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Fanculo gli spoiler e fanculo Game of Thrones

Ho sempre seguito Game of Thrones: non tanto perché mi piaccia, quanto perché è praticamente impossibile non farlo. Ma non ho ancora visto l'ultima puntata, ed è l'ora di dire basta.

Jon Snow in

Game of Thrones.

DISCLAIMER: L'autore non ha ancora visto l'ultimo episodio della quinta stagione di Game of Thrones; tuttavia, anche se ormai non ha più senso parlare di spoiler, alcune delle informazioni contenute in questo post potrebbero passare come tali.

Non sono davvero preoccupato della sorte di Jon Snow. Ad oggi, accada quel che accada, sono comunque piuttosto rilassato. Ed è notevole, visto che è uno dei pochissimi personaggi di Game of Thrones di cui ricordo il nome. Il resto dell'immenso cast è perlopiù una serie di tracce mentali piuttosto sbiadite: "quello basso", "quella mezza strega", "il tipo triste con la barba", ecc. Nonostante il mio disinteresse nei confronti della serie, l'ho seguita di passo in passo dalla seconda stagione in poi, trascinato dal resto del mondo che la guarda, la studia, la memorizza, la spoilera sbadatamente e la critica.

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Anche quest'anno, quindi, ogni lunedì sera negli ultimi due mesi è stata "serata GoT", un rituale collettivo (nel mio caso) di cui non godono altre serie, quelle più belle di Game of Thrones. Ho saltato solo una puntanta, il finale di stagione. Lo recupererò? Non ne ho voglia ma credo sia inevitabile: devo farlo.

È questa la grande peculiarità dello show fantasy di HBO: l'aver creato un prodotto culturale simile a un meme, ubiquo e auto-replicante, dalla potenza enorme, tale da costringere milioni di persone a guardarlo—e non in ritardo, pena lo spolier, ma ci arriviamo—per non essere tagliati fuori. E si rivela importante anche se, nel mio caso, fino a un paio di settimane fa ricordavo la connessione tra Sansa e Reek, che mi pare di aver capito essere importante: non bisogna restare indietro, ogni minuto di ritardo dalla fine della trasmissione oltreoceano è un'era geologica, ogni avvenimento di Westeros, un mondo fantasy, sembra avere ripercussioni concrete, come se evitare GoT fosse come aver scelto di guardare una replica di Friends invece della finale dei Mondiali del 2006.

Un atto d'isolamento che rivela notevoli problemi nei rapporti con il mondo. Il che è strano visto che è possibile gustarsi una serie come Mad Men tra due o cinque anni, e rimarrà un capolavoro fitto e non riassumibile, a prova di spoiler. GoT no: è un essere indifeso che può essere annientato da un minuscolo riferimento allo starnuto di una principessa o un combattimento tra due personaggi minori. Oltre la trama non sembra esserci nulla, quindi va difesa. Come i panini di McDonald's, ogni puntata deve essere consumata entro poche ore per non lasciarli avariare nei social network e nelle conversazioni reali con i vostri amici, tutti provetti spoileratori managgia a loro.

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Fossero poi gli spoiler tradizionali il problema! Con Game of Thrones i giornali di tutto il mondo hanno portato all'eccesso il genere del recap, il riassuntone analitico che blogger del settore compilano per rubare like ai fan della serie, diventato presto una nuova insidia per lo spettatore distratto. I recap di GoT sono tanti. Troppi. Secondo Google News, 7,6 milioni. E sono ovunque, poiché nel 2015 scrivere o leggere un articolo senza condividerlo su Facebook è come affidare un messaggio in bottiglia al deserto del Sahara. I recap si moltiplicano, vengono "lanciati" online con frasi accompagnatorie molto ambigue e vettrici di spoiler potenziali, per poi concludersi con il solito avviso: "Spoiler Alert!", in grado di aggiungere danno alla beff.

In Italia il povero fan-prigioniero della serie, per quanto puntuale, deve attendere il lunedì sera per guardare la nuova puntata. Egli può barriccarsi in casa, rinunciare a vecchie amicizie e passare la giornata lavorativa in un cubicolo alla Dilbert, ma inevitabilmente finirà per aprire distrattamente—magari per una questione importante!—Facebook (Twitter, se non avete un lavoro vero) o per ricevere una notifica bastarda su Whatsapp. Ed è lì che scatta il trappolone-spoiler, uno scenario bellico aperto su più fronti:
– gli status altrui;
– meme simpaticissimi sul personaggio ucciso o torturato;
– articoli e recap con immagini maliziose in grado di dare un'idea di quanto successo alla serie mentre eravate indaffarati;
– status come "RIP [inserisci personaggio scomparso nella puntata]"s.

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Non siamo però così ottusi da vivere nel 2015 prendendocela con gli spoiler, nemico ormai assorbito dalla nostra società, per quanto ancora detestatabile. Come ogni nuova prassi, gli spoiler non devono più stupire o fare arrabbiare, quanto far sorgere una domanda che arriva dritta al cuore della questione: "Perché li odiamo così tanto?" La risposta è ovvia (spoiler viene dal verbo to spoil, rovinare, e non serve aggiungere altro) ma il caso Game of Thrones sembra diverso, come se lo spoiler non intaccasse tanto la fruizione dello show quanto l'esperienza stessa di guardarlo.

È per via dell'impatto culturale della serie, pari solo a quello che Lost ha raggiunto dieci anni fa circa, in un periodo in cui i social erano meno sviluppati. GoT è un'attività collettiva, sociale, che interessa persone diverse finalmente accomunate da un'ossessione che si fa collante. Essere spoilerati è perciò fastidioso anche perché mina alle fondamenta il rito collettivo creatosi attorno alla serie—una peculiarità che mette in risalto la grande debolezza del tutto: dietro la sorpresa e l'intrigo non c'è nulla, non un personaggio dal quale sentirsi rappresentato ("Mi sento davvero vicino a Daenerys Targaryen perché anch'io come lei posso essere tenace e saggio ma soprattutto per via dei dragoni che ho in garage") e nessuna vera maturazione se non quella classica del buono-che-diventa-cattivo-o-viceversa, senza però la profondità psicologica di un Walter White o Tony Soprano.

Dicevamo: ho guardato tutta l'ultima stagione in compagnia d'amici ma mi sono perso il finale. Il punto è che lunedì, attorno alle otto, di ritorno a casa, ho bucato una ruota della macchina. Ho perso tempo, parecchio, e con esso la proiezione dell'episodio a casa di amici. Da fan della serie, l'avrei recuperata da solo, in camera, frenetico ed entusiasta. Ma, come detto, non l'ho fatto perché intimamente non me ne importa niente e ho preferito guardare le ultime puntate di Would I Lie To You? (David Mitchell è più interessante dei draghi). È ciò che succede quando la bolla della trama intricata e del colpo di scena scoppia: ci si rende conto che uscire dal tunnel è facile (basta bucare una ruota) e vivere senza quel finale è possibile.

Ad oggi la mia convinzione è di non guardare più Game of Thrones, conquistando tempo per serie migliori e liberandomi dell'abuso di stupri e infanticidii come topos letterario. All'inizio della sesta stagione, tra circa un anno, cederò alla tentazione per tema d'essere schiacciato dalla pressione sociale? Molto probabile. Anzi, sì. Nel frattempo, però, fatemi illudere.

Spero comunque che Reek stia bene. Ciao, Reek.

Segui Pietro su Twitter: @pietrominto