Cibo

Il 2022 ci obbliga a ripensare da capo come mangiamo, non solo per la Guerra in Ucraina

Siamo vulnerabili perché l’industria agricola è dipendente da mangimi, fertilizzanti, carburanti, ampiamente prodotti in Russia, Bielorussia e Ucraina.
Diletta Sereni
Milan, IT
grano problemi guerra ucraina
Foto via Getty 

La nostra vulnerabilità in questa situazione, uno dei motivi per cui Putin può farci molto male, dipende anche dal modo in cui mangiamo e coltiviamo la terra

Da settimane vivo come tutti l’apprensione per la guerra in Ucraina, appesantita dalla massa informativa che vi si è generata attorno. Una massa che mi ricorda per piglio ossessivo quello che abbiamo vissuto due anni fa per lo scoppio della pandemia, perché come allora è scandita da immagini atroci e bilanci sempre peggiori, con l’aggravante di una memizzazione immediata degli eventi. Il risultato, monitorato senza pretese scientifiche sulla qualità dei miei pensieri e di quelli che mi stanno intorno, non è solo una grande angoscia, ma un lento scivolare verso l’annichilimento. L’altro risultato, più sorprendente, è che mi è venuta voglia di numeri.

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Forse perché non li capisco mai fino in fondo, voglio usarli come mantra per distrarmi dalla massa informativa di cui sopra.

Se guardiamo i prezzi delle commodities agricole prima della guerra, erano già alle stelle. Il grano duro a febbraio 2022, cioè fuori stagione, era già venduto in Italia a più di 500 euro la tonnellata, cioè il doppio del febbraio 2021

In particolare, mi è venuta voglia di vedere che storia raccontano i numeri del cibo e dell’agricoltura, che come sappiamo sono densamente allacciati alle conseguenze di questa guerra. Per farlo ho chiesto aiuto a Vitaliano Fiorillo, professore dell’Università Bocconi e Direttore dell’Agri LAB della SDA Bocconi. Quello che segue è un riassunto delle sue risposte alle mie domande confuse sulla mancanza, presente e futura, di materie prime.

Partiamo, mi dice, da una considerazione ampia: la nostra vulnerabilità in questa situazione, uno dei motivi per cui Putin può farci molto male, dipende anche dal modo in cui mangiamo e coltiviamo la terra. Più in generale, dipende dal modo in cui importiamo dall’estero, cioè alla ricerca del minor costo (se un altro riesce a produrre a costi minori, io smetto di produrre e compro da lui, anche dimenticando la situazione e i rischi di quel paese). La globalizzazione, per come l’abbiamo congegnata, ha spinto all’iperspecializzazione delle produzioni e trasformato tutto in commodity, dai prodotti tecnologici a quelli alimentari, che si trovano dunque a competere solo sul costo.

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L’Italia per il fabbisogno domestico il paese sarebbe soddisfatto dalla produzione interna

La guerra, prosegue, arriva poi in circostanze economiche già molto difficili, con un’inflazione galoppante che segue ai due anni di pandemia e che riguarda tutto, dalle forniture energetiche a quelle agricole. Se guardiamo i prezzi delle commodities agricole prima della guerra, erano già alle stelle. Il grano duro a febbraio 2022, cioè fuori stagione, era già venduto in Italia a più di 500 euro la tonnellata, cioè il doppio del febbraio 2021. La soia adesso viaggia intorno ai 700 euro a tonnellata ma rischia di arrivare, nel picco della stagione, anche oltre i 1000 (quando nel 2021 ha sfiorato i 700).

I numeri dell’industria alimentare adesso

Russia e Ucraina insieme producono ad esempio il 31% del grano mondiale e il 32% dell’orzo

Gli chiedo di guidarmi attraverso i numeri dei prodotti agricoli che risentono di più di questa congiuntura e mi risponde con i dati raccolti dalla Commissione Europea. Russia e Ucraina insieme producono ad esempio il 31% del grano mondiale e il 32% dell’orzo. L’Ucraina da sola produce il 15% del mais e il 16% dei semi di colza. Se scendiamo su scala europea i numeri crescono: l’Ucraina fa il 57% del mais europeo, il 42% dei semi di colza, il 30% del grano e il 15% dell’olio di semi di girasole. La Russia produce l’11% del grano venduto in Europa e il 35% dell’olio di semi di girasole. 

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I numeri sono molti di più e più complessi ma la lezione fondamentale, mi spiega, è che Russia e Ucraina producono una fetta significativa del fabbisogno mondiale ed europeo di commodities agricole e prodotti intermedi dell’industria alimentare. Una fetta che, bloccata per la guerra e per le sanzioni, fa la differenza sul mercato internazionale, perché trovare altre fonti di approvvigionamento richiede tempo e costa di più. 

Perché nel sud Italia negli ultimi anni abbiamo chiuso molti mulini destinati alla produzione di mangime che ora ci farebbero comodo?

Sul fronte del grano, l’Italia soffrirà soprattutto sui prodotti made in Italy destinati alle esportazioni perché sono quelli che facciamo col grano importato, anche da Russia e Ucraina, mentre per il fabbisogno domestico il paese sarebbe soddisfatto dalla produzione interna. Ma non ha senso ragionare a livello nazionale, mi dice, perché le cause e le conseguenze si fanno inevitabilmente a livello globale.

Non è un problema solo per il cibo, ma soprattutto per mangimi e fertilizzanti

Per stimare le conseguenze sull’agricoltura leggiamo altri due dati, quello dei mangimi e quello dei fertilizzanti. Per i mangimi, mi dice, bisogna guardare alle scorte di mais, che al momento ci sono ma erano destinate in buona parte alla produzione di biocarburanti, quindi andranno razionate tra le due destinazioni, alimentando l’inflazione. Anche qui torna il tema dell’iperspecializzazione, perché ad esempio nel sud Italia negli ultimi anni abbiamo chiuso molti mulini destinati alla produzione di mangime (come sopra: costava meno importarlo, dunque perché produrlo?) che ora ci farebbero comodo. 

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Senza gli allevamenti intensivi ci basterebbe un terzo di tutte le materie prime che abbiamo contato fino a qui

Sui fertilizzanti la questione è ancora più seria perché i prezzi sono aumentati del 142% tra febbraio 2021 e febbraio 2022 – per produrli serve molta energia e sono dunque soggetti alla pesante inflazione del settore energetico. Inoltre i maggiori produttori sono proprio Russia e Bielorussia: la Russia produce il 30% dei fertilizzanti importati in Europa e la Bielorussia il 27% di quelli base di potassio.

Questi numeri deprimenti, e in particolare su mangimi e fertilizzanti, sono specchio degli errori del nostro sistema agricolo, che è ancora fortemente dipendente da un’attività insostenibile come la zootecnia industriale. Se facciamo un conto in astratto, mi dice, senza gli allevamenti intensivi ci basterebbe un terzo di tutte le materie prime che abbiamo contato fino a qui. Per sfamare gli animali usiamo 2/3 della superficie agricola adibita alla coltivazione, da cui ricaviamo 1/3 delle proteine che mangiamo, cioè carne, latte, uova (qui i dati sono del Good Food Institute).

La guerra di Putin rischia di avere effetti concreti anche sull’ambiente perché come reazione all’emergenza stiamo già parlando di tornare indietro sui requisiti della politiche agricole, di riaprire le centrali a carbone (…)

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Un esempio di campo di grano non industriale. Foto dell'autrice

Quello che ci rende vulnerabili è che tutta l’industria agricola (zootecnica in primis) è fortemente dipendente da input esterni (mangimi, fertilizzanti, carburanti), dunque c’è un collegamento diretto tra il modo in cui ci alimentiamo e il casino in cui siamo finiti.

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Abbiamo la necessità, prosegue, di ripensare l’agricoltura come “agricoltura basata sull’ecosistema”, cioè prassi agricole tese a ricreare un equilibrio, una circolarità. Meno lavorazioni del terreno, rotazioni per nutrire il suolo con piante che fissano l’azoto… è un agricoltura che migliora la gestione delle risorse idriche, riduce il bisogno di combustibili e di ogni altro input esterno. Attenzione, precisa, le rese sul medio periodo sono paragonabili a quelle del convenzionale, quindi non è adatta solo alle piccole imprese, anzi. 

L’ambiente, il cibo e la guerra

La guerra di Putin rischia di avere effetti concreti anche sull’ambiente perché come reazione all’emergenza stiamo già parlando di tornare indietro sui requisiti della politiche agricole, di riaprire le centrali a carbone

Adesso parto un po’ per la tangente, mi dice, ma forse non più di tanto. Se Putin ha deciso di attaccare adesso, anche con una forza militare sottotono rispetto alle aspettative, è sicuramente per le considerazioni rispetto alla Nato, e probabilmente anche perché ha guardato i dati dell’inflazione, immaginando che non ci avremmo caricato sopra anche le conseguenze delle sanzioni (come invece stiamo facendo). Ma forse, ipotizziamo per un attimo, può aver guardato anche altri segnali (cioè gli investimenti) di una possibile transizione dell’Occidente: transizione energetica, transizione verso un’agricoltura più circolare, transizione verso le proteine alternative. Sono transizioni che la crisi climatica ci impone, ma che abbiamo intrapreso tardi e lentamente. Una volta fatte quelle transizioni, la nostra dipendenza dalle esportazioni russe si sarebbe ridotta drasticamente, sia nel settore energetico che per i prodotti del comparto agro-alimentare che abbiamo percorso fino a qui. 

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Da questo punto di vista, aggiunge, la guerra di Putin rischia di avere effetti concreti anche sull’ambiente perché come reazione all’emergenza stiamo già parlando di tornare indietro sui requisiti della politiche agricole, di riaprire le centrali a carbone, di retrocedere su tutti gli sforzi che stavamo facendo per contrastare il cambiamento climatico, ancora una volta dimenticando che gli effetti a lungo termine non sono meno reali.

Quale sarà l’indicatore più importante d’ora in poi, gli chiedo, e lui mi risponde che sarà il clima, perché se si ripeteranno i livelli di siccità raggiunti l’anno scorso, la crisi di produzione e quindi di inflazione si aggraverebbe a livelli imprevedibili. Un altro anno di siccità completerebbe la tempesta perfetta, mi dice.

Non so se alla storia dei numeri come mantra crederò anche domani – e qui sono di nuovo io a parlare – ma se qualcuno di voi ci crede, esistono ottime mappe che monitorano le precipitazioni. Oppure c’è sempre la battuta di quel film: “potrebbe andare peggio”, e sperare che piova. 

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