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Tecnologia

L'arte di 'Net Futures 2017' è il punto d'incontro tra presente e futuro

Salvatore Iaconesi e Oriana Persico ci raccontano la mostra promossa dalla Commissione UE per far convergere arte, scienza e tecnologia.

Net Futures 2017 è un appuntamento annuale della Commissione Europea che, fra il 28 e il 29 giugno, riunisce a Bruxelles player tecnologici globali — da Google a Erikson, passando per i consorzi di ricerca che beneficiano dei fondi di Horizon2020 — per indagare i futuri di Internet.

In questo evento c'è un fatto straordinario o, quanto meno, inconsueto. Accanto ai format tipici delle convention di questo genere — conferenze, panel, stand che pubblicizzano progetti e tecnologie — c'è il padiglione STARTS - Science Technologies and The Arts: una mostra d'arte contemporanea organizzata e promossa dalla stessa Commissione.

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Per capirne la particolarità bisogna fare un passo indietro, nel 2014, quando la Commissione ha varato il programma STARTS con l'obiettivo di promuovere la collaborazione fra arti, scienze e tecnologie per favorire e accelerare i processi innovativi.

L'arte come catalizzatore per l'innovazione: è l'idea alla base del programma, di cui noi di Art is Open Source abbiamo visto da vicino i primi passi, partecipando attivamente a numerosi incontri. E la capacità di progettare e coinvolgere in questo contesto dimostra la strada che ha fatto. Ma in che senso l'arte è un catalizzatore? Perché sempre più istituzioni e aziende investono in questa direzione, tanto che l'Europa ci fa un intero programma sopra?

Le risposte sono molte e diverse.

Per alcuni significa che l'arte è un ottimo strumento di dissemination per far arrivare i risultati della ricerca agli effettivi utilizzatori: aziende, consumatori, cittadini, ricercatori, a seconda del progetto. Un mestiere, la comunicazione, in cui la ricerca non eccelle, tanto che spesso l'incapacità di relazionarsi con la società fa sì che un progetto si esaurisca con la fine del finanziamento pubblico. L'arte (e il design), invece, questa cosa la fanno di mestiere. I loro metodi sono dedicati a stimolare desiderio e immaginario, a ragionare sul "bello", sull'estetica, su come le persone percepiscono e si relazionano alle cose del mondo. Ecco un primo motivo per collaborare.

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Esempio di design fiction disegnato dagli studenti di Transmedia e Near Future Design dell'ISIA Firenze. Foto: Joery Erna

Ma c'è chi va oltre, affermando che la collaborazione tra scienze, arti e tecnologie è una delle modalità operative che ci consentirà di affrontare i problemi di questo nostro inizio millennio. Cambiamento climatico, energia, povertà, salute, migrazione, lavoro. Non ce la stiamo cavando benissimo, questo lo sappiamo. E le parole di Gregory Bateson guadagnano posizioni anche fra gli scienziati, perché secondo lui l'arte è forse l'unico modo di affrontare i problemi che necessitano di un cambiamento radicale del nostro modo di pensare e di conoscere.

Pensatori illustri del contemporaneo gli fanno eco. Come Derrick De Kerckhove che nel suo The Skin of Culture riconosce gli artisti come gli unici in grado di "prevedere il presente", ovvero di comprendere lo spirito del tempo per come si manifesta nelle tecnologie e nella loro relazione con la nostra psiche e il nostro comportamento, per poi esprimerlo in modo accessibile e capace di stimolare il desiderio e l'immaginario — e quindi il cambiamento.

O Roy Ascott, per cui l'artista è il solo in grado di avere a che fare con il mondo contemporaneo — instabile, mobile, costantemente in flusso — in cui il significato è sempre più collegato alla capacità di negoziazione e interazione delle persone in ambienti complessi e tecnologicamente mediati.

L'arte, qui, non è una decorazione: è parte della strategia, sin dall'inizio.

Ma cosa succede nel concreto quando i ricercatori incontrano artisti e designer, e viceversa, in un contesto europeo di questo tipo? Una panoramica del padiglione STARTS è forse la risposta migliore.

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BodyQuake è una collaborazione fra Art is Open Source, Francesca Fini, la Fondazione Neuromed, Human Ecosystems Relazioni e il Live Performers Meeting/AVNode. Trasforma i dati relativi all'epilessia in visualizzazioni belle da vedere e utili ai ricercatori per osservare in modi nuovi la malattia che, trasferita sul corpo della performer e degli spettatori, esce dall'isolamento e dalla solitudine. Così, nel nuovo spazio della performance dove convergono tutti — pazienti e famiglie, artisti, pubblico e scienziati — si materializzano nuove tecnologie indossabili, processi di innovazione tecnologica e sociale, relazioni inedite fra i soggetti coinvolti, comunicazione e nuovi possibili mercati.

The Futures of Work è una "mostra nella mostra" che raccoglie i risultati del nostro corso di Transmedia Design a ISIA Firenze, da quest'anno in collaborazione con Nefula: un nuovo modo di fare design in cui si utilizzano dati e tecnologie, e si collabora con ricercatori e ingegneri perché la creatività è un fenomeno diffuso, di rete, che si manifesta connettendo persone, approcci e competenze differenti: è il Near Future Design. Gli studenti imparano a riconoscere i segnali deboli presenti nella società, e a interpretarli come possibili tensioni evolutive per progettare "new normal": nuove normalità che potrebbero materializzarsi in un futuro prossimo.

Mestasex, video realizzato dagli studenti del corso di Transmedia e Near Future design di ISIA Frenze per la mostra "Near Future od Works". Fra gli attori Helena Velena, gender attivista italiana che interviene nelle vesti di coach dell'azienda.

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Sei i concept in mostra, realizzati seguendo questa metodologia sotto forma di sei video immersivi e sei prototipi interattivi che indagano le trasformazioni del mondo del lavoro: dai robot, alle intelligenze artificiali al tempo libero. Come Metasex, un'azienda fittizia che che addestra robot e intelligenze artificiali per sostituire i sex worker umani. O la cavigliera Switch, una tecnologia indossabile per "lavoratori sostituibili", che monitora le nostre prestazioni.

Foto di Joery Erna.

Il tutto materializzato nella Future Map: un bell'oggetto di design della comunicazione creato da Nefula per collegare e descrivere insieme i 6 scenari, stampato e distribuito all'evento.

Insieme a noi, il cerchio si chiude con la collezione Fashion On Brainwaves di Jasna Rok che usa le onde celebrali per animare abiti futuristici: uno stimolo dall'IoT fashion design all'espressione artistica per immaginare prodotti e reinventare intere linee industriali. Lo stesso vale per All_Che_Me (del collettivo PERMEABLE), performance immersiva in cui onde celebrali creano un dialogo fra luce, musica e danza.

Martine-Nicole Rojna curatrice del padiglione, sostiene che " tutti i lavori sono future oriented. Li accomuna la capacità di materializzare futuri possibili trasformandoli in esperienze immersive che il pubblico può toccare, vedere, ascoltare, per farsene una propria idea."

La future map.

Un modo interessante per sintetizzare come e perché una mostra d'arte (contemporanea) abbia fatto, e possa ancora fare, la differenza in un contesto come NetFutures dove decisori pubblici e aziende si incontrano per discutere e prendere decisioni. Immergersi in "un'esperienza di futuro" trasporta su un piano cognitivo, sensoriale e percettivo differente, che abilita l'espressione e la performance. Entrando in questi futuri da cittadini, decisori pubblici, imprese diventiamo attori.

Insieme a questo, i padiglione STARTS ha il merito di aver introdotto l'immaginazione dei ventenni in un'arena europea. Gli studenti dell'ISIA di Firenze erano gli unici però, e su questo ci sarebbe da riflettere: si possono discutere i futuri della rete, del lavoro, dell'ambiente senza i giovani? Cosa facciamo per assicurarci la loro presenza e la loro espressione?