Come gli italiani "pescano i segreti del clima" dal Mare Antartico

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Come gli italiani "pescano i segreti del clima" dal Mare Antartico

Raccontiamo il diario di bordo degli scienziati che abbiamo seguito durante la penultima spedizione dell'Italica, la nave di ricerca italiana in Antartide.

Leggi la prima parte del reportageL'ultimo viaggio dell'Italica verso l'Antartide

Il nostro primo incontro col Sud del mondo inizia a Roma, dove l'ENEA (l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico) e il Consiglio Nazionale delle Ricerche gestiscono il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA) che ogni anno seleziona i giornalisti da invitare al seguito della spedizione italiana. Nel 2016 siamo stati noi i fortunati prescelti.

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Partiamo quindi in aereo alla volta della Nuova Zelanda per imbarcarci sulla nave oceanografica Italica. Dopo sette giorni ininterrotti di navigazione oltrepassando il Circolo Polare Antartico, raggiungiamo il Mare di Ross e la Baia di Terranova, dove è annidata la base italiana nel continente ghiacciato.

Dalle ultime rilevazioni satellitari dell'Agenzia Spaziale Europea si evince che dal 2010 al 2015 l'Antartide ha perso 1500 metri cubi di ghiaccio.

Da qui proseguiamo un po' lungo costa e un po' a largo, nello sterminato spicchio di mare che si allarga tra Cape Washington e Cape Hallet, procedendo a zig zag tra i frammenti della banchisa. Missione: seguire una rotta che permetta di toccare i punti più propizi per compiere le diverse attività di ricerca volte a scoprire come l'Antartide e il cambiamento climatico si stanno influenzando a vicenda.

Che il riscaldamento globale abbia un impatto diretto sull'Antartide è ormai assodato, in beffa agli scettici che non credono nei mutamenti del clima terrestre. Gli ultimi studi basati sulle rilevazioni satellitari dell'Agenzia Spaziale Europea dimostrano che l'Antartide perde ogni anno quasi 160 milioni tonnellate di ghiaccio, soprattutto nella sua zona occidentale dove l'elevazione dei ghiacciai è scesa di 12 metri. La domanda che si pongono gli scienziati è: come sta reagendo a sua volta l'Antartide? È per trovare una risposta che siamo venuti con loro in capo al mondo.

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"L'Antartide, e in particolare il Mare di Ross dove conduciamo la nostra campagna oceanografica, è un motore chiave del clima terrestre," spiega Giorgio Budillon docente di Oceanografia e Meteorologia all'Università di Napoli 'Parthenope' e coordinatore scientifico della spedizione, "Qui ha origine un ciclo fisiologico che permette il continuo scambio tra il freddo polare e il caldo dei nostri territori, mantenendo così costante la temperatura media della Terra."

Come funziona questo straordinario meccanismo di bilanciamento termico planetario? Ce lo spiegano in dettaglio i ricercatori a bordo dell'Italica, impegnati nella raccolta di indizi che possano indicare se tale meccanismo funziona ancora correttamente o meno. Indizi che sono appunto nascosti nelle proprietà  fisico-chimiche dell'acqua.

La formazione del ghiaccio marino, spiegano i ricercatori, libera sale che si accumula nelle fredde acque sottostanti. Queste diventano così più pesanti e sprofondano raffreddando gli abissi oceanici,  richiamando verso le zone polari le calde acque superficiali che hanno assorbito il calore in eccesso nelle zone temperate del pianeta. Queste acque si raffreddano a loro volta, aumentano la loro salinità e sprofondano nuovamente per tornare da dove sono venute, ossia nel Mare di Ross, in Antartide — Tutto funziona come un lento nastro trasportatore che impiega circa 1000 anni a completare il suo ciclo.

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Navigazione a largo di Cape Hallet, lungo la costa della Terra di Vittoria, nel Mare di Ross.

"Se si inceppasse questo meccanismo che sposta il calore da dove ce n'è troppo a dove ce n'è poco, da noi farebbe sempre più caldo mentre in Antartide farebbe sempre più freddo," continua Budillon, "Veniamo appunto nel Mare di Ross per fare una serie di analisi che ci consentano di verificare se il sistema funziona correttamente o se ci sono anomalie".

Le rilevazioni fatte durante le ultime spedizioni mostrano che qualcosa sta cambiando: lo scioglimento della calotta polare nell'Antartide occidentale, in particolare nella zona di Bellinghouse, per via del riscaldamento globale ha portato acqua dolce nel Mare di Ross. Ciò contribuisce a ridurre la concentrazione di sale nel Mare di Ross, alleggerendo così le masse d'acqua che potrebbero avere difficoltà a precipitare verso il fondo e innescare il processo di compensazione termica.

Operazioni di recupero del "mooring", strumento che misura le proprietà fisico-chimiche dell'acqua.

A dare l'allerta sono strumenti chiamati 'mooring', serpentoni di corda ancorati sul fondo e sostenuti verticalmente sott'acqua grazie a delle boe, a cui sono agganciati diversi rilevatori di temperatura, salinità, correnti e sedimenti.

Durante la navigazione recuperiamo quelli lasciati due anni fa e poi li riposizioniamo in mare per acquisire nuovi dati, attraverso acrobatici tiri alla fune che oppongono la forza del mare ai membri della ciurma legati a poppa da cinghie di sicurezza per non farsi trascinare nell'acqua gelata dove un uomo non sopravviverebbe per più di due minuti. Momenti in cui a vincere è la solidarietà di squadra di cui l'uomo riesce sempre a dare prova di fronte all'ostilità della natura e al desiderio di conoscenza.

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"È appurato che la quantità di calore immagazzinata negli strati intermedi dell'Oceano Atlantico ultimamente è aumentata per via del riscaldamento globale."

"I mooring ci permettono di registrare le variazioni su un periodo abbastanza lungo per individuare delle tendenze, senza tuttavia poter ancora giungere a conclusioni definitive", afferma Budillon.

"È appurato che la quantità di calore immagazzinata negli strati intermedi dell'Oceano Atlantico ultimamente è aumentata per via del riscaldamento globale che trasmette calore dalla superficie verso il basso," aggiunge Pierpaolo Falco, anche lui oceanografo e docente all'Università 'Parthenope', "Capire come questo eccesso di calore si possa eventualmente combinare con un minore afflusso di acque fredde dall'Antartide, dovuto alla decrescente salinità, è un obiettivo molto ambizioso che intendiamo perseguire".

"Rosetta", apparecchiatura così chiamata per la sua corona di petali costituiti da bottiglie di campionamento dell'acqua.

Per scoprirlo, i ricercatori hanno calato in corsa dei grossi termometri intelligenti a forma di cilindro, detti 'float', che scendono in profondità e poi risalgono per trasmettere le informazioni raccolte ai satelliti di passaggio. "Effettuiamo le operazioni nella zona della Corrente Circumpolare Antartica che vortica tutt'intorno alla Terra intorno al 60 parallelo Sud," spiega Falco. La Corrente Circumpolare è un gigantesco circuito di raffreddamento planetario che distribuisce le glaciali acque antartiche in tutti gli altri oceani, bilanciando l'eccesso di calore presente nella fascia tropicale.

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Oltre ad alleviare la calura, il mare antartico immagazzina il 40% della CO2 che emettiamo con le nostre attività. "La CO2 si scioglie più facilmente nelle acque fredde e dense, come appunto quelle dell'Antartide," afferma Leonardo Langone, geologo marino dell'ISMAR del CNR, che ogni giorno si infila nel suo scatolone di metallo blu provvisto di una presa d'aria per misurare la quantità di CO2 in atmosfera.

"La CO2 si scioglie più facilmente nelle acque fredde e dense, come appunto quelle dell'Antartide."

"Abbiamo riscontrato percentuali in aumento anche qui in Antartide, malgrado sia la zona più distante dalle nostre fonti di emissione," continua Langone, "ciò, insieme al riscaldamento e alla riduzione della salinità dell'acqua, potrebbe ridurre la capacità di assorbimento di CO2 del mare antartico".

Tuttavia, come spesso accade, la natura trova il modo di tornare in equilibrio da sola, rimediando alla danni dell'uomo. Le alghe, mangiatrici di CO2 — Saranno capaci di salvarci da noi stessi?

Imbuto per la raccolta di detriti, uno dei diversi apparecchi di misurazione che compongono il "mooring".

Per accertarlo, il team di scienziati e l'equipaggio si sfiancano in una maratona di 30 ore in mare aperto, durante la quale la nave parte e si ferma a ripetizione in punti chiave del Mare di Ross per imbottigliare acqua con uno strumento chiamato 'Rosetta'. L'obiettivo è misurare le concentrazioni di clorofilla e di altri parametri chimici che influenzano la crescita delle alghe.

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"La misura di questi parametri e della clorofilla ci permette di capire in che misura le alghe, attraverso la fotosintesi, consumano CO2," spiega Paola Rivaro, oceanografa chimica e docente all'Università di Genova, "le alghe sono abbondanti negli strati più superficiali e più caldi dove penetra la luce solare e, riducendo la CO2 nell'acqua, ne favoriscono l'ulteriore passaggio dall'atmosfera al mare."

Questo sistema autoregolatore ha un prezzo: l'acidificazione dell'acqua di mare, dovuta al maggiore ingresso di CO2.

Insomma, la CO2 che il mare potrebbe non essere più in grado di assorbire per il fatto di diventare più caldo e meno denso potrebbe comunque essere assorbita dalla crescita delle alghe favorita, paradossalmente, dallo stesso aumento di temperatura. Questo processo, precisano tuttavia i ricercatori, ha un effetto positivo solo se parte della CO2 riciclata dalle alghe si accumula nei sedimenti e viene seppellita nei fondali uscendo dal ciclo globale del carbonio.

C'è anche da dire che questo sistema auto-regolatore ha un prezzo: l'acidificazione dell'acqua di mare, dovuta al maggiore ingresso di CO2. Un processo che mette in pericolo gli ecosistemi marini, soprattutto i molluschi ostacolando la creazione del loro scheletro protettivo. Una minaccia che rischia di ripercuotersi su tutta la catena alimentare fino alla nostra tavola.

In altri termini, c'è un limite alla quantità di CO2 che possiamo produrre oltre il quale l'immagazzinamento in mare rischia di alterare delicati equilibri globali e mettere ulteriormente a repentaglio la salute di un pianeta che ultimamente non se la sta cavando troppo bene.