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Tecnologia

I nuovi media sono già morti—E per questo hanno vinto

Sembra che innovazione ormai significhi pensare così tanto al futuro da cancellare il presente.
Un’immagine di Futurama alla Fiera universale di New York del 1939. Il modello di 3.500 metri quadrati mostrava come si sarebbe trasformato il mondo negli anni Sessanta, vent’anni nel futuro. Foto: General Motors

Alla fine di aprile del 1939, quattro mesi prima che la Germania di Hitler invadesse la Polonia, centinaia di aziende e i governi di 33 Paesi si incontrano alla Fiera mondiale di Corona Park, nel Queens, a New York, per rendere universale una tradizione iniziata da Hugo Gernsback, inventore e tra i fondatori della fantascienza americana.

Per la prima volta un'esposizione decide di trattare il tema del "mondo del futuro" (che poi era il motto della fiera), con progetti reali e utopie tecnologiche. Viene esposta la prima televisione negli Stati Uniti, insieme a una quantità senza fine di aggeggi più o meno utili e commercializzabili. General Motors presenta Futurama, un modello in piccola scala di come sarebbe stata la mobilità dopo 20 anni, con autostrade intelligenti e veicoli autonomi.

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Ripensando a distanza di quasi 80 anni all'infinita schiera di oggetti fallimentari e prodotti mai realizzati, la vera novità dell'evento è stata immateriale: in quei mesi nasce il concetto di 'next big thing', la costante ricerca del prodotto rivoluzionario che pochi anni dopo avrebbe contagiato l'industria tecnologica. Pensare così tanto al futuro da cancellare il presente.

"I nuovi media assumono valore quando sembra che abbiano perso il loro apporto innovativo."

Il cambiamento nel mondo dei media inizia in quel periodo, quando la radio e la televisione inaugurano un processo di profonda trasformazione delle abitudini delle persone, che solo con i nuovi media si è definitivamente realizzata.

Si tratta di un cambiamento legato alla ritualità, alla ripetizione e all'abitudine di un gesto che con lo sviluppo tecnologico è passato dall'essere una scelta attiva, come l'informarsi attraverso l'acquisto di un giornale, a un riflesso passivo, come l'ascolto o la visione di un tele/radiogiornale, "I nuovi media assumono valore quando sembra che abbiano perso il loro apporto innovativo—Devono diventare una abitudine, una ripetizione, parte delle nostre azioni inconsce," mi spiega Wendy Chun che a giugno pubblicherà negli Stati Uniti per MIT Press Updating to Remain the Same - Habitual New Media.

Chun è professoressa di cultura moderna e media alla Brown University, in Rhode Island, ed è molto conosciuta nel giro accademico di Harvard e Princeton—La incontro a Greenpoint, Brooklyn, dove presenta il suo libro in anteprima, "Quando Google introdusse il suo motore di ricerca nel 1998 fu visto come un cambiamento epocale," mi spiega. "Gli utenti andavano sul sito solo per la sensazione di provare l'esperienza di una ricerca—Le cose mutarono lentamente, e ora Google ci sembra un elemento essenziale di internet; anzi, una parte che si confonde con esso e che rende il web ciò che tutti conosciamo," continua Chun.

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Come secondo esempio, la professoressa cita gli smartphone. All'eccitazione iniziale si è sostituito un senso di piatta accettazione, tanto che scrivere un messaggio, visitare siti, ascoltare musica e fare qualsiasi azione permessa da un telefonino sembra un gesto ormai comune. I nuovi media assumono il loro vero significato quando finiscono di essere lo strumento di un piccolo gruppo di innovatori e diventano oggetti abituali.

Per raggiungere questo traguardo, però, permettiamo a questi dispositivi di entrare nelle nostre vite. Questa promessa di libertà potrebbe, in un certo senso, nascondere una forma moderna di schiavismo. Nel 1988 Mark Weiser—in uno dei centri più famosi dell'élite tecnologica, lo Xerox PARC di Palo Alto, California—aveva cercato di rispondere a questa domanda: il PC avrebbe abbandonato il suo spazio fisico (il desktop) per colonizzare gli oggetti comuni dal frigorifero al telefono, fino alla tv, e l'auto? Parlava di ubiquitous computing, che poi in fondo è quello che sta succedendo oggi con le smart home, le smart car, il-mondo-smart-che-verrà.

"Ubiquitous computing definisce la terza fase dell'informatica che è appena iniziata—All'inizio c'erano i sistemi centrali, ognuno dei quali condiviso da molte persone, adesso ci troviamo nell'epoca dei personal computer, le persone e le macchine si fissano in modo preoccupante attraverso il desktop," ha scritto Weiser. "Poi arriva l'ubiquitous computing, o l'era della tecnologia tranquilla, quando la tecnologia occupa lo sfondo delle nostre vite," spiega sottolineando come questo cambiamento avrebbe creato software e dispositivi in grado di informarci senza tuttavia richiedere "concentrazione e attenzione".

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Un punto centrale nelle ricerche di Weiser è dunque l'abitudine, concetto che riprende anche Chun,"Attraverso l'abitudine i nuovi media entrano all'interno di noi e noi diventiamo le loro macchine," mi spiega, "Condividiamo video in streaming, aggiorniamo i nostri profili, carichiamo foto, salviamo, buttiamo via, trolliamo." Ma l'abitudine è (soprattutto) il mezzo per diminuire il senso di dipendenza e di malattia. "Pensandoci bene, l'unico modo per combattere un virus è introdurre abitudini virtuose. Lavarsi le mani, usare il preservativo, eccetera," mi dice facendo riferimento al lavoro di Priscilla Wald raccolto nel saggio Contagious, una storia delle metafore mediche nella comunicazione.

"Dai mass media siamo passati ai nu(you) media, l'interesse si sposta dalla comunità alla singola persona e ai suoi bisogni, dando a tutti l'illusione di essere il centro di una rete fatta su misura per noi."

Oltre a lavorare sul tema dell'abitudine-dipendenza, i nuovi media hanno cambiato Internet, lo spazio in cui sono nati. Il web è passato da essere libero e anonimo a un luogo di controllo, "Dai mass media siamo passati ai nu(you) media, l'interesse si sposta dalla comunità alla singola persona e ai suoi bisogni, dando a tutti l'illusione di essere il centro di una rete fatta su misura per noi," spiega in un'aula a un centinaio di persone che l'ascoltano bevendo birre e prendendo appunti.

Internet non è più una regione infinita e utopica di anarchia diffusa, ma si è trasformato in un ambiente privato nelle mani dei social network. Con un algoritmo ogni giorno sempre più raffinato, le società informatiche ci indicano le persone che hanno il nostro stesso pensiero politico, che vestono come noi, che hanno i nostri stessi gusti. Su questo tema è spesso intervenuta la sociologa Zeynep Tufekci che ha insistito su come i social network diano quasi solamente spazio alle similitudini, limitando le possibilità di dibattito, "A livello personale, preferisco avere la possibilità di regolare l'algoritmo del mio newsfeed su 'per favore mostrami i contenuti con i quali non sono d'accordo,'" ha scritto Tufekci su Medium.

E poi c'è l'aggiornamento, lo strumento con il quale i nuovi media ci costringono a consumare senza limiti, "Cose e persone non aggiornate sono cose e persone perse o in pericolo," spiega. "Per questo dobbiamo diventare creature dell'aggiornamento—Essere significa essere aggiornati: l'aggiornamento è fondamentale per distruggere il contesto e le abitudini, creando nuove abitudini e dipendenze," continua Chun.

In Habitual New Media cerca di riassumere il suo pensiero in una funzione matematica: Crisis + Habit = Update. "Per restare aggiornati è fondamentale creare nuove abitudini che portino alla dipendenza e continuino a sostenere i consumi che sono la reale fonte del neoliberismo," aggiunge. "Le crisi sono fondamentali per i cambiamenti delle abitudini. Solo attraverso una crisi, reale o percepita, come diceva l'economista Milton Friedman, avvengono le trasformazioni autentiche. Ma le crisi di oggi sono diventate ordinarie, fermano i cambiamenti e ci mantengono in un presente sospeso. Il luogo dove vivono i nuovi media."

Segui Angelo su Twitter: @AngeloPaura

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