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La prova definitiva che lavorare nella pubblicità è il peggio del peggio

Cocaina, cazzodurismo, altra cocaina.

Immagina di esserti messo in testa che la cosa che vuoi più di tutte è un lavoro in un'agenzia pubblicitaria. È il tuo sogno, è quello che hai sempre voluto: un lavoro creativo, certo, ma nell'ambiente giusto, con la possibilità di concludere qualcosa, andare in ufficio in jeans e maglione e portarti a casa uno stipendio superiore alle tue spese. Creativo, ma senza la povertà. E a un certo punto ci riesci: hai mandato il tuo CV a tre diversi responsabili, hai pure fatto diversi colloqui, prove scritte e presentazioni. E ora quel posto è tuo. Ma c'è di più: ti hanno assicurato che quella è un'agenzia che funziona, in cui chi ha voglia di fare viene premiato e i dipendenti sono soddisfatti.

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Purtroppo, dopo qualche giorno nel tuo nuovo ufficio scopri che sono tutti degli stronzi e si comportano da stronzi per onorare la stronzaggine di un'industria che trova la sua ragione di esistere nell'essere stronzi.

Questa era la mia situazione più o meno un anno fa: ero pieno di energia ed entusiasmo, e sinceramente esaltato dal fatto che nella sala comune ci fosse un frigorifero pieno di Diet Coke a disposizione dei dipendenti. Gratis! Il prezzo da pagare per la delusione però era ben più alto. Perché l'ambiente che mi ero scelto andava oltre la parodia, in un circolo fatto di riunioni, scopiazzature e cocaina.

Ecco quello che ho imparato:

SE SEMBRA FIGO, ALLORA DEVE ESSERE FIGO

Le idee sono la base dell'industria pubblicitaria, un'industria che sa che queste idee sono eteree, difficili da imporre, quasi prive di forma, con un proprio tempo e spazio. Sfortunatamente, l'industria è anche totalmente priva di idee. Quindi come siano le idee, in fondo, non importa a nessuno.

Ho iniziato a capirlo dalle piccole cose, osservando un senior strategist prendere appunti su un tovagliolo pur avendo con sé un taccuino. O ricevendo mail destinate a tutta la compagnia arricchite da citazioni e aforismi del famoso pugile "Mohamed Alli." E imbattendomi in presentazioni che paragonavano il "contenuto virale" del tale brand a una pandemia, con tanto di persone "infettate" dal virus del contenuto.

Il peggio, però, erano le riunioni. Mi aspettavo che in un contesto di brainstorming avrei assistito a due o tre buone idee all'ora. Nei giorni fortunati magari anche quattro.

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Invece le idee non arrivavano mai. Al loro posto c'erano… qualsiasi cosa siano queste cose che state per leggere:

"L'Underground è, per sua natura, celato alla superficie."

"Quando un claim non è autentico, sembra falso."

"Attraverso la promozione di sinergie possiamo creare una nuova consapevolezza."

Tutto ciò sarebbe anche accettabile, se queste frasi tanto ridondanti quanto prive di senso non fossero state la quadra di vere e proprie campagne a cinque zeri.

POCHI. PENSIERI. COMPLESSI.

Nel corso della mia prima settimana di lavoro sono venuto a conoscenza di uno dei punti chiave del lavoro dell'agenzia: le strategie complesse potevano essere veicolate unicamente attraverso slide. Più immagini c'erano, meglio era, e soprattutto:

  • Mai
  • Più
  • Di
  • Cinque
  • Punti.

Quando ho commesso l'errore di buttare giù una dettagliata analisi di un competitor sotto forma di file Word, il mio superiore mi ha chiesto di "visualizzare" il mio lavoro. Per farlo avrei dovuto servirmi di uno dei programmi di alto livello messi a disposizione dall'azienda: "Un PowerPoint."

SE CAMBI IL NOME DEL MARCHIO MICA È PLAGIO

Un altro momento ricorrente nelle riunioni era quello in cui qualcuno dei capoccia, venuto a presentarci la richiesta di progetto di turno, ci invitava a prendere ispirazione dal lavoro di altri brand. Capitava così di "ispirarci" guardando le campagne fatte da un'altra agenzia, scomponendole nei loro temi chiave e parafrasandole parola per parola fino a traslarle in qualcosa di utile al brand per cui stavamo lavorando.

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Succedeva continuamente. Ricordo per esempio un marchio di biscotti che voleva rebrandizzare uno dei suoi prodotti più conosciuti e al contempo disprezzati. Per aiutarci a inquadrare le necessità del marchio, i responsabili ci avevano messo in una stanza a guardare e riguardare una pubblicità degli Oreo. Non appena finiva la facevano ripartire, e ancora e ancora, fino a che il progetto che abbiamo creato non sembrava semplicemente passato attraverso un vocabolario di sinonimi.

Un'altra volta, dovendo lavorare alla campagna per un'auto, ci siamo lasciati completamente "ispirare" dal "Build Your Own Car On Instagram" di Mercedes-Benz. Alla fine la nostra agenzia ha vinto la gara.

ANCHE TU PUOI DIVENTARE UN PUBBLICITARIO

I metodi creativi non erano così creativi, mi dicevo. Eppure con tutti questi soldi l'agenzia avrà alle spalle dei bravi client director, quelli incaricati di curare non solo il rapporto col cliente e la parte creativa, ma anche i budget e la reportistica.

Non era così. Ricordo in particolare una conversazione—che probabilmente non era nemmeno arrivata a una soluzione—in cui ho cercato di spiegare a un tale che l'incremento dell'un percento nelle vendite year-on-year era un miglioramento rispetto all'incremento del tre percento dell'anno precedente. Queste stesse persone attingevano regolarmente a quanto si diceva nelle riunioni e trasformavano il tutto in campagne da centinaia di migliaia di euro. La morale della favola è: con una faccia abbastanza tosta, una bocca abbastanza larga e una certa considerazione di sé, chiunque può lavorare in questo settore. L'asticella intellettuale all'ingresso è eccezionalmente bassa.

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SE NESSUNO TI SCOPRE NON È UNA BUGIA, O: "IL TAO DELLE STRONZATE"

Le presentazioni nell'industria non sono vuote solo per effetto delle parole che vengono usate. Spesso anche le cose più tangibili al loro interno sono un'unica, grande fuffa. In agenzia c'era un reparto particolarmente orgoglioso di un tool da loro stessi sviluppato capace, tramite un algoritmo di ideazione della compagnia, di migliorare la targhettizzazione di una campagna televisiva.

L'unico piccolo problema è che questo tool non esisteva per davvero. Ma, come mi aveva spiegato un superiore, ai clienti piaceva tanto vedere le schermate photoshoppate che ne illustravano il funzionamento e gli incredibili risultati raggiunti per mezzo della sua esistenza. E se aiutava a chiudere gli accordi anche solo esistendo su carta, c'era davvero bisogno di farlo esistere nella pratica?!

ANDRÀ TUTTO BENE SE RIESCI A FINGERE CHE SIA IL 1965

Una delle cose che più mi avevano galvanizzato dell'agenzia era la promessa di un ambiente positivo. La compagnia era stata inserita più volte ai primi posti per soddisfazione del personale e assegnava ai dipendenti alcuni dei benefit più allettanti di tutto il Regno Unito—non solo nell'industria creativa.

Ma la realtà quotidiana non reggeva il confronto con tutte le suddette promesse. In ufficio si discuteva prevalentemente di tre cose: cosa era successo all'ultima serata tra colleghi (sesso; cocaina), con quale personaggio avevano fatto uso di cocaina (cocaina; sesso) e chi aveva fatto cosa con chi (un perfetto diagramma di Venn di cocaina e sesso).

I miei colleghi passavano una buona dose di tempo a commentare foto e fare battute idiote, e quando si stufavano di una delle due cose cominciavano con l'altra. Non ricordo se Don Draper parlasse mai di Twitter, ma tutto il resto era proprio come in Mad Men.

FINCHÉ REGGI, VAI AVANTI

Detto ciò, consiglierei a qualcuno di tentare la fortuna nell'industria pubblicitaria? Da una parte, la mia risposta è no. Dall'altra, è sempre no. Quando ci entri e inizi ad avere a che fare ogni giorno con queste persone, a sbattere la testa contro un muro privo di creatività e a creare declinazioni infinite della stessa campagna (close up di bambini di età e origini varie che aprono lentamente gli occhi; versione monocorde e ossessiva di una canzone famosa; voce narrante maschile cadenzata; auto che sfreccia su un paesaggio roccioso) capisci finalmente il perché: perché girano così tanta cocaina e fame di sesso. È l'unico modo per andare avanti.

Comunque ora lavoro in un ufficio stampa. È un ambiente molto più cordiale.