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Tecnologia

Avere paura di Mark Zuckerberg

Lo spettacolo inscenato dal presidente di Facebook ieri sera durante il Mobile World Congress ha poco a che vedere con i suoi futuri progetti — Invece, è sembrata più un'adunata oceanica della sua sudditanza.

Tutto è cominciato la scorsa estate. Era appena finita la prima settimana di giugno e rendermi conto che stava di nuovo cominciando a fare caldo e che io lo avrei di nuovo patito soffrendo come un cane per un'estate intera non è stata una grande novità: d'altronde io il caldo lo odio da sempre. Quest'anno però sono completamente uscito di testa. Ho cominciato a controllare le temperature e il tasso di umidità ora per ora, ho programmato le mie vacanze per allontanarmi il più possibile dal caldo e non appena finita la stagione ho cominciato a informarmi su quella successiva. Improvvisamente ho cominciato ad avere paura del caldo, una cosa che fino ad allora avevo superato in maniera perfettamente naturale.

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Mi è successo di nuovo poco tempo fa. Erano anni che sentivo parlare di concetti come 'bolle di filtraggio' e 'crisi dei contenuti', così ho deciso finalmente di approfondire e ho letto The Filter Bubble, di Eli Parisier, un saggio che spiega come e perché i social network stanno contribuendo a cambiare la nostra percezione del mondo. Poco dopo ho scritto un lungo articolo sull'argomento, ma il danno ormai era fatto: di punto in bianco ho cominciato ad avere paura di internet e dei suoi mostruosi algoritmi, ho cominciato a delirare parlando di 'mutazioni antropologiche fondamentali' e sono quasi scoppiato in lacrime quando ho scoperto che Facebook avrebbe reso disponibili a tutti gli Instant Articles, diventando di fatto la casa editrice di tutti i suoi utenti e strappando ancora una volta potere ai grandi gruppi editoriali.

L'ultima volta è stata ieri sera, ma non c'entravano né il meteo né gli algoritmi. Dopo aver visto una fotografia e ascoltato otto brevi minuti di un discorso pronunciato al Mobile World Congress 2016, ieri sera ho cominciato ad avere paura di Mark Zuckerberg.

Il Mobile World Congress è una kermesse creata a uso e consumo di quella categoria di persone che adora mastubarsi con le liste di specifiche tecniche dei nuovi smartphone e che afferma che il futuro dei soldi è cashless. Durante un keynote tenutosi ieri, la presentazione del nuovo e mirabolante Galaxy S7 di Samsung è stata improvvisamente annebbiata — che dico, polverizzata, eclissata, oscurata dall'apparizione sul palco di Mark Zuckerberg, spuntato sotto i riflettori dopo che, come riportato da The Verge, era stato chiesto al pubblico e ai giornalisti presenti di indossare gli occhiali Gear VR di Samsung per la realtà virtuale per guardare un video demo.

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Con una strana e inaspettata inversione delle aspettative, il sogno del pubblico si è avverato solo dopo aver tolto i visori: Mark Zuckerberg è apparso lì, tronfio e impettito, in piedi davanti a chissà quante persone e pronto a pronunciare il suo verdetto sul futuro come il migliore degli aruspici.

La sostanza è stata poca. Per Zuckerberg, che nel 2014 ha acquisito Oculus e Oculus Rift per 2 miliardi di dollari, la realtà virtuale è la 'nuova piattaforma' e presto sarà la 'piattaforma più sociale di tutte'. Ha poi speso qualche parola per elogiare le incredibili capacità hardware del nuovo modello Samsung, il cui arsenale tecnico vede la luce pochi giorni dopo il funerale della legge di Moore, e non ha dimenticato di raccontare ripetendo a macchinetta per una manciata di frasi di seguito quanto, sotto sotto, noi comuni mortali non avessimo idea di come sopravvivere al logorio della vita moderna prima dell'avvento dei video a 360° su Facebook, che per ovvie ragioni dovrebbero essere il ponte concettuale tra il cinema d'essai e un'esperienza porno in realtà virtuale.

La performance che ci ha regalato ha poco a che vedere con il Samsung Gear VR, il visore per la realtà virtuale di Samsung che finirà sugli scaffali per 129€ e che dovrebbe quindi in qualche maniera aiutare a riempire la voragine lasciata dal prezzo di listino di Oculus Rift, fissato a 742 euro.

Mark Zuckerberg, infatti, aveva ben poco da dire agli spettatori del Mobile World Congress, e ciò è testimoniato anche dalla replica che ci ha regalato con il video backstage che ha postato poco dopo sul suo account Facebook e in cui ripete esattamente parola per parola ciò che ha detto poco prima sul palco. Mark ha servito il palco di Samsung per fare quello che in gergo nautico viene definito "elicottero col cazzo", o anche "pisciata di cinghiale". Doveva far sapere che c'era e che anche quel settore era suo.

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Live behind the scenes in Barcelona

Pubblicato da Mark Zuckerberg su Domenica 21 febbraio 2016

Fino a qui sta andando tutto sommato bene: se anche io avessi i soldi e il potere di Mark Zuckerberg sono certo mi comporterei esattamente nello stesso modo. Ciò che mi ha spaventato, però, è altro.

La foto, pubblicata da lui stesso sul suo account e che lo ritrae pochi momenti prima del discorso, lo dipinge con pennellate inequivocabili: Mark, unico faro illuminato nel buio della caverna, marcia leggero tra le schiere del suo esercito cieco e al tempo stesso onniveggente. Imperturbabile, si compiace della sorpresa che sta per regalare alla sua sudditanza. Le poche frasi di The Verge parlano chiaro, "quando per i giornalisti è arrivato il momento di togliere i visori che era stato chiesto loro di indossare, Mark Zuckerberg era lì, in mezzo al palco, con addosso la sua solita maglietta grigia. Subito dopo un confuso istante di incredulità ed euforia, si è scatenato un tifone di giornalisti e fotografi che ha assaltato il palco. Zuckerberg doveva parlare della partnership tra Samsung e Facebook, ma gran parte delle sue parole non hanno fatto in tempo a raggiungere le orecchie del pubblico, troppo impegnato a scattare foto e far brillare i flash."

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La tecnologia evolve a ritmi spesso incomprensibili ma incredibilmente naturali. Pochi decenni fa il futuro degli spostamenti su gomma erano le navicelle spaziali, e solo ora ci rendiamo conto che le gomme sono venute per restare e che la vera partita si gioca sui carburanti e sulla presenza o meno di un pilota.

Quando pensavamo all'alienazione causata dall'informatica immaginavamo secchi invasati rinchiusi notte e giorno in un seminterrato dimenticato da Dio, impegnati a cliccare e digitare in ogni tempo morto presente tra i cicli di sonno — Oggi i seminterrati sono deserti e il morbo è portato da smartphone e tablet, che ci stanno divorando le diottrie senza chiedere permesso e senza doverci rinchiudere nel confino sociale; paradossalmente, sono gli stessi smartphone e tablet a fungere oggi da protesi per la nostra socialità, e sempre più spesso la loro assenza mutila il nostro potenziale nella società. Forse non volevamo tutto questo, ma oggi non ne possiamo fare a meno. Il progresso è un po' questo: subdolo e necessario.

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This Is The Future

The future is here.

Pubblicato da The LAD Bible su Domenica 21 febbraio 2016

Lo spettacolo che ieri Mark Zuckerberg ha messo in scena mi fa paura proprio per questo — Quando hai così tanto potere e così tanti soldi non sei esattamente incline ad accettare consigli che remano contro il tuo sogno d'infanzia, e l'impressione è che il sogno di Zuckerberg sia proprio questo: vivere nel virtuale, addobbati di pesanti visori e costretti a meravigliarci quando, una volta tolti, si palesa davanti a noi una figura umana.

Non è mia intenzione dire che la realtà virtuale non possa essere il futuro, o che la strategia di marketing di Zuckerberg — con il progetto Oculus venderà il Rift, un visore di fascia alta, e il Gear VR, un visore di fascia bassa sviluppato in collaborazione con Samsung — sia destinata a fallire. Quella che mi spaventa è la realtà, quella non virtuale, che dubito potrà fare a meno di piegarsi al capriccio del miliardario più potente di internet, e che dunque non avrà tempo per potersi adattare a questo progresso. La realtà virtuale non farà in tempo a diventare subdola e necessaria, e ci verrà lanciata addosso così com'è: rozza, superflua e costosamente inutile.

Ieri sera, un po' come mi era successo con il caldo e con gli algoritmi, ho cominciato ad avere paura di Mark Zuckerberg e del suo parlare impostato. Prima non mi stava particolarmente simpatico, ma adesso mi terrorizza in tutto e per tutto. E non so bene cosa farci, visto che tra poco condividerò questo pezzo sul suo social network, Facebook, e lo girerò a qualche mio amico sul suo servizio chat, WhatsApp. Credo abbia vinto lui.

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