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Tecnologia

Ho trascorso una settimana nell’internet decentralizzata

Lontano da Facebook, Twitter, Amazon e Google c'è una rete che somiglia molto di più a quella sognata da Tim Berners-Lee e dal cyberpunk.
Riccardo Coluccini
Macerata, IT
Illustrazione: Juta

Sono nato lo stesso anno in cui Tim Berners-Lee, ideatore del web, ha reso disponibile al mondo intero il primo web browser della storia. Era il 1991. Si chiamava WorldWideWebrinominato poi Nexus — e non solo permetteva di navigare attraverso le pagine web ma persino di modificarle e crearne di nuove: era un browser ma anche un programma di editing. Tutto incorporato in un solo software. Nell’idea di Tim Berners-Lee, il web era quindi un mezzo interattivo attraverso cui chiunque avrebbe potuto attivamente prendere, modificare e aggiustare a proprio piacimento i contenuti.

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Sono passati 27 anni e il web è completamente cambiato, relegato in giardini recintati e gigantesche fattorie di server — il cosiddetto cloud — che sono nelle mani di poche, giganti aziende tecnologiche. I nostri post finiscono nelle bacheche di Facebook e Twitter, soggiogati dai termini di servizio e dagli standard comunitari che queste aziende americane stabiliscono. Le foto e i video finiscono su piattaforme come Instagram, Snapchat e YouTube, atolli digitali completamente isolati l’uno dall’altro.

“Puoi rendere il tuo giardino recintato bello quanto vuoi, ma alla fine la giungla di fuori sarà sempre molto più affascinante.”

Per contrastare le nuove dinamiche di potere generate da questa centralizzazione di internet, sono nati diversi progetti che cercano di produrre una forza centrifuga per ridistribuire il controllo del web e metterlo di nuovo nelle mani degli utenti. Il movimento per la decentralizzazione si sta finalmente affacciando online, cercando di realizzare quel sogno cyberpunk dell’origine — capitanato dallo stesso Tim Berners-Lee che presso il MIT sta sviluppando il progetto Solid, nel tentativo di garantire un nuovo controllo dei propri dati personali.

Quest’ultimo, durante il discorso al Decentralized Web Summit del 2016, è stato molto chiaro: “Puoi rendere il tuo giardino recintato bello quanto vuoi, ma alla fine la giungla di fuori sarà sempre molto più affascinante.”

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Proprio per questo motivo, quindi, ho deciso di avventurarmi in quella giungla ed entrare nel mondo del web decentralizzato per capire cosa ci riserva il futuro.

Un browser per modificarli tutti

Il primo incontro ravvicinato in questa giungla è avvenuto con quello che assomiglia al diretto discendente del browser creato da Tim Berners-Lee: Beaker. La natura di questo browser si rivela subito guardando il sito web del progetto: “il web dovrebbe essere uno strumento creativo per tutti.”

Beaker è disponibile per tutti i sistemi operativi — MacOs, Windows e Linux — e ho subito installato senza problemi la versione per il mio sistema operativo di test, Ubuntu. Il messaggio che accoglie l’utente al primo avvio già segna la netta differenza con il web classico che conosciamo:

Non c’è più bisogno di affittare un server remoto, il tuo computer è tutto ciò di cui hai bisogno per mettere in piedi un sito web. Basta solo indicare il percorso in cui salvare i file del sito e sono pronto per cominciare.

Beaker, a differenza del web classico che utilizza il protocollo HTTP — o il più sicuro HTTPS — per comunicare tra computer e server, usa il nuovo protocollo peer-to-peer (P2P) chiamato Dat. Questo permette di sincronizzare i file e inviare dati all’interno di una rete distribuita.

Quando si visitano i siti decentralizzati che sfruttano il protocollo Dat, ogni utente si connette direttamente con il computer del proprietario del sito e mette a disposizione il proprio pc per rafforzare e decentralizzare ulteriormente i file che costituiscono quella pagina web — sfruttando lo stesso processo di seeding usato nel caso dei file torrent e quindi scaricando i file e ricondividendoli in rete. È possibile decidere come contribuire, se effettuando il seeding solo mentre si sta connessi al sito oppure per un giorno, una settimana, un mese o per sempre.

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Più utenti contribuiscono con il proprio computer alla copia e distribuzione dei contenuti di un sito e più quel sito sarà resistente ad ogni tipo di censura. Questo è uno dei punti deboli del web centralizzato attuale: bloccare un sito richiede semplicemente individuare il server su cui si trova e chiedere al gestore di spegnerlo oppure agli operatori telefonici di bloccare la connessione al determinato indirizzo IP del server. Nel caso di un sito a cui contribuiscono 50 utenti sarà necessario bloccare tutti quei computer, incrementando notevolmente la resistenza contro la censura.

Beaker, inoltre, offre direttamente la possibilità di vivisezionare i siti web che si visitano, offrendo l’accesso a tutti i file e le cartelle che compongono la pagina e permettendo di copiarli e modificarli per creare la propria versione del sito web.

Non ho resistito e ho subito creato il mirror del mio sito personale, caricato i file nella cartella che avevo selezionato all’avvio di Beaker e mi sono trovato davanti la copia esatta del sito, ma raggiungibile attraverso il protocollo Dat. Ogni modifica effettuata in quella cartella si riflette nella sezione Workspace, dove un’interfaccia simile a quella di Github segnala i file aggiornati e le modifiche effettuate.

È possibile controllare le modifiche effettuate ai file prima di pubblicare la versione aggiornata del sito.

Una chiave crittografica privata conferma l’autenticità delle modifiche che ho apportato e subito il sito viene aggiornato. Con lo stesso sistema crittografico è possibile condividere file usando dei link privati e sicuri — qui c’è una mia immagine condivisa ma vi serve Beaker per scaricarla: dat://3e625bc8c3660154229dd9a150aa470e8fe5ad5ff251d192ff1d16574a106690/

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Per quanto riguarda il mio sito, invece, ancora non è stato visitato — né scaricato — da nessuno.

Dentro al cryptospazio

Nel nuovo web decentralizzato, come abbiamo già visto per il protocollo Dat, la crittografia è il pilastro portante di tutta l'infrastruttura. Uno dei progetti più affascinanti da questo punto di vista è sicuramente Scuttlebutt, una sorta di social network in cui poter parlare liberamente di tutti i temi cari al mondo cyberpunk senza dover temere di finire stritolati nella sorveglianza di Facebook — o come viene descritta sul sito “una piattaforma decentralizzata e sicura per il gossip.”

Scuttlebutt è un protocollo di rete che permette di gestire il proprio profilo e i dati personali come meglio si crede. Ci sono diverse applicazioni che permettono di interagire con i dati così generati, nel mio test ho utilizzato il client Patchwork.

Barre di caricamento ovunque.

Utilizzando Scuttlebutt, mi sono reso conto che la barra di caricamento è uno dei simboli che contraddistinguono l’esperienza nel web decentralizzato poiché i file che abbiamo scaricato devono essere ogni volta aggiornati alla versione più recente — e nel caso di un social network come Scuttlebutt ci sono spesso nuovi post. Il software, infatti, scarica sul nostro computer le bacheche di tutti gli amici a cui siamo connessi, in questo modo, se qualcuno elimina il profilo di un vostro amico, voi avrete comunque una versione aggiornata dei suoi contenuti postati online.

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Appena entrati, però, la nostra bacheca è deserta, per popolarla abbiamo due modi: seguire direttamente le persone che conosciamo cercando il loro contatto oppure iscriverci ai cosiddetti pubs. Il funzionamento di questi ultimi è abbastanza chiaro: i pubs sono il corrispettivo digitale dei bar e dei pub in cui incontriamo persone quando siamo lontani dalle nostre tastiere, e ci permettono quindi di individuare nuovi utenti.

Alcuni dei canali disponibili su Scuttlebutt.

Inoltre, è possibile iscriversi a canali tematici in cui poter leggere i post di amici e amici di amici. Ho navigato un po’ nella sezione #new-people per farmi un po’ l’idea di chi frequenta l’universo di Scuttlebutt — rinominato dagli utenti scuttleverse.

Non sono sicuro di aver capito bene cosa sia arcology.

La comunità che gravita intorno a Scuttlebutt è tecnologicamente esperta, affascinata dal web decentralizzato e dalle sue potenzialità — incluse le criptovalute —, ma anche interessata a tematiche più al confine della discussione pubblica, come il nomadismo e la vita off-the-grid.

Mi sono affacciato ai canali #solarpunk, #feminism, #music, #bitcoin, #conceptart e persino #italy, nella speranza di trovare qualche conterraneo attivo — purtroppo gli ultimi contenuti erano stati pubblicati un anno fa e non ho ricevuto risposta.

Cerco ancora questo utente italiano. Mox601, se mi leggi batti un colpo.

Sembra veramente di essere in una zona inesplorata del web in cui tutti hanno il desiderio di conoscere nuove persone, condividere idee e parlare dell’evoluzione di internet. Ci sono diversi canali dedicati proprio allo sviluppo e alla gestione del protocollo Scutlebutt in cui si discutono le misure necessarie per garantire la diffusione di questo nuovo approccio al web.

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I dati che vengono scaricati relativi agli amici che si seguono sono accessibili anche offline e possono essere condivisi anche attraverso Bluetooth o reti mesh — come quella della comunità italiana Ninux o di guifi.net presente in Spagna.

Il web decentralizzato sembra quindi offrire solide garanzie contro la censura e i blocchi della rete internet, garantire un nuovo controllo sui propri dati e, soprattutto, sembra effettivamente il mondo immaginato dalla cultura cyberpunk.

E gli ingredienti essenziali per questo nuovo web sono la crittografia e la tecnologia peer-to-peer. Un utente di Scuttlebutt ha riassunto perfettamente in un suo post la trasformazione che stiamo vivendo: “il #cyberspazio era stato costruito all’interno di un contesto storico in cui vi erano pochi dispositivi computerizzati disponibili sul pianeta; il #cryptospazio è costruito nel contesto globale del potere computazionale ubiquo: il criptospazio è la democratizzazione dei superpoteri cyberpunk del web 2.0.”

Nella pagina delle informazioni del browser ideato da Tim Berners-Lee, si leggeva “browser-editor ipermediale, un esercizio nella diffusione globale dell’informazione.” Nella giungla del web decentralizzato, quel web sognato da Berners-Lee è ancora alla portata di un click e le fattorie dei server non ci servono più: abbiamo già i nostri computer.

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