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Tecnologia

Davvero in "2 pizze su 3" gli ingredienti non sono italiani?

L'ultimo dossier sul cibo di Coldiretti parla chiaro: in Italia l'importazione di cibo dall'estero è fuori controllo.

Cosa c'è di più italiano della pizza? La pizza con l'imbroglio. Ieri a Napoli, durante una mobilitazione di Coldiretti, è stato presentato un dossier secondo il quale, nel nostro paese, due pizze su tre sarebbero fatte con ingredienti non italiani. Mozzarella lituana, concentrato di pomodoro cinese, olio tunisino e grano canadese sono solo alcuni degli ingredienti utilizzati per impastare e condire il piatto italiano più famoso nel mondo.

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L'anno scorso l'importazione di pomodoro dalla Cina ha raggiunto i 67 milioni di chili, e l'importazione di olio dalla Tunisia è cresciuto del 279 percento. Un'altra tendenza è quella a importare prodotti caseari di base destinati alla trasformazione industriale in Italia: la Campania, famosa nel mondo per la qualità dei formaggi a pasta filata, è la regione in cui l'importazione di cagliate dall'estero va per la maggiore. I dati sono stati elaborati da Coldiretti su base Istat.

"La pizza sviluppa un fatturato di 10 miliardi di euro in Italia, dove ogni giorno si sfornano circa 5 milioni di pizze per un totale di 1,8 miliardi all'anno che in termini di ingredienti significa 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro," si legge nel comunicato di Coldiretti—Considerati i dati, che dimostrano quanto in Italia la pizza sia un vero e proprio ingranaggio fondamentale dell'economia alimentare, l'assenza di certezze sugli ingredienti con cui viene preparata assume evidente importanza.

"Metà delle pizze in vendita in Italia sono fatte con grano straniero."

In particolare per l'olio d'oliva, Coldiretti fa corrispondere questo incremento di infiltrazione all'accesso temporaneo supplementare sul mercato dell'Unione Europea di 35.000 tonnellate di olio d'oliva tunisino a dazio zero, che si vanno ad aggiungere alle attuali 56.700 tonnellate già previste dall'accordo tra Unione Europea e Tunisia—In breve, per Coldiretti, tutto l'import italiano dalla Tunisia passa attraverso questa via d'accesso, a dazio zero.

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Per Coldiretti, "metà delle pizze in vendita in Italia sono fatte con grano straniero," e "nell'ultimo anno le cosiddette cagliate importate dall'estero hanno superato il milione di quintali," spiega il comunicato. Questi prelavorati industriali provengono, secondo Coldiretti, dall'Est Europa e si stema che i 2/3 delle esportazioni casearie della Lituane siano destinate all'Italia, che nel 2015 ha aumentato del 17.2% le importazioni di formaggi per la trasformazione industriale. Così facendo, le 'cagliate industriali' hanno rappresentato nell'ultimo anno circa 10 milioni di quintali equivalenti di latte, ovvero il 10 per cento dell'intera produzione italiana.

Ancora a Napoli, nella giornata di ieri Coldiretti ha presentato la 'black list dei cibi più contaminati'—Una lista di cibi fuori norma sviluppata sulla base di analisi condotte dall'Agenzia europea per la sicurezza alimentare. Si tratta di broccoli provenienti dalla Cina (irregolari, per i troppi residui chimici presenti, nel 92 percento dei casi), del prezzemolo del Vietnam (irregolare il 78 percento delle volte) e del basilico dell'India (fuori norma 6 controlli su 10).

"Nella maggioranza dei broccoli cinesi è stata trovata la presenza in eccesso di Acetamiprid, Chlorfenapyr, Carbendazim, Flusilazole e Pyridaben," si legge nel comunicato di Coldiretti—"Nel prezzemolo vietnamita i problemi derivano da Chlorpyrifos, Profenofos, Hexaconazole, Phentoate, Flubendiamide mentre il basilico indiano contiene Carbendazim che è vietato in Italia perché ritenuto cancerogeno," continua.

"Questi paesi hanno delle normative diverse dalle nostre per quanto riguarda l'esportazione verso l'Europa o l'Italia, e c'è il rischio che abbiano usato, per esempio, degli antiparassitari da noi non consentiti," mi spiega al telefono Lorenzo Bazzana, responsabile tecnico ed economico di Coldiretti. "La Cina, per esempio, ha il primato per gli allarmi per irregolarità segnalati in Europa (386 su 2967 nel 2015, il 15 percento del totale) e per la segnalazioni ricevute dall'EFSA, lo European Food Safety Authority," continua."

Il problema, quindi, è di carattere legale, "Il problema non è l'etichettatura: su certi prodotti è prevista e, salvo le frodi, può essere utile a determinare la provenienza dei prodotti—La realtà è che le normative sono disallineate, e in questi paesi ci sono situazioni meno restrittive per quanto riguarda i contesti di produzione," mi spiega Bazzani. "Il vero tema riguarda il perché l'Unione Europea non imponga le stesse normative di produzione agli stati con cui commercia. Per esempio, abbiamo stipulato un accordo commerciale con il Marocco per l'importazione di pomodori che contenevano 56 principi attivi vietati in UE."

Come è possibile che succeda? "Sono patti di scambio: si stipulano accordi commerciali che permettono allo Stato esportatore di evitare determinati controlli, in cambio dell'aperture di vie commerciali all'interno del paese per lo Stato importatore," mi spiega Bazzani. "Così facendo l'Unione Europea parte dal presupposto che il Marocco, o qualunque altro paese, si metta effettivamente in regola con le normative vigenti con lo stato in cui esporta: il primo risultato è che si crea una disparità nei costi di produzione, perché noi non possiamo usare quel tipo di principi attivi, obsoleti e dannosi ma economici, ma loro sì—e al tempo stesso l'Unione Europea mette a repentaglio la salute di tutti," mi spiega. "È un'ipocrisia non richiedere che questi principi attivi non vengano mai utilizzati."

Così facendo si sviluppa un circolo vizioso: maggiori sono le restrizioni imposte ai produttori locali, minori saranno i loro guadagni, e di conseguenza aumenteranno le importazioni, più economiche, dall'estero, "È una sorta di masochismo politico ed economico: io continuo a imporre regolamenti, direttive e leggi sempre più restringenti sui prodotti comunitari, ma sul mercato estero questa cosa non avviene," mi spiega. "La soluzione è che durante la stipulazione degli accordi si metta in chiaro il processo produttivo sin da subito. I giapponesi fanno così: vengono qui e ispezionano gli stabilimenti—Perché noi non lo facciamo?"