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Tecnologia

Perché è così complicato prendere una decisione sugli OGM

L'Italia ha una tradizione di scelte fatte senza considerare la scienza.
Immagine: rationalparliament/Flickr

Prima di iniziare il discorso, guardiamoci dentro e diamo per scontato almeno questo: gli OGM non sono aberrazioni tecnologiche. Se, invece, credete a priori nei frankenstein vegetali, dovreste chiedervi seriamente se non sia il caso di aggiornare le vostre fonti di informazione. Le multinazionali non vogliono avvelenarci con i transgeni—ammesso che sia possibile—né il mondo è costretto a fare scelte di campo assolute.

Nella scienza le cose vanno così: non si può essere certi al 100 percento che le piante geneticamente modificate (GM) siano prive di difetti. La ricerca scientifica si è data parecchio da fare negli ultimi anni, studiando l'impatto ambientale, la resa e il rischio di impollinazione incrociata con le varietà di mais e soia tradizionali—ovvero alcune delle piante GM più diffuse al mondo—ma è praticamente impossibile dare una risposta netta.

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Poi, c'è il caso dell'Italia. Dove la ricerca sugli OGM è praticamente congelata da decenni e le decisioni in materia sono prese senza alcuna base scientifica. La scienza non sarà in grado di darci una risposta netta, un sì o un no, ma questo non ci autorizza a dare per scontato che sia meglio dire sempre “no” solo perché le piante GM “fanno paura” o “mettono a repentaglio la biodiversità.”

Come emerge dal dibattito al Senato, gli schieramenti politici si trovano stranamente tutti d'accordo su un punto: nel dubbio, bisogna proibire la coltivazione delle piante transgeniche sul territorio italiano. Il dettaglio più insolito della faccenda è che, negli ultimi 13 anni, l'Italia ha sempre fatto così. Poco importa se nel frattempo l'EFSA, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare, abbia approvato la coltivazione del mais MON810 sul territorio comunitario e abbia costantemente aggiornato i suoi pareri sulla valutazione del rischio legato agli OGM.

A luglio 2014, all'Italia spetterà il semestre di presidenza dell'Unione europea, e già si prospetta l'idea di mettere in discussione la direttiva europea 18/2001, ovvero il testo che traccia le linee guida per la coltivazione delle piante GM in Europa. A patto che a luglio l'Italia abbia ancora un governo, la prospettiva di stracciare le leggi europee—o quantomeno renderle inutili—resta un'opzione allettante solo dal punto di vista politico. Dare a ogni stato il potere di bandire la coltivazione degli OGM a prescindere dalle valutazioni scientifiche è un boomerang mostruoso.

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Avere il potere di dire “no” perché lo vuole la politica uccide la ricerca. Primo, non sapremo mai se una pianta GM è veramente dannosa oppure no. Secondo, se un giorno il vento dovesse cambiare, e i governi europei decidessero di introdurre varietà transgeniche dai difetti comprovati, noi non potremmo più appellarci al rigore dell'analisi scientifica. Semplicemente perché non esisterà più alcun ricercatore indipendente in grado di esprimersi sull'argomento. A dire di no a priori ci perdiamo tutti.

Immagine: L'Orso Sul Monociclo/Flickr

Il fatto è che le decisioni di natura politica sono anche le più facili da contestare. Vedi il caso dell'agricoltore Giorgio Fidenato, che nel 2013 ha seminato il mais Mon810 in Friuli sostenendo che, nonostante le regioni impongano una moratoria di fatto sulla coltivazione di OGM, la direttiva europea dice che è tutto perfettamente legale. Il caso ha sollevato un polverone, tant'è che nel novembre scorso, a raccolto ormai bello che mietuto, Coldiretti ha parlato di “disastro ambientale” per una presunta contaminazione del 10 percento sulle coltivazioni di mais. I dati raccolti sul campo dalla Guardia Forestale hanno minimizzato l'accaduto, ma con l'inverno alle porte è stato praticamente inutile farsi domande.

Tuttavia, come abbiamo imparato dopo millenni di esperienza, l'agricoltura è una pratica ciclica. Con l'avvicinarsi del periodo della semina del mais—a cavallo tra marzo e aprile—a qualcuno è venuto in mente che forse sarebbe il caso di rimettere in discussione la moratoria italiana sugli OGM. L'estate scorsa, il decreto interministeriale firmato da Lorenzin e Orlando ha proibito del tutto la coltivazione di Mon810 sul territorio nazionale per almeno 18 mesi. Al bando nazionale si aggiungono i regolamenti delle regioni in materia di coesistenza tra piante GM e colture tradizionali, dove il primo in assoluto dovrebbe essere proprio quello del Friuli. Il concetto probabilmente alla base del testo sarà molto semplice: se qualcuno aggira il divieto nazionale, affidati a regole molto stringenti che impongono distanze di sicurezza minime tra OGM e non-OGM. Se fosse applicata in Italia, paese fatto di piccoli agricoltori e terreni che si incastrano a mosaico, questa norma farebbe passare a tutti la voglia di coltivare piante transgeniche.

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Tuttavia, come racconta La Repubblica, anche in Lombardia si inizia a parlare seriamente di coltivare OGM. L'attenzione sul caso l'ha sollevata Matteo Lasagna, 39 anni, è un imprenditore che alleva vacche da latte e fa il presidente di Confragricoltura Mantova. Ha raccolto quasi 700 firme da agricoltori locali per chiedere alla Regione guidata da Roberto Maroni di considerare se non sia il caso di aprire alle piante geneticamente modificate.

Al telefono, ho chiesto a Lasagna se fosse pronto a salire sulle barricate a costo di seminare il mais GM. “Non credo alla fragola pesce, e non ragiono per slogan,” è stata una risposta abbastanza illuminante. Anche se Maroni desse il via libera, Lasagna dice di “essere sicuro che se domani ci lasciassero seminare mais o soia modificati, di certo non ci sarebbe un travaso tout court dalla coltivazione di ibirdi tradizionali.” Insomma, non è una questione di bianco/nero né una scelta totalitaria. Coltivare piante GM potrebbe essere vantaggioso in certe condizioni e completamente inutile in altre. I terreni agricoli non sono fatti tutti con lo stampino.

L'unica vera omologazione è questa: l'Italia è costretta a importare soia e mais geneticamente modificati dall'estero. "Il nostro territorio non riesce a produrre mais e soia a sufficienza,” dice Lasagna. “Sono 15 anni che chiediamo al Ministero un piano di sviluppo concreto, ma finora siamo sempre stati costretti a comprare materie prime dall'estero. Arrivano in Italia con un cartellino 'a base di OGM' ed entrano nella dieta dei nostri animali. Gli stessi con cui poi produciamo il grana padano o il prosciutto San Daniele.”

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Lo stesso concetto che aveva espresso Dario Bressanini, chimico e divulgatore scientifico, in un post del 2013: a conti fatti, il nostro paese importa ogni anno “55 kg di soia OGM per ogni italiano, deputati e ministri compresi.” Tutto per via dei mangimi prodotti a partire da soia geneticamente modificata che finiscono nella pancia di mucche, maiali e altri animali. Con un minimo sforzo di fantasia, possiamo spingerci a dire che dentro a una scaglia di Parmigiano Reggiano ci sarà sicuramente almeno qualche atomo proveniente da una piantagione di soia bruciata dal sole degli Stati Uniti. Facciamocene una ragione.

Bressanini, insieme a Beatrice Mautino, ha dato un'altra boccata d'aria al dibattito sugli OGM con “Il grande dubbio: pericolosi o sostenibili”, l'incontro che si è tenuto al Festivaletteratura di Mantova l'8 settembre 2013. In sala c'erano più di 200 persone, alle quali è stato chiesto di esprimersi a favore di una delle due asserzioni: “Gli OGM sono adeguati/inadeguati a garantire la sostenibilità in agricoltura.” Prima del dibattito, il 48 percento del pubblico pensava che gli OGM fossero “inadeguati”, contro il 42 percento che propendeva per “adeguati”—più un 10 percento di astenuti. Dopo un'ora di discussione civile con Luca Ruini e Luca Colombo, è stata ripetuta la votazione. Gli “adeguati” erano saliti al 48 percento, mentre gli “inadeguati” sono scesi al 39 percento. Diciamo che non è un esperimento perfetto di democrazia diretta—il pubblico in sala è sceso a 186 persone, la percentuale di indecisi è rimasta più o meno la stessa—ma almeno ha aiutato qualcuno a farsi un'idea sull'argomento.

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Il resto del lavoro spetta ai media. Ma non è affatto facile muoversi nel campo minato dei luoghi comuni. “Questa storia del made in italy mi fa un po' sorridere,” dice Lasagna. “Puntiamo il dito contro la pagliuzza nel prodotto che viene dall'estero, e non vediamo la trave che sta nel nostro. L'Italia ha un'agricoltura poco competitiva.” E dato che la petizione degli agricoltori lombardi non punta a stravolgere il settore produttivo, l'idea di andare controcorrente rispetto alla moratoria del ministero potrebbe essere una buona occasione per aiutare le università a fare ricerca sulle biotecnologie agrarie. Compresi gli OGM, in modo da avere un parere più “laico” sulla questione e non lasciare tutto in mano alle multinazionali.

Fare ricerca in una regione come la Lombardia, dove Coldiretti ha stilato un elenco dei comuni liberi da OGM, suona quasi come una provocazione. Non dovrebbe essere affatto così. Dire no alle piante transgeniche solo perché sono il prodotto di punta delle multinazionali è un po' come rifiutarsi di mettere le scarpe perché non ci piace la Nike. Esistono delle alternative. Solo che portare una varietà transgenica in campo è molto più complicato che cucire insieme una scarpa ecosostenibile.

“In giro si sente dire che l'agricoltura non possa fare reddito. Io invece penso proprio che deva,” dice Lasagna. “L'agricoltura e l'agroalimentare dovrebbero essere un traino per la nostra economia. Noi non possiamo delocalizzare le nostre imprese, quindi per rimanere sul mercato e renderlo redditizio, chiediamo almeno di poter applicare quella che è una direttiva europea.”

In un certo senso, non è neppure detto che gli OGM arricchiranno gli agricoltori. Forse, aprire alle piante transgeniche sarà un fallimento totale. “La partita non si gioca sulle dimensioni, ma sulla conoscenza del problema,” dice Lasagna. “È una questione che va affrontata in modo scientifico e meticoloso, sia che la risposta suoni come un sì o un no.”

È una faccenda di buon senso. Tra marzo e aprile, quando arriverà il giorno della semina del mais, in mezzo ai campi della Lombardia non ci saranno barricate.