Come Google sta cambiando la nostra percezione dei luoghi

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Come Google sta cambiando la nostra percezione dei luoghi

Il motore di ricerca controlla l’accesso all’informazione e quindi anche la nostra visione della geografia.

La storia dei media insegna che tutte le nuove tecnologie di maggiore successo, dopo una fase iniziale di sorpresa e meraviglia, scivolano nella banalità quotidiana ed è proprio allora che esercitano il loro potere reale sulla società. È successo al telefono, alla radio, alla televisione e al web. Oggi diamo per scontato che un motore di ricerca possa reperire contenuti rilevanti in una frazione di secondo a partire da poche parole dall'ortografia incerta, analizzando basi di dati che contengono trilioni di documenti.

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Dal suo sobrio esordio, il motore di ricerca di Google è arrivato a catturare i pensieri e le intenzioni di circa un miliardo di utenti, fornendo loro suggerimenti, risposte, influenzando consumi e opinioni e, incidentalmente, vendendo tantissima pubblicità. Alphabet, la holding di cui Google fa parte, è diventata la più grande agenzia pubblicitaria online del mondo, la cui egemonia è minacciata solo da Facebook.

Cercando di enunciare quale sia il ruolo dei motori di ricerca nell'attuale panorama mediatico, l'esperto di proprietà intellettuale James Grimmelmann ne rileva la convergenza di tre aspetti: mezzi di comunicazione di massa che consegnano contenuti ai consumatori; sistemi di raccomandazione di contenuti personalizzati e, in maniera più problematica, anche direttori di giornale che decidono in maniera arbitraria cosa finirà in prima pagina e cosa no.

In una concentrazione spettacolare di informazioni, Google raccoglie dati e vende pubblicità in 188 paesi, fornendo un importante esempio di soft power californiano: il suo potere sta nella capacità di rendere luoghi, persone, idee, notizie, prodotti e aziende visibili o invisibili ad enormi gruppi di utenti e, di conseguenza, nell'alterare comportamenti umani su larghissima scala. Come notato dal critico americano Siva Vaidhyanathan, negli ultimi dieci anni abbiamo lasciato ad una singola azienda il compito di "decidere cosa è importante e cosa è vero per molte domande importanti nella nostra vita".

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Gli URL delle varie nazioni

La geografia virtuale e fisica di Google

Se negli anni Novanta si immaginava internet come un "cyberspazio", una misteriosa dimensione parallela popolata da semplici geometrie e numeri su sfondo nero, il web è ormai parte integrante della realtà fisica e geografica in cui ci muoviamo quotidianamente. Le città in cui viviamo sono fatte di cemento, mattoni, vetro, acciaio, rame, ma anche di dati, una risorsa che sta diventando, a detta dell'Economist, più preziosa del petrolio.

Il flusso di informazioni digitali non è solo una rappresentazione passiva dei luoghi, ma contribuisce a formarli: la visibilità e la rappresentazione online di negozi, ristoranti, quartieri, città e anche interi paesi, ne influenza la presenza nella nostra psiche, nonché la capacità di attirare clienti, visitatori e investimenti.

Le città a basso e medio reddito nel Sud del mondo partecipano solo marginalmente alla produzione delle proprie rappresentazioni online.

In questo rapporto tra luoghi fisici e le loro estensioni digitali, Google è un mediatore che esercita un'influenza enorme su più fronti. Google Maps ha progressivamente sostituito le altre mappe cartacee o digitali che usavamo per orientarci, riducendo la visibilità dei concorrenti. Google Street View permette di navigare tra miliardi di fotografie geo-localizzate di strade ed edifici. L'ultima versione di Google Earth offre un dettagliato modello 3D del pianeta. Quando, affamati, digitiamo "ristoranti cinesi a Milano", Google combina centinaia di segnali raccolti dal web, dai social media e dai propri utenti per distillare una classifica concisa e apparentemente neutrale.

La geografia di Google non si limita all'aggressiva cattura di dati, ma anche alla costruzione di nuova infrastruttura per portare servizi in mercati periferici. La ricercatrice ShinJoung Yeo ha notato come Google abbia costruito dal 2005 una rete planetaria contenente 100 mila miglia di fibra ottica e cavi sottomarini transoceanici che collegano data centers in locazioni segrete. Se le stelline di TripAdvisor hanno un effetto misurabile empiricamente sull'industria della ristorazione e sugli hotel, è difficile cogliere appieno le conseguenze dell'espansione geografica di Google.

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Ricerche ineguali e povertà digitale

Il mondo che emerge dalle interazioni tra utenti, contenuti e Google sembra piatto, oggettivo ed egalitario, ma si tratta di un'illusione. A differenza delle agenzie governative che raccoglievano dati geografici per le grandi potenze durante il Diciannovesimo e Ventesimo secolo, Google non ha un mandato pubblico, nonostante la sua retorica benevola — o perlomeno non malevola.

Come prevedibile, il colosso di Mountain View si focalizza sui luoghi che offrono potenziali mercati pubblicitari e che necessitano di economie locali sufficientemente sviluppate. Per afferrare il problema basta confrontare la densa rappresentazione di New York su Google Maps con gli scarni dati presenti per Port-au-Prince ad Haiti, situazione a cui la ONG Missing Maps mira ad ovviare.

Chi produce i contenuti più rilevanti nelle ricerche locali di Google nazione per nazione.

Per capire il concetto di povertà informazionale, il geografo inglese Mark Graham suggerisce di pensare a tre categorie: accesso (chi accede alla piattaforma, in questo caso Google), partecipazione (chi genera i contenuti indicizzati) e rappresentazione (chi viene reso più o meno visibile nei risultati). È evidente che luoghi e organizzazioni ben finanziati ottengano una rappresentazione più visibile su Google.

In un recente studio abbiamo analizzato le rappresentazioni di 188 città nei risultati di Google, mostrando come il Nord globale produca la maggioranza dei contenuti digitali. Le città a basso e medio reddito nel Sud del mondo, però, partecipano solo marginalmente alla produzione delle proprie rappresentazioni online.

Per creare un mondo digitale più inclusivo, riducendo il divario tra centri benestanti e periferie irrequiete, non è produttivo demonizzare Google, che fornisce prodotti di grande valore per la collettività. Ma dobbiamo domandarci se sia auspicabile che un'azienda privata californiana, per quanto efficiente, possa tracciare i confini della geografia digitale in cui siamo sempre più immersi.