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Storia dell'arte marziale cinese che ha dato il nome al Wu-Tang Clan

Uno stile di combattimento che dalla Cina è giunto fino agli Stati Uniti, e poi, grazie al collettivo hip-hop, a tutto il resto del mondo.

Se pensiamo al nome "Wu Tang" ci viene subito in mente il supergruppo rap di quei nove omaccioni con qualche sentore kung fu. Quello che probabilmente in pochi sanno è che c'è una disciplina marziale cinese che si chiama allo stesso modo, e per mia fortuna ho uno zio che è un gran maestro di quella disciplina. Lo zio è venuto a trovarmi un paio di mesi fa, e ho pensato fosse l'occasione buona per farmi spiegare due tre cose di quell'arte marziale. Non capita tutti i giorni di avere a che fare con un Gran Maestro, d'altronde.

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La disciplina Wu Tang è relativamente giovane rispetto alle altre arti marziali orientali. A quanto pare è nata nel 1971, anche se le sue radici sono molto più profonde e distanti. Questa disciplina è un insieme di diversi stili che si sono stratificati nel tempo, ma probabilmente la sua origine si può far risalire a Li Shuwen, un maestro di Bajiquan del diciannovesimo secolo, che è ricordato nella storia delle arti marziali come "il signore della lancia" ed era famoso per aver affermato che non poteva dire come fosse "colpire un bersaglio più di una volta". L'Aksys Games ha persino creato un personaggio basandosi su di lui nel gioco Fate/Extra, uscito nel 2011 per Playstation Portable.

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Bajiquan è un'arte marziale del nord della Cina, conosciuta per i colpi di gomito e spalla, e Li era conosciuto per averla mescolata con un'altra tecnica di combattimento—il piguaquan—che utilizzava i palmi delle mani er un movimento più delicato dei fianchi. Le due arti erano complementari, dato che i movimenti del bajiquan sono decisamente più esplosivi. C'è addirittura un proverbio cinese che parla del rapporto tra le due arti marziali.

"Quando il pigua si somma al baji, gli dei e i demoni tremano. Quando il baji si somma al pigua, gli eroi rideranno perché non c'è modo di batterli."

Col tempo, Li ha formato tre discepoli: Huo Dian Ge, che fu guardia del corpo di Pu Yi, l'ultimo imperatore cinese; Li Chenwu, che fu guardia del corpo di Mao Zedong; e Liu Yun Qiao, che fu il maestro delle guardie di Chiang Kai Shek. Dei tre, Liu Yun Qiao fu quello che ideò il sistema Wu Tang.

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Il Wu Tang è innanzitutto un'arte di conservazione. Durante la Rivoluzione Culturale, molti maestri di kung fu vennero perseguitati e molti dei documenti originali delle loro discipline andarono distrutti, eliminando alla fonte alcune tradizioni che esistevano da secoli. Liu, conosciuto tra i suoi discepoli come "Il gran maestro Liu", si era trasferito a Taiwan insieme al leader nazionalista Chiang Kai Shek, quindi le sue conoscenze delle arti marziali rimasero confinate e protette all'interno dell'isola. Da lì, Liu iniziò ad insegnarle nel 1971, e mio zio Kurt Wong fu uno dei suoi primi discepoli.

Zio Wong aveva iniziato il suo percorso all'interno delle arti marziali con il Taekwondo, e iniziò a studiare la disciplina Wu Tang nel 1972 quando sentì che doveva dedicarsi ad un'arte che gli fosse più consona. Un suo compagno di classe gli aveva indicato il Wu Tang e Wong, dopo averlo provato, non lo abbandonò mai più. Dopo i primi due anni di apprendimento, fu scelto per intraprendere un tour dimostrativo negli Stati Uniti, prima di essere chiamato nell'esercito di Taiwan, dove, secondo i suoi racconti, erano arruolate anche parecchie cinture nere di altre discipline. Quando Wong, più tardi, si trasferì definitivamente negli Stati Uniti, le sue abilità marziali gli furono utili per provvedere alla sua famiglia.

"Mio cognato mi chiese di lavorare ad un bar. Mi pagavano tre dollari e mezzo all'ora, quindi pensai che dovevo rimboccarmi le maniche. Andai quindi al Tanana Valley Community College [a Fairbanks, Alaska], e chiesi loro se c'era posto per insegnare quello che conoscevo. Mi chiesero cosa avessi intenzione di proporre, e risposi 'Il Kung Fu!" — Mi assunsero immediatamente, e mi proposero una paga di quindici dollari all'ora, che accettai di buon grado."

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Zio Wong iniziò a insegnare nel 1979, ad una classe di 25 studenti. Nel tempo formò ben cinque Laoshis (maestri) ognuno dei quali aveva quattro sifus sotto di lui, e il suo insegnamento arrivò velocemente dagli Stati Uniti all'Australia. Questo traguardo rese Wong il primo Grande Maestro della sua generazione, un fatto di cui comunque non parla spesso, dato che secondo lui "non è questo che importa."

Altri stili che fanno parte del sistema Wu Tang sono il Tanglang (la mantide in preghiera), il Taijiquan, il Baguazhang e il Longfist, dipende dalla scuola. Ci sono vari centri in diverse parti del mondo, e l'arte marziale Wu Tang è ora molto diffusa in Occidente. Nessuno, comunque, si sarebbe aspettato che una crew hip-hop da Staten Island avrebbe preso il nome di quella disciplina e lo avrebbe reso così noto a livello globale. Quando ne ho parlato con zio Wong, mi ha subito raccontato della sua reazione a questa coincidenza.

"Il nostro nome era Wu Tang, e anche il loro nome era Wu Tang, quindi ho pensato fosse opportuno cambiare il nostro in Wu Tan," mi ha detto. Se cercate su Internet, vi salterà subito all'occhio che molti altri hanno scelto di omettere la "g" finale, anche se rimangono scuole che utilizzano ancora il nome iniziale "Wu Tang", così come originariamente adottato dal Grande Maestro Liu. "Ho pensato fosse il caso di operare questa distinzione, così la gente non si sarebbe sbagliata, anche se purtroppo non possiamo cambiare completamente nome. Ho ancora una bandiera che mi era stata donata dal Grande Maestro Liu, quando era ancora in vita, che recita 'W-U-T-A-N-G', solo che quando lo cerchi su Internet ti appare soltanto il gruppo rap, quindi non so bene che fare," mi dice ridendo.

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In ogni caso, mio zio non è molto ferrato in cultura hip-hop. Se conoscesse il Clan un po' più a fondo sarebbe sorpreso. Dal loro approccio lirico fino alla loro struttura, molto della formazione richiama da vicino la filosofia delle arti marziali cui si ispira. Prendiamo un estratto dalla pagina 49 del "Manuale del Wu-Tang" di RZA:

"Dicono che un uomo debba avere 120 gradi di conoscenza, 120 di saggezza e 120 di comprensione. In totale fa 360 gradi. Ogni 120 gradi si ha un diverso passaggio evolutivo: prima devi sapere, poi devi essere in grado di parlare, e infine devi comprendere. Per l'ultima parte ci possono volere anche dieci anni."

Quest'idea è molto simile alla prospettiva di Wong dei tre livelli delle arti marziali, una teoria che narra la manifestazione della conoscenza, della saggezza e della comprensione all'interno del corpo. Maestri di altre arti marziali hanno teorizzato cose simili, dicendo che chi pratica deve prima imparare i princìpi base, un processo spesso grezzo e brutale, e solo dopo possono imparare a raffinare alcuni punti della loro arte, che è un po' un processo simile a quello con cui un artigiano impara a fare vasi sempre più intricati.

"Il primo livello lavora sulle ossa, sul divenire—la forza, l'intenzione, la velocità. Il secondo livello insegna a coltivare il tuo Chi per trasformare il tuo spirito, qui è dove impari la delicatezza, il contrario della durezza, della tensione, impari a non forzare un'energia. Il terzo livello è quello in cui metti alla prova il tuo spirito fino a condensarlo e infine trasformarlo in nulla. Per 'nulla' si intende che quando fai qualcosa a qualcuno sembra che tu non gli faccia niente, mentre invece là c'è qualcosa," mi spiega Wong. "Il primo livello è l'ossatura. Il secondo sono i tendini. Il terzo livello sono le membrane, le cellule, ciò che hai già in circolazione."

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Anche la stima che RZA fa dei dieci anni che si impiegano per raggiungere l'ultimo livello non è molto lontana da quella delle arti marziali. Quando chiedo allo zio quanto ci si impiega a raggiungere il terzo livello, mi risponde "circa tre decadi, dipende dall'individuo," e mi dice che il gregge diminuisce ad ogni gradino.

"La difficoltà è che nel primo livello c'è un processo di eliminazione. Dal cinque al nove percento dei discepoli non ce la fa a superarlo. Il secondo livello elimina un'altra percentuale. Il terzo è ancora più duro, quindi alla fine hai davanti un gruppo molto ridotto di discepoli," mi racconta Wong.

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Nella maggior parte delle arti marziali dicono che ad un certo punto l'esercizio non sta più tanto nella pratica fisica, quanto nella comprensione di se stessi: si entra in una fase meditativa, come nota RZA quando ha "imparato che il Kung Fu non era tanto un combattimento quanto più un modo per coltivare lo spirito" (a pagina 52 del manuale del Wu-Tang). Per Wong (e per chi segue la filosofia cinese) quel modo di coltivare lo spirito va addirittura oltre l'aspetto individuale: è un modo per raggiungere uno stato di grazia, per toccare il divino. È qualcosa che, secondo lui, manca nella maniera moderna di approcciare le arti marziali, più improntata all'agonismo.

"Il pericolo nelle arti marziali di oggi è che a volte perdono il proprio beneficio se vengono mal interpretate. Non posso criticare gli altri stili di combattimento, perché non li ho studiati, ma personalmente credo che se il loro scopo è soltanto quello di sviluppare una tecnica adatta all'autodifesa, allora vanno bene, però non credo si avvicinino all'essenza dell'arte marziale."

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"L'essenza dell'arte marziale è sviluppare e costruire l'anima di chi la pratica, comprendere se stessi e mettersi in dialogo con il Cielo, la Terra e l'Umanità, secondo la filosofia cinese. Avvicinandosi al Cielo, alla Terra e all'Umanità si comprende l'energia, non solo la propria, ma quella che connette ogni elemento, in modo da comprendere tutti questi elementi. Non si tratta più di mettersi l'uno contro l'altro, è molto più che un combattimento."

"Questo corpo non è reale, mi capisci? Questo corpo è qui solo per poco, ma se riesco ad usarlo per sollevare il mio spirito, allora mi trasformo in qualcosa di più grande. Wow. Qualcosa di incredibile. Questo penso. Capisci? Molto meglio che salire su un ring per provare che sei meglio di qualcun altro. No, non dobbiamo fare così. Credo sia molto più importante comprendere la filosofia che c'è dietro, in modo che il sentiero percorso da chi pratica quest'arte lo porti molto più lontano."

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C'è un dibattito in atto nelle arti marziali miste, incentrato attorno all'assenza, o alla presenza flebile, della filosofia marziale tradizionale nei combattimenti agonistici moderni. Molti di quelli che praticano ancora l'arte marziale alla vecchia maniera ti risponderanno che la competizione non è il loro obiettivo. Dall'altra parte ci sono quelli che sostengono che questa sia solo una scusa per non dimostrare il valore effettivo di alcune tecniche di combattimento. In passato, però, mi è capitato di parlare con molti allievi di scuole di boxe e jiu-jitsu che mi hanno raccontato di come praticare quelle arti marziali ha contribuito ad allontanarli dalla violenza di strada. Secondo loro, gli insegnamenti di questo genere sono ciò da cui hanno imparato di non avere nulla da provare al loro sfidante, ciò da cui hanno imparato a incanalare la propria aggressività. Principi molto simili alla consapevolezza raggiunta da chi pratica le arti marziali tradizionali ad alti livelli.

Dopo un certo punto, sembra che emerga uno scopo più nobile, sembra che a chi pratica queste arti si rivelino verità più profonde. Quando chiedo a mio zio di riassumere in poche parole ciò che ha imparato dai suoi quarant'anni di pratiche marziali, ci pensa qualche secondo e poi mi dice:

"L'umanità. Come essere umili. Ecco cosa ho imparato. Ho imparato che nessuno è più grande di nessun altro. Siamo tutti la stessa cosa."

Se volete saperne di più di Wong e del Wu Tang, andate su http://www.wutanalaska.com/.