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Tecnologia

La startup che vuole riportare in vita i morti con l'IA

Questa startup vuole replicare l'intelligenza artificiale che si vede in *quella* puntata di Black Mirror, ma i dubbi sono moltissimi.
Giulia Trincardi
Milan, IT
Immagine: Netflix / Black Mirror

Nella puntata della seconda stagione di Black Mirror, Be Right Back (Torna da Me, nella traduzione italiana), viene presentata una tecnologia in grado di ricostruire la personalità di una persona deceduta, di "resuscitare" il suo modo di parlare e di pensare, grazie all'analisi e alla rielaborazione della sua attività sui social.

Come nel resto degli episodi, anche in questo caso la fantascienza di Black Mirror si rivela più premonitrice che distopico: un'azienda di Los Angel sta infatti lavorando a una tecnologia che permetta di realizzare un back-up "degli stili di conversazione, degli schemi comportamentali, dei processi di pensiero e delle informazioni sul funzionamento interno ed esterno del corpo" di un individuo—e pensano di arrivare a risultati concreti nel giro di soli 30 anni.

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L'obiettivo di Humai, questo il nome dell'azienda di robotica, non è tanto offrirci l'illusione di parlare con la simulazione di una persona scomparsa, ma permetterci di sopravvivere alle nostra vestigia mortali, di vivere per sempre "scaricati" su una fila di chip di silicio. "Costruiamo sistemi di life-support in grado di accogliere un cervello vivente ed estendere la durata della vita umana," si legge sulla pagina Facebook dell'azienda. "[Il tutto sarà contenuto] in un corpo modulare cibernetico che utilizza un'interfaccia cervello-computer (BCI) per operare con organi e arti sintetici."

Il progetto ha indubbiamente qualcosa di fumoso.

Come spiega il sito The Transhumanist, il processo messo a punto da Humai si basa su tre passaggi fondamentali: il congelamento criogenico del cervello umano, lo sviluppo di un corpo bionico e l'implementazione finale delle informazioni ottenute dal cervello umano tramite l'uso di nanotecnologie e intelligenza artificiale. Insomma, Humai è intenzionata a permetterci di congelare il cervello dei nostri cari per poi ritrovarlo montato su un corpo artificiale nel giro di qualche decennio.

"L'intelligenza artificiale," si legge sempre sulla pagina del progetto, "sarà integrata su organi sintetici, così che possa operare indipendentemente. Una tecnologia sensoriale permetterà alle persone di percepire l'essenza dell'esperienza umana."

Il progetto ha indubbiamente qualcosa di fumoso: la start-up non ha ancora un sito ufficiale e il suo fondatore, il 25enne Josh Bocanegra, non ha particolari esperienze nel settore della robotica o della programmazione di IA, bensì un passato da imprenditore, puntualizza Business Insider. Ma, nonostante gli obiettivi sul lungo periodo ambiziosi, Bocanegra sembra intenzionato a muoversi per piccoli passi: il primo è quello di creare una applicazione di messaggistica che simuli le risposte di una persona vera tramite un'IA.

In altre parole, pur puntando un giorno a inserire il cervello umano in un corpo bionico in grado di restituire le sensazioni di uno fisico, perché—ha spiegato Bocanegra a Business Insider—"non avremmo lo stesso senso del sé trasferendo [solo] la nostra mente" su un computer, il passaggio intermedio sarà proprio quello profetizzato da Black Mirror, per poter "interagire con una versione virtuale" di una persona scomparsa, anziché limitarci a "guardare le sue foto e i suoi video."

Humai si inserisce in un panorama di tecnologie e aspirazioni futuriste e transumaniste che vuole trasformare il concetto di morte da termine inevitabile della vita a mutazione di stato della stessa. L'idea che un giorno la morte sia una questione di scelta e che l'umanità possa guardare all'aldilà come uno spauracchio obsoleto è sicuramente affascinante. I settori tecnologici e medici stanno procedendo con determinazione per far sì che questa ipotesi diventi realtà, come dimostra il boom dell'industria criogenica e della sperimentazione medica dedicata all'inversione o arresto del processo di invecchiamento, la cui chiave potrebbe essere persino genetica.

Certo, la volontà di replicare la personalità di una persona deceduta per sentirne meno la mancanza, la dice lunga non solo sui prodigi della tecnica che il futuro potrebbe riservarci, ma anche sulla difficoltà umana del relazionarsi con la morte, soprattutto in un'epoca dove l'esperienza umana della vita è così accelerata. Non resta che vedere a cosa porterà il progetto Humai, e se sarà all'altezza delle migliori aspirazioni transumaniste o dei peggiori incubi della fantascienza.