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Il segreto del successo di 'Dungeons & Dragons'

Guardate il documentario del New York Times a proposito del gioco più osteggiato della storia.

Il suo nome era James Dallas Egbert III, ma negli anni Ottanta, quando ero solo un bambino che viveva a Houston, lo conoscevo come "quel ragazzino di Dallas" che si era suicidato perché giocava a Dungeons & Dragons. Questo era quello che mi dicevano le persone in chiesa tutte le volte che parlavo anche solo vagamente del fatto che la stregoneria fosse una figata—questi discorsi, ovviamente, non facevano che alimentare la mia curiosità. Come mostra un episodio recente della serie documentaristica Retro Report del New York Times, però, la verità dietro l'incidente di Egbert era molto più complessa e solo relativamente collegata a quell'ipotesi.

La paranoia che ha circondato inizialmente la scomparsa di Egbert nel 1979 ha fatto da catalizzatore per l'ascesa di Dungeons & Dragons al mondo dei bestseller; in generale, spiega il documentario, il gioco carta e penna di Gary Gygax basato sull'immaginazione e il calcolo è stato davvero una buona cosa per l'America. Anziché produrre una legione di necromanti satanici (o quello che vi pare), Dungeons & Dragons è diventato un elemento comune nello sviluppo creativo di molti nomi importanti, da Stephen Colbert a Junot Díaz e Cory Doctorow.

"Il fatto che certe persone–fondamentalisti Cristiani—pensassero che Dungeons & Dragons rappresentasse un qualche tipo di minaccia esistenziale per la mia anima era un'idiozia," dice Doctorow ad un certo punto. "Potevi andare in giro e lanciarti in litigi davvero soddisfacenti con adulti profondamente ignoranti."

Ma questa è più di una semplice storia su come il terrore di suicidi e omicidi all'inizio degli anni Ottanta abbia coinciso con il successo di un gioco diventato sempre più diffuso e influente. Il video inquadra anche le difficoltà iniziali riscontrate da D&D nel contesto dei metodi genitoriali moderni, dove i genitori si sono scoperti meno preoccupati di quali giochi facciano i loro figli e più di quanto tutto quel tempo che passano incollati agli smartphone e ad altri dispositivi simili possa modificare il loro cervello.

Il documentario ipotizza che si tratti di un conflitto che non fa che rinnovarsi ogni volta che un nuovo medium entra a far parte delle nostre vite. Considerando quanto velocemente la realtà virtuale sembra prendere piede ora, direi che è solo questione di tempo prima che sia trascinata a sua volta nel dibattito.