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Tecnologia

C'è un gioco che si chiama ‘Ruspadana’ in cui schiacci gli immigrati con la ruspa

Per fortuna è stato subito rimosso dagli store, anche se gli autori insistono che si tratta solo di 'satira'.
Giulia Trincardi
Milan, IT
Immagine via: Twitter

La settimana scorsa è apparso sull’AppStore un gioco mobile intitolato “Ruspadana.” Evocando uno degli slogan più famosi e controversi dell’attuale Ministro degli Interni (nonché segretario della Lega) Matteo Salvini, la app invita il giocatore a schiacciare con la ruspa immigrati di colore, in una valle montuosa in stile 8bit.

“Aiuta Ruspadana a fermare l'invasione! Ripulisci le strade, rimuovi gli ostacoli. E goditi le Alpi,” recitava la descrizione del gioco sullo Store, concludendo che “Il tempismo è tutto.”

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Stando a quanto scritto su La Stampa, il gioco — sviluppato dagli italiani Matteo Barni, Giampiero Salemme e Marco Romano, che avrebbero frequentato la iOs Academy di Napoli — è stato rimosso dopo meno di un giorno in seguito alle numerose segnalazioni degli utenti. La pagina dello Store che ospitava Ruspadana è, però, ancora disponibile archiviata.

Nel mezzo delle reazioni critiche che sono fioccate durante il fine settimana, il profilo Twitter della app ha pubblicato alcuni comunicati, spiegando che il gioco nasce con intenti satirici, e vuole far riflettere sugli attuali “discorsi dei politici contro gli immigrati,” — discostandosi, allo stesso tempo, dalle interpretazioni negative che sono state date più o meno unanimamente.

Fa piacere sapere che non si tratti di un gioco volutamente razzista, il problema è che gli sviluppatori hanno raggiunto, di fatto, lo scopo esattamente contrario a quello previsto — e il motivo è una questione pura e semplice di design.

Il discorso su cosa è legittimo considerare satira e cosa no è complicato — perché imporre regole assolute e a priori su cosa possa o non possa essere oggetto di ironia cruda rischia di instaurare un moralismo inutile. Ma il design resta un mezzo di comunicazione che funziona con le regole proprie di qualsiasi linguaggio: se non si fornisce una chiave di lettura chiara, in questo senso, l’ironia che si spera di trasmettere resta invisibile al pubblico.

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Il cosiddetto “razzismo ironico” — di cui questo gioco può forse considerarsi un esempio — è razzismo e basta, esattamente come l’altrettanto popolare sessismo “ironico” è solo sessismo mascherato da battute. Ribadire un messaggio discriminatorio decretando di farlo “solo” per ridere non aggiunge niente alla decostruzione di qualsivoglia stereotipo, ma, anzi, contribuisce a legittimarlo, con l’aggravante — spesso e volentieri — di sottovalutarne l’effettiva portata sociale.

In altre parole, fare un gioco in cui si schiacciano immigrati di colore in un momento politico in cui molta dell’opinione pubblica inneggia — senza ironia — alla necessità di soluzioni simili nel mondo reale, contribuisce, suo malgrado, a una narrativa che nega l’esistenza di un’emergenza umanitaria in corso. “L’invasione” degli immigrati percepita da alcuni italiani non è criticata o ridicolizzata, ma confermata dalle meccaniche limitate di un gioco che non si dichiara mai — se non nelle parole insufficienti degli autori — come satirico.

La app è stata paragonata in più casi su Twitter ad altri due giochi indipendenti a sfondo politico sviluppati negli ultimi anni — Call of Salveenee e Marò Slug — entrambi diventati virali anche per le critiche ricevute da alcuni politici.

Parlando via chat con Motherboard, Emiliano Negri — il designer dietro Marò Slug, che nel 2015 aveva trasposto la pantomima internazionale dei marò italiani arrestati in India in un’edizione ad hoc del classico sparatutto Metal Slug — ha spiegato che il punto di una provocazione che possa considerarsi riuscita è, banalmente, “non cadere nel vuoto.”

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A differenza di un gioco come Call of Salveenee, insomma, — che esorcizza un personaggio di estremo potere come Salvini —, ha detto Negri, questo gioco “non esorcizza niente,” specificando che “non è una questione di moralismo, semplicemente la satira deve offrire uno spunto di riflessione, altrimenti è solo uno sfogo.”

Ruspadana, alla fine della giornata, è soprattutto un esempio di pessimo design.

Ci sono infiniti esempi di giochi che riescono a trattare con la lente dell’umorismo nero temi estremamente controversi o delicati — lo sviluppatore Paolo Pedercini, per esempio, ne ha fatto il fulcro del suo lavoro con Molleindustria, toccando temi come l’abuso minorile, la retorica sul diritto alle armi negli USA, la religione, i droni da guerra e persino le aspettative che le donne devono soddisfare in un rapporto sessuale. Il tutto, con giochi tanto divertenti sul piano immediato, quanto abili nel ribaltare sempre il punto di vista del giocatore.

Ruspadana, alla fine della giornata, è soprattutto un esempio di pessimo design. Il problema però — come dimostra il fatto che il gioco sia riuscito a passare il check di Apple per finire sullo Store e sia stato rimosso solo in seguito alle segnalazioni degli utenti — è che il significato di un’opera che nasce ambigua nel peggior senso del termine diventa responsabilità del suo pubblico. E nella società italiana attuale — dove il razzismo è tutt’altro che un problema superato — potrebbe facilmente essere strumentalizzata con fini opposti a quelli “ironici” e benevolenti che si era prefissata.

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