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Tecnologia

Come i nostri consumi danneggiano gli animali nel mondo

Questa mappa collega direttamente i beni che compriamo ai danni che la filiera che li produce fa all'ambiente.
La mappa qui sopra mostra i punti dove le specie sono più minacciate dai consumi degli Stati Uniti. Più è scuro il colore, più grave la minaccia. Il colore magenta rappresenta le specie terrestri, quello blu le specie marine. Immagine: Moran, D. & Kanemoto, K. Identifying species threat hotspots from global supply chains. Nat. Ecol. Evol. 1, 0023 (2017)

Ci sono alcuni prodotti che sappiamo perfettamente avere un effetto distruttivo sulla vita animale. Per questo, molte persone e paesi nel mondo cercano il meglio che possono di evitarli. Fare gioielli di avorio implica massacrare gli elefanti; mangiare pinne di squalo — indovina un po' — non fa bene agli squali. Ma questi sono esempi facili su cui intervenire, perché a) non sono cose di cui abbiamo davvero bisogno, e b) è palese che derivino da determinati animali selvatici.

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La maggior parte dei prodotti che usiamo nella nostra vita quotidiana, però, dagli iPhone ai jeans ai mobili Ikea, ha a sua volta un impatto negativo su specie animali in pericolo nel mondo. Ma come facciamo a capirlo? Nel tentativo di rispondere a questa domanda, un gruppo di scienziati in Norvegia e Giappone ha utilizzato un modello di mercato globale per tracciare le richieste dei consumatori nel mondo e collegarle alle minacce che gli animali in via d'estinzione o quasi subiscono. Hanno creato una serie di mappe basate sulle loro scoperte, che mostrano i "punti caldi" nel mondo dove gli animali sono più minacciati, e quali paesi stanno contribuendo ad aggravare i pericoli che affrontano. Il principio logico è che se sai in che punto della filiera fai più danno, puoi prendere contromisure per alleviarlo. I risultati del loro lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Nature Ecology and Evolution.

I ricercatori hanno calcolato che il consumo umano minaccia fino a 6.803 specie di animali considerati in pericolo e a rischio nel mondo, così come stabilito dalla International Union for the Conservation of Nature and Birdlife International — che sono autorità nell'ambito della fauna e della flora in via d'estinzione. Da qui, hanno legato le zone di minaccia a un prodotto di consumo in altri paesi. Per esempio, la soia utilizzata nei pasti negli Stati Uniti potrebbe essere coltivata in campi ricavati da zone della foresta pluviale deforestate in Brasile. L'Amazzonia è il posto con la biodiversità più ampia sulla faccia della Terra, per cui la sua deforestazione costringe alla dislocazione una molteplicità di specie a rischio. O magari la maglietta che indossate in questo momento è stata realizzata in una filanda in Indonesia — che esiste dove prima c'era una foresta piena di oranghi di Sumatra.

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Minacce ai danni della fauna selvatica nel Sud-Est Asiatico, legate ai consumi degli Stati Uniti. Immagine: Moran, D. & Kanemoto, K. Identifying species threat hotspots from global supply chains. Nat. Ecol. Evol. 1, 0023 (2017)

Per quanto gli Stati Uniti non siano di certo l'unico paese a sfruttare la Terra, sono sicuramente tra quelli più rilevanti. Inoltre, esternalizzano molti dei costi di produzione, il che significa che sono l'ambiente e le persone di altri paesi a farne le spese. Sulla base della mappa creata dagli autori, i consumi degli Stati Uniti di cibo e beni minacciano specie dall'Asia Centrale e Sud-orientale, ad Africa sub-sahariana, Madagascar, Messico, Centro America e persino dal Canada del sud e dall'Europa del sud.

Sfortunatamente, ci sono materiali e beni su cui facciamo affidamento nella società moderna e di cui non possiamo fare a meno. Per esempio, uno smartphone — per quanto suoni eccessivo nel grande schema delle cose — è uno strumento necessario per molti lavori. Ci sono anche molte persone che non possono permettersi di scegliere solo beni prodotti in modo sostenibile. Ma queste informazioni forniscono almeno a governi e imprese le conoscenze necessarie per agire al fine di alleviare la pressione attuale, in caso scegliessero di farlo (o fossero forzati dalla pressione dell'opinione pubblica).

Zone in America Latina dove le specie sono minacciate per colpa dei consumi US (a); in Africa, per colpa dei consumi del'Europa (b); e in Asia, per colpa dei consumi del Giappone (c). Immagine: Moran, D. & Kanemoto, K. Identifying species threat hotspots from global supply chains. Nat. Ecol. Evol. 1, 0023 (2017)

Le aziende o i governi "potrebbero usare queste mappe per vedere dove sono i punti dove il loro impatto sull'ambiente è più grave e cambiare la situazione," ha detto il co-autore dello studio Daniel Moran, della Norwegian University of Science and Technology, in una dichiarazione. "Una volta che colleghi l'impatto ambientale alla filiera, molte persone lungo quella stessa catena, non solo i produttori, possono partecipare a renderla più pulita," ha detto.