Attualità

Uno studente ha rubato la mia identità e spacciato le mie ricerche per sue

Tutti pensavano fosse uno studente brillante, non un brillante impostore.
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT
SB
come raccontato a Snigdha Bansal
matt lodder
Fotografie: Matt Lodder (sinistra); stalker (destra).

Tutte le foto per gentile concessione di: Matt Lodder.

Matt Lodder è un professore associato di storia dell’arte nonché direttore del corso di laurea in Americanistica presso la University of Essex, nel Regno Unito. Qualche anno fa, ha vissuto un’esperienza piuttosto particolare: un estraneo ha plagiato le sue ricerche accademiche, oltre a quelle di molti altri suoi amici e colleghi, e lo ha persino impersonato. Lodder ha parlato con VICE di questa faccenda.

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Intorno alla fine del 2017, ho scoperto che qualcuno stava usando il mio lavoro e dettagli della mia vita per adescare e truffare diverse persone nelle mie cerchie accademiche e personali. Si trattava di uno studente statunitense, qualcuno che non avevo mai nemmeno incontrato. Ma non si trattava solo di me: questa persona stava anche copiando e rubando i lavori di altri colleghi e amici.

Per sua stessa natura, il mondo accademico tende a essere un ambito piuttosto di nicchia, dove ognuno ha un proprio campo di riferimento e specializzazione: in sostanza, non ci sono molte persone che studiano la storia del tatuaggio. Mi capita quindi spesso di ricevere email da parte di persone che sono interessate al mio campo di studi e io tendo sempre a fare del mio meglio per tornare loro utile. Tuttavia, diversi lavori che ho scritto o argomenti riguardo i quali ho fatto ricerca non sono ancora stati pubblicati. Immagino sia stato proprio così che sono stato fregato all’inizio, nel 2015.

Dr. Matt Lodder

Matt Lodder.

Questa persona ha scritto a me e ad altri colleghi che operano nel mio stesso campo con un nome falso, chiedendo aiuto per un articolo da pubblicare sulla sua rivista universitaria. Una email di routine per noi, niente fuori dall’ordinario—anche se, devo ammetterlo, era un messaggio breve e piuttosto scortese. Tuttavia, visto che considero parte del mio lavoro quello di aiutare le persone e rispondere alle loro domande, gli ho chiesto cosa volesse sapere. Non ha mai risposto.

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Di anno in anno, ha continuato a scrivermi, assumendo identità diverse e utilizzando vari pseudonimi e email—credo persino quella di sua madre—senza che io sospettassi alcunché. Grazie a questo metodo, ho condiviso con lui, in totale buona fede, un buon numero di cose a cui stavo lavorando.

Sulle spalle del mio lavoro e di quello degli altri, e grazie alle sue bugie, è riuscito a costruirsi una buona reputazione presso la sua università. Ha raccontato ai suoi professori di aver tenuto discorsi e conferenze a Londra, benché quella persona fossi in realtà io. Per i suoi progetti e incarichi si è limitato poi a consegnare il mio lavoro, praticamente senza togliere o aggiungere niente, se non qualche nota a pie’ di pagina.

In tutto questo tempo, ha anche prelevato diversi frammenti dai siti e dagli account social di alcuni colleghi e amici, in special modo Anna Friedman, storica del tatuaggio, e Gemma Angel, ricercatrice interdisciplinare specializzata nella storia e antropologia del tatuaggio europeo. Non seguiva nessuno di noi sui social media, sebbene continuasse a spiare i nostri profili e, in effetti, l’abbiamo scoperto proprio per questo motivo: Anna ha una pagina Instagram su cui parla dettagliatamente della storia del tatuaggio e lui ha fatto l’errore di mettere un mi piace a una delle sue immagini, un gesto che, grazie al suo curioso cognome, l’ha portata a controllare il suo profilo.

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È saltato fuori che si trattava di una copia della sua pagina Instagram. Ma c’erano anche alcune immagini del gestore vestito in una maniera simile alla mia, insieme a diversi testi copiati da lavori che io e Anna avevamo scritto.

Poco dopo esserci resi conto della portata del problema, ho scoperto anche un video di un suo talk dove era vestito come me e copiava i miei gesti e il mio modo di parlare. So bene di non avere il monopolio sui miei abiti, ma se prendiamo in considerazione il contesto generale—stava leggendo un mio lavoro—l’intenzione è piuttosto lampante. Ha addirittura copiato i miei tatuaggi, per quanto siano stati realizzati piuttosto male.

A quel punto, non è stato troppo difficile trovarlo e capire cos’altro aveva rivendicato come proprio. Solo a quel punto abbiamo capito che ci aveva scritto usando nomi falsi. Quando si trattava di presentarsi al mondo utilizzava il suo vero nome, nonostante le sue “maschere”. Lo abbiamo quindi cercato su Google, trovando le sue fotografie e la sua pagina Facebook.

Ovviamente, il suo sito era una copia di quello di Anna e persino la biografia apparteneva a lei, solo il nome era stato cambiato. Nell’immagine di copertina, appariva vestito con il mio stile e i miei tatuaggi—che, ricordiamolo, vengono spesso visti come un modo per crearsi un’identità unica e distinguersi dagli altri; in qualche strano modo è divertente notare che, cercando di ottenere questo risultato, abbia deciso di copiare sia i miei tatuaggi che la mia vita.

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tattooed hand

Uno screenshot della persona che aveva rubato l'identità di Lodder.

Un’altra cosa piuttosto inquietante è il fatto che sia chiaramente riuscito a ingannare chiunque intorno a lui: era uno studente modello, con tanto di borsa di studio. Persino quando abbiamo contattato i suoi datori di lavoro hanno tutti continuato a ritenere si trattasse di uno studioso brillante. In fondo, copiare i tatuaggi non è un reato.

Ovviamente, quello che ha fatto va contro le regole del mondo accademico, per cui l’università ha dovuto affrontare la situazione e ci hanno aiutato a capire come fosse riuscito a non farsi beccare nonostante i controlli per plagio e tutti i protocolli previsti. Ad esempio, ha copiato capitoli di libri non indicizzati e digitalizzati su Google. In più, ha sostenuto il suo computer fosse rotto, motivo per il quale non poteva passare i materiali in formato digitale, ma soltanto copie in formato fisico. Insomma, è stato davvero molto subdolo. Ma, una volta scoperto, ha perso il suo lavoro e la sua borsa di studio, non ha potuto proseguire con la ricerca e potrebbe essergli stato revocato anche il primo titolo.

Ci sono alcune cose che, a distanza di tempo, non ho ancora compreso del tutto. Perché mai si è presentato in pubblico con tutta quella roba rubata? Se si fosse limitato a farlo all’interno del suo dipartimento probabilmente non sarebbe mai stato beccato.

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Nei miei scambi di mail, comunque, ora sto un poco più attento. Aiuto ancora gli studenti, perché è il mio lavoro, ma non mando più a nessuno il mio materiale inedito. Non è nella mia natura essere sospettoso o diffidente, ma mi piace credere di essere ora più attento ai campanelli d’allarme. Nel mentre, la tecnologia è andata avanti e so che è più facile adesso individuare casi di plagio.

Guardandomi indietro, è stata un’esperienza davvero molto strana e inquietante. Abbiamo anche rintracciato alcune dichiarazioni online di una persona che diceva di essere la sua ex, che affermava che l’uomo avesse avuto altri problemi per furto di identità. Personalmente, non mi sono mai sentito minacciato da lui, anche perché so che non era fisicamente vicino. Se fosse successo tutto in una città limitrofa, però, mi chiedo se mi sarei sentito diversamente.

A gennaio del 2018 ci ha scritto una mail di scuse. Non abbiamo mai risposto, ma non è stata l’ultima volta che abbiamo avuto sue notizie. Ha ancora delle pagine sui social media, ma sono inattive. Non so se significa che è in prigione o che ha assunto un’altra identità. Magari sta vivendo una vita da sogno al Riviera. Magari è stato eletto al Congresso. Non lo so.

Ho ascoltato molti podcast dedicati agli stalker e ho scoperto che, molto spesso, tendono a non fermarsi. A ripensarci, penso di essere fortunato. Non so se serba del rancore nei miei confronti o se sta aspettando il suo momento prima di presentarsi alla mia porta. Come ho detto, non so dove sia andato. Ma credo sia meglio lasciare tutto così com’è.