattito era già miseramente deragliato in un’orgia delirante di pregiudizi e tentazioni repressive. E la smentita della Presidente della Camera (Nell’intervista non parlo mai né di anarchia, né di censura, né della necessità di una nuova legge”) non ha sortito il minimo effetto, perché ormai era troppo tardi.

A pompare ulteriormente il volume del vaneggiamento ci hanno pensato i Tuttologi della carta stampata—persone che misurano la propria competenza sui temi della Rete in base al numero dei follower o direttamente all’ignoranza totale in materia di cultura digitale. Beppe Severgnini, ad esempio, esortava sul Corriere della Sera a smettere “di considerare il web come il luogo franco dove tutto è lecito. […] Lo abbiamo fatto con gli stadi di calcio, e abbiamo visto com’è finita.” Internet, proseguiva il giornalista, “è troppo importante perché una minoranza di predoni, camuffati da libertari, possa rovinarla.” E questo, se andiamo avanti così, avverrà di sicuro: “Qualcuno invocherà leggi speciali: e arriveranno.” Fortunatamente gli “irresponsabili del web, quasi sempre nascosti dietro l’anonimato” hanno le ore contente, poiché “chi ha a cuore la libertà della rete” è pronto a limitare quella libertà in nome della Libertà e della pacificazione nazionale.

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Su La Stampa, Gianni Riotta scriveva che “regolare il web” è ormai indispensabile: “nessun Far West resta senza steccati, sceriffi e bounty killer per sempre.” Poi, sempre per restare con le metafore Western, Riotta trasformava l’Internet in un film di John Wayne: “alla lunga la battaglia tra Tolleranza e Intolleranza, Equilibrio e Violenza, Ragione e Ricatto online la si vince su valori, argomenti, chiarezza, ideali. Il web non è arma del Male o Scudo del Bene: è il campo di battaglia tra Bene e Male, tra democrazia e populismo irrazionale.” Infine, non poteva mancare lo Scrittore Che Non Ha La Più Pallida Idea Di Quello Di Cui Sta Parlando—un ruolo piuttosto prestigioso che questa volta è toccato a Claudio Magris. Per quest’ultimo il Web “sta diventando una fissazione solipsistica e maniacale, fonte di rapporti spesso astratti e irreali” che può tramutarsi da “strumento di democrazia” a perniciosa “assemblea pulsionale indistinta che nega la democrazia.”

Il terreno, insomma, è ormai culturalmente dissodato per una risposta poliziesca al “problema sociale” Internet. Risposta che puntualmente arriva tramite un’incredibile proposta formulata dal capo della Polizia Postale e raccolta dal Corriere della Sera. “Pensate alle volanti che girano per le strade," attacca Antonio Apruzzese. "Ecco, funzionerà così. Nasceranno delle volanti anche per Internet, la polizia girerà sul web e monitorerà i social network pronta ad intervenire contro gli abusi, le diffamazioni, i falsi profili…” Dopo anni di meme sul tema, finalmente l’Internet Polizia potrebbe finalmente diventare realtà. L’articolo ne spiega il funzionamento: “Basterà 'cliccare su un'iconcina' del portale della Polizia per segnalare un'identità digitale rubata, una diffamazione ricevuta oppure ancora immagini privatissime diffuse senza la nostra autorizzazione. La 'volante virtuale' interverrà all'istante, ma poi saranno uomini in carne e ossa (e in divisa) ad avviare le indagini per bloccare i responsabili.” Tutte le volanti convergano sull’Internet, presto!

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Il 6 maggio, tre giorni dopo l’intervista alla Boldrini, il surreale dibattito su “controllo del web” e affini veniva bruscamente schiaffeggiato dalla realtà e costretto a rifugiarsi in un angolo. La Procura di Roma, infatti, conferma di aver iscritto nel registro degli indagati Antonio Mattia, giornalista “simpatizzante della Destra di Storace” nonché amico del neofascista Roberto Fiore di Forza Nuova, reo di aver postato su Facebook una foto di una “nudista spagnola” e di averla fatta passare—con l’irresponsabile aiuto di tutti i giornali, a dire il vero—per la foto di Laura Boldrini nuda.

Questo fatto di cronaca porta con sé una sconvolgente rivelazione. Le leggi per “controllare il web” esistono già: si chiamano “articoli del Codice Penale” e vengono applicati spesso e volentieri in maniera estremamente discutibile. Qualche esempio. Dopo un anno di indagini, il 7 maggio la Procura della Repubblica di Nocera Inferiore (Salerno) ha notificato 22 avvisi di garanzia ad altrettante persone. L’accusa è di aver recato “offesa all’onore e al prestigio del Presidente della Repubblica” nei commenti a un post di Beppe Grillo. Lo stesso giorno, Varese News ha riportato la notizia della condanna dell’amministratrice di un blog letterario. La sentenza ha riportato la giurisprudenza italiana indietro di un paio d’anni: la ragazza, infatti, è stata condannata per dei commenti offensivi scritti da alcuni utenti—e non da lei—sul sito.

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Alcuni mesi fa, il blogger Massimiliano Tonelli—fondatore di Cartellopoli, sito che denuncia il dilagante abusivismo dei cartelloni pubblicitari a Roma—era stato condannato in primo grado a nove mesi di carcere e 20 mila euro di risarcimento per “istigazione a delinquere”. Il giudice ha ritenuto responsabile Tonelli per un post nel quale un utente dimostrava di aver rimosso un cartellone, considerato abusivo, di una società che si era considerata lesa nella sua immagine. Come si nota, la questione è estremamente delicata e comporterebbe una riflessione molto seria, visto che riguarda responsabilità individuale, libertà fondamentali e diritti costituzionalmente garantiti. Ma ovviamente sta succedendo l’esatto contrario.

Approfittando del clima farneticante e sovreccitato degli ultimi giorni, l’Autorità Garante delle Comunicazioni ha riesumato e riaggiornato una vecchia (e pericolosissima) delibera del 2011 contro la pirateria sul web. Dopo lo smacco subito due anni fa, l’industria del copyright è tornata a pretendere che ad Agcom venga dato il “potere  di istituire mini processi (procedimenti amministrativi) per arrivare a bloccare l'accesso ai siti che facilitano la pirateria.” Il nuovo presidente dell’Agcom Marcello Cardani ha recentemente espresso l’intenzione di “varare una misura entro l’estate per aggiornare le norme sul copyright ai tempi di Internet,” aggiungendo inoltre che l’Agcom ha piena autorità e non ha bisogno di attendere che i “diritti fondamentali del cittadini” vengano “tutelati dal Parlamento.”

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Diverse associazioni hanno lanciato un appello e una petizione online per chiedere all’Agcom di tornare sui suoi passi, visto che non avrebbe né la competenza di sostituirsi all’autorità giudiziaria né avrebbe calcolato il rapporto costi-benefici dei procedimenti. Cardani è però deciso ad andare fino in fondo: “I tecnici faranno il loro mestiere. Tuteleremo pluralismo e diritto di accesso, e non avremo dubbi né esitazioni.”

Il dibattito degli ultimi giorni evidenzia in maniera atroce il baratro cognitivo (e mentale) in cui sprofonda il Paese ogni volta che si parla di Rete e libertà. Partita da un fatto circostanziato (le offese sessiste e fasciste subite da Laura Boldrini), la polemica si è ingrossata, è esondata, ha sfondato i confini sia della farsa che della tragedia e infine è approdata silenziosamente verso soluzioni poliziesche e/o amministrative degne di un regime autoritario.

Il dato più drammatico è che, pur impegnandosi, non si vede nessun preciso disegno politico dietro all’intera vicenda; emerge solo una sguaiata e profonda ignoranza, quasi più pericolosa del dolo. Come ha scritto Massimo Mantellini, in Italia le pulsioni censorie verso Internet “non sono sottoposte a grandi perturbazioni ideologiche,” e sono “sovente uguali a destra e a sinistra.” Il punto è che “siamo allergici a Internet perché siamo (tutti) poco allenati alla libertà.”

E mentre la politica italiana continua a considerare il web alla stregua di un ciclostile delle Brigate Rosse volantinato fuori dalle università, il mondo sta inesorabilmente andando avanti e ci sta (giustamente) scaricando sul ciglio del ventunesimo secolo, condannandoci a vagare mestamente nel deserto del nulla.

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