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Tecnologia

Dobbiamo parlare di YouPol, la app per 'incastrare bulli e spacciatori'

Una app sviluppata dalla Polizia Italiana che ha tutte le carte in regola per diventare uno strumento orwelliano.
Immagine: grab via Google Play

1984 di George Orwell è una specie di filtro con cui spesso, nostro malgrado, noi di Motherboard ci ritroviamo a interpretare la realtà. Un po' perché siamo paranoici di natura, un po' perché l'attualità politica italiana ci sta dimostrando sempre di più che si può dire tutto e il contrario di tutto e andare al governo — perfettamente in linea con uno degli slogan del partito del Grande Fratello orwelliano: "la menzogna diventa verità e passa alla storia".

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Da qualche tempo a questa parte, per completare il quadro, in Italia si sta realizzando anche una specie di psicopolizia che invita alla partecipazione diretta dei cittadini al sistema di sicurezza tramite una app: YouPol. Attiva su Roma, Milano e Catania già dallo scorso novembre, il 15 maggio è arrivata anche in quasi tutti gli altri capoluoghi di regione.

Secondo quanto riportato negli ultimi giorni su alcune testate locali, la app sta già dimostrando la sua efficacia. Mercoledì, in uno scantinato di Taranto, sono stati ritrovati un ordigno e delle armi detenute illegalmente proprio grazie a una segnalazione con YouPol. Alcuni minorenni poi, in diverse parti d'Italia, sono stati fermati per spaccio o per uso di droghe — facendo, come vedete, la felicità di Dj Aniceto.

YouPol è una app sviluppata internamente dalla Polizia di Stato ed è disponibile sia per Android che per Ios. Stando ai dati della Polizia, da novembre a oggi sono stati effettuati oltre 100 mila download, che hanno portato a oltre mille segnalazioni per bullismo e duemila per spaccio. "L'applicazione permette all'utente di interagire con la Polizia di Stato inviando segnalazioni (immagini o testo) relative a episodi di bullismo e di spaccio di sostanze stupefacenti" è scritto sulla presentazione nell'App Store.

Sia i messaggi che le foto vengono poi trasmesse all'ufficio di Polizia e sono geolocalizzate consentendo di conoscere in tempo reale il luogo degli eventi. L'interfaccia è molto intuitiva: una volta effettuato l'accesso, compare una mappa in cui si viene immediatamente individuati e una casella di testo in cui inserire un messaggio diretto dopo aver selezionato tra una delle uniche due categorie nel menu a tendina, bullismo e droga.

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La segnalazione può anche essere anonima. Inoltre, grazie ai due pulsantoni gialli e rossi, si può risalire alla cronologia dei messaggi passati o fare direttamente una chiamata in questura. In sostanza, la app non fa nient'altro che portare nel 2018 quello che una volta si faceva chiamando il 112 per segnalare delle violazioni. Lo fa solo in maniera più immediata e multimediale.

Proprio perché siamo nel 2018, però, le domande relative alle implicazioni sulla privacy e su eventuali accanimenti personali dei cittadini non sono poche. Per quanto riguarda le foto, per esempio, un portavoce della Questura di Milano ha spiegato a Motherboard che non possono costituire prove sufficienti, se non seguite da una flagranza di reato. Una volta arrivati sul luogo, infatti, è necessario che gli agenti trovino prove concrete della violazione segnalata per poter fermare l'eventuale bullo o spacciatore.

Alla presentazione ufficiale della app, a novembre, il prefetto Gabrielli aveva dichiarato che: "YouPol non è una sorta di Grande Fratello. L'app non è uno strumento di delazione, non abbiamo bisogno di avere spioni sul territorio. È una modalità di colloquio tra le Forze di polizia e i cittadini, perché abbiamo bisogno di cittadini sempre più consapevoli e che si facciano partecipi del sistema di sicurezza, a partire dai giovani. Non è uno strumento repressivo, bensì preventivo".

"Ben venga ogni forma di collaborazione sociale e comunitaria diretta a prevenire forme di crimine. Detto questo, va altresì evitata un'ulteriore esasperazione del clima di paura in cui si vive. Soprattutto nelle aree metropolitane," ha detto a Motherboard Patrizio Gonnella, il presidente del Cild, Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili. "Una paura gonfiata ad arte. I dati del Ministero degli Interni ci dicono che non ci sono riscontri statistici, visto che in realtà il numero dei delitti è in calo."

"L'app potrebbe avere una sua ragionevole applicazione, ma va assolutamente evitato che si trasformi in uno strumento di delazione di massa e di vendette individuali," ha continuato. "Ovviamente va altresì rispettata la privacy. Se tutti i cittadini si trasformano in investigatori privati, vi è il fondato rischio che le immagini di persone presunte innocenti possano finire chissà dove e chissà in quali archivi. Per quanto riguarda l'utilizzo di foto e testimonianze come prove vere e proprie: dipende. Se confermate in dibattimento, con autenticità certificata, vengono usate."

Segui Antonella su Twitter: @antodb333