Come Topolino è diventato Topolino

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Come Topolino è diventato Topolino

Da bambini vogliamo bene ai personaggi. Crescendo impariamo a voler bene a quel particolare Topolino, tracciato dal nostro disegnatore preferito. Ora Topolino ha iniziato una nuova fase.

Tutte le immagini per gentile concessione della redazione di

Topolino - Panini.

Giulio D'Antona scrive di letteratura e cultura americana su diversi siti e riviste. È uno degli sceneggiatori di Topolino, per cui ha scritto storie come "Pippo e l'ospite indesiderato".

Prima di cominciare a scrivere per Topolino, sono stato uno di quelli che vengono definiti "lettori forti". Gli abbonati da tutta la vita che leggono le storie pensando a come le scriverebbero e che quando poi finiscono veramente per scrivere si ricordano di quando leggevano e cercano di emulare i maestri, provocando l'ira degli editor. La mia generazione ha imparato i classici dalle parodie Disney e le locuzioni complesse dal Paperone di Rodolfo Cimino. Dico ancora cose come "Ohibò", chiamo "Tangheri" quelli che non sopporto e uso dispregiativi e diminutivi esagerati anche per un milanese. "Cuginastro", "Colleguccio", "Parentame".

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Ogni tanto mi è capitato di raccontare che ho imparato i nomi di Tito Faraci e Silvia Ziche prima di quello di Madonna. È vero. Ho cominciato a leggere attorno ai cinque anni, alla fine degli anni Ottanta, più o meno quando i nomi degli autori hanno cominciato a comparire sotto l'inizio di ogni storia. Prima di allora si potevano distinguere dalle espressioni, dai tic degli sceneggiatori, dal tratto dei disegnatori— maestri come Romano Scarpa e Guido Martina erano inconfondibili, ma gli altri si perdevano nella marea di avventure declinate in vignette e tavole.

Con l'arrivo dei nomi, il paradigma è cambiato. A chi leggeva il fumetto veniva svelato un piccolo segreto: che quella storia era il frutto del lavoro di altri, che ci sono persone che danno la voce e la forma ai personaggi, pensano per loro, li fanno agire e ne delineano la personalità. Paperopoli e Topolinia sono città in evoluzione costante. E così i loro abitanti, siano paperi, topi o cani antropomorfi. "Per la prima volta, gli autori di fumetti assumevano la loro posizione autoriale," dice Faraci, che ha vissuto in prima persona il cambiamento diventando tra le altre cose, il primo sceneggiatore ad avere una raccolta dedicata in libreria: Topolino Noir (Einaudi, 2000, poi ripubblicata da Panini nel 2014 col titolo di Topolino Black Edition). "I lettori hanno smesso di conoscerci come 'quello bravo', ma hanno cominciato a darci un nome, in questo caso Giorgio Cavazzano."

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Da bambini vogliamo bene ai personaggi. Crescendo impariamo a voler bene a quel particolare Topolino, tracciato dal nostro disegnatore preferito. Al Pippo allampanato e fedele di Martina, ai paperi sarcastici di Ziche, a quelli completamente fuori di testa di Enrico Faccini. È così che si forma un cult, dando la possibilità ai fan di fare il passo in più: di riconoscere i creatori nei loro disegni e appassionarsi ai tratti dei loro personaggi.

Per decenni, Topolino è stato la certezza del fumetto italiano. Mentre tutto attorno alcune realtà chiudevano, altre si trasformavano e altre ancora nascevano dal nulla—probabilmente destinate poi a chiudere o trasformarsi—lui rimaneva là, a presidiare le edicole. Certo, ha avuto i suoi alti e bassi, i suoi picchi di vendita e i suoi cambiamenti editoriali. Ma c'è stato un momento, nella nostra vita, in cui tutti in cui abbiamo aspettato il mercoledì, storico giorno di uscita.

Se devo pensare al momento in cui Topolino ha smesso di trovarsi alle basi del fumetto e ha cominciato a scalare la piramide del culto, però, penso proprio a quando è stata svelata l'esistenza del gruppo di lavoro, per mostrare ai lettori di cos'era fatta quella "tradizione italiana" di disegnatori e sceneggiatori tradotta, esportata e insegnata in tutto il mondo. "È cominciata in sordina," racconta Faraci. "Ma presto ha permesso di dare un volto a chi fa i fumetti. Prima di allora pensavamo che fosse sempre Walt Disney a scrivere le storie, o più genericamente 'gli americani'. Ecco, quegli americani non esistono."

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Non molto tempo fa, mentre giravo per Manhattan, mi sono imbattuto nella vetrina di una piccola fumetteria con un Topolino di Faccini. In quell'attimo ho colto le dimensioni del fenomeno e ho letto chiaramente l'evoluzione del giornalino ormai diventato fumetto, attraverso la sua maturazione e la sua affermazione, e quindi punto di riferimento per chiunque lo abbia anche semplicemente sfiorato nel corso della sua esistenza.

I trentenni di oggi sono stati i primi a riconoscere in Topolino un sistema creativo. Sono stati i primi ad aspirare a scrivere o disegnare per Topolino, perché per la prima volta si sono trovati di fronte all'evidenza di una realtà in costruzione. Per primi hanno potuto scegliere, criticare, appuntare, esaltare e rimanere delusi non rispetto alla singola storia, ma rispetto a chi quella storia l'aveva creata, scelta e pubblicata. Queste sono le basi del fandom e da qui comincia la presa di coscienza, editore dopo editore, del mito. Rispetto ai lettori precedenti, questa generazione ha potuto nutrire per il fumetto un affetto differente, più adulto, proprio perché ne ha potuto conoscere e riconoscere gli autori.

Poggiando su una schiera appassionata e informata, critica e consapevole, Topolino ha così potuto piano piano prendere coscienza della propria identità. Soprattutto negli ultimi anni, col passaggio a Panini e sotto la direzione di Valentina De Poli, si è ricavata una nicchia sempre più confortevole. "Valentina ha dato una mano importante alla riconoscibilità degli autori," dice Faraci. "Curando le prime raccolte dedicate, in cui il nome dello sceneggiatore o del disegnatore stava in copertina. Ha cominciato a intervistarci, non ironicamente, ma come professionisti."

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Arrivato a questo punto, dopo essere diventato leggenda, Topolino ha passato gli ultimi tempi a preparare l'innesco di una nuova esplosione: ha unito la malinconia alla citazione e ne ha tratto un'evoluzione per niente scontata. Nel 2012, Corrado Mastantuono ha scritto e disegnato Bum, un ranger in azione, omaggiando Tex e inventando la prima parodia meta-fumettistica che Topolino si sia mai concesso nella storia. Nel 2015, Faraci e Paolo Mottura, su soggetto di Roberto Recchioni, hanno creato Dylan Top, l'alba dei topi invadenti, in cui i personaggi disneyani fanno irruzione nel territorio bonelliano di Dylan Dog. A questa ha fatto seguito Topolinix e lo scambio di galli, scritta sempre da Faraci e disegnata da Ziche, ispirata al classico francese di Goscinny e Uderzo: Asterix.

È un passaggio importante: Topolino non ha soltanto abbandonato la parodia classica, ma ha iniziato a rivolgersi apertamente al pubblico di affezionati e ai suoi capisaldi culturali. In passato i riferimenti ad altri fumetti esistevano già, ma erano in qualche modo sempre relegati a piccole gag o suggerimenti velati, come nel riferimento di Paperinik a Diabolik. Con quest'ultimo passo invece Topolino ha stabilito il suo posto nel fumetto italiano, con la classe dei grandi che gli ha permesso di mantenere la propria cifra, distribuendo omaggi da una posizione di tutto rispetto.

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