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Tecnologia

Per la Polizia Postale l'anonimato online non deve esistere

L'educazione alla vita in rete promossa dalle istituzioni italiane la dipinge come una minaccia.
Riccardo Coluccini
Macerata, IT

Nei giorni 17 e 18 febbraio scorsi, a Trieste si è svolto un ciclo di conferenze sul tema della comunicazione digitale intitolato Parole O_Stili — un progetto che cerca di sensibilizzare contro l'ostilità delle parole in Rete, alla luce dei tweet e dei post offensivi che spesso troviamo online. Fra i vari partecipanti, Alessandra Belardini, Dirigente del Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni del Friuli Venezia Giulia, ha parlato nel panel Giovani e Digitale. Il suo intervento ci ha illuminati su come gli organi di controllo italiani vedono ed interpretano il digitale.

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Se da un lato le operazioni di polizia mirano a far rispettare la legge anche online, tutta un'altra tipologia di iniziative promosse dalle forze dell'ordine per diffondere una determinata cultura del digitale rischiano di passare inosservate. Sto parlando degli eventi e delle conferenze organizzati nelle scuole che hanno l'obiettivo di far avvicinare gli studenti ad internet nel modo più sicuro, onesto ed educato possibile.

Alessandra Belardini ha accennato infatti anche ad alcuni di questi progetti — come ad esempio Contagiamoci in sicurezz@ che coinvolge gli istituti scolastici del Friuli — per far conoscere ed insegnare il corretto utilizzo di internet. Tuttavia, quello che si è potuto ascoltare dal suo intervento è una descrizione di internet banalizzante contrapposto alla vita quotidiana, una dicotomia che non prevede nessuna possibilità di contatto tra le due realtà.

Il progetto una vita da social.

Questo messaggio — purtroppo spesso caratteristico delle istituzioni nei confronti di internet, che la vedono come un luogo dove vige l'anarchia, lontano da un facile controllo legislativo e che, per questo, necessita di un incremento spasmodico delle leggi, con il rischio di produrre mostri come la legge sul cyberbullismo — si ripercuote e diffonde all'ennesima potenza sui giovani: diffidate di internet perché non ci si può fidare di chi si trova dall'altra parte.

La stessa Alessandra Belardini ha ribadito questo concetto affermando che il primo punto del manifesto stilato per l'evento — Virtuale è reale — non è più valido, ed è costretta ad insegnare ai suoi studenti completamente l'opposto: "avere fiducia nel reale ma non fidarsi di quel che appare in rete" perché lì le persone "il più delle volte non sono quello che dicono di essere veramente."

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Siamo di fronte ad una retorica che gioca la carta della paura e della mistificazione di internet. Retorica che certamente non risulta nuova vista la recente adozione di misure repressive per la libertà di espressione e contro la privacy in alcuni stati europei, leggi che sono la somma di questa paura e di quella dettata dalla minaccia terroristica.

Belardini ha proseguito ricordando che i giovani sono "tecnoliquidi" — velocissimi nell'usare ma non nell'apprendere la tecnologia — e pertanto, come i liquidi stessi prendono la forma del contenitore in cui si trovano. I giovani, quindi, necessitano di contenitori appositi per prendere la giusta forma: la scuola, la famiglia, le forze dell'ordine.

Torniamo nuovamente ad una visione della vita moderna nella quale di fronte ad una serie di strumenti che sfuggono al nostro controllo — come internet — ci si rintana nelle proprie certezze, senza affrontare quelle difficoltà o introducendo i ragazzi ad un discorso più maturo e cosciente sul mondo digitale. Al contrario, organizzazioni come Zanshintech cercano di avvicinare bambini e ragazzi ad internet spiegando come gestire i conflitti digitali — nello specifico il cyberbullismo — ma senza demonizzare internet stessa.

Secondo la Belardini "non ci dobbiamo immedesimare in un'identità che prescinde da una fisicità emozionale."

Pur riconoscendo che il virtuale "ci aiuta a vivere meglio," Belardini ha suggerito che "non ci dobbiamo immedesimare in un'identità che prescinde da una fisicità emozionale," ritornando, incessantemente, all'idea che, oggigiorno, si stia tutti con gli occhi incollati allo schermo degli smartphone alla ricerca di una rete wifi libera, anziché goderci il sole ed il mare. Retorica che allude alla necessità del contatto fisico con la realtà per poter veramente fare esperienza della vita.

Eppure internet, su questo punto, ha introdotto una delle innovazioni maggiori: possiamo trovarci in un secondo dall'altra parte del mondo vedendo un video su youtube, visitare musei grazie a Google, parlare con i nostri amici che si trovano a chilometri di distanza, e tutto questo senza essere costretti dai limiti e dai problemi fisici, concreti e maledettamente reali del nostro corpo. In questo contesto espanso, la "fisicità emozionale"non è l'unica modalità per conoscere il mondo: virtuale e reale coesistono pacificamente potenziandosi a vicenda.

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Passare da questa "fisicità emozionale" ai timori dettati dall'anonimato online è sicuramente un passo breve, ed infatti il punto più basso del suo intervento è stato raggiunto con l'affermazione: "l'anonimato non deve esistere."

La slide alle spalle della Belardini che riportava questo slogan — accompagnata dalla solita immagine stock di un sedicente hacker incappucciato a cui anche noi di Motherboard siamo molto affezionati — è stata fatalmente immortalata anche in una foto circolata su twitter e ha fatto storcere il naso a parecchi dei presenti in sala. La discussione sul tema dell'anonimato online è perennemente presente in Italia e, purtroppo, la sensazione è che molti altri siano d'accordo con Belardini. L'anonimato viene considerato una delle cause principali dell'hate speech online e del cyberbullismo. Tuttavia, questa visione evita di valutare il problema nel suo insieme.

La stessa Belardini, in uno slancio di audacia rivolto contro gli utenti che utilizzano Tor, ha affermato: "Per fortuna c'è la tecnologia che non hanno solo loro, ma abbiamo anche noi, e, quindi, vi assicuro che è soltanto una questione di tempi, e non di tracciabilità" prima di poter sconfiggere del tutto l'anonimato. Una dichiarazione di intenti ed una certezza che fanno rabbrividire.

La comunità che lavora allo sviluppo ed al mantenimento di Tor svolge un compito fondamentale per la protezione dei diritti umani in tutto il mondo. Garantire uno strumento che consenta di restare anonimi online è indispensabile per tutte quelle persone che si trovano a combattere contro governi autoritari. Ma Tor è utile anche a tutti gli utenti comuni: tutelare l'anonimato è una garanzia essenziale per la libertà dell'individuo, attraverso strumenti che gli garantiscono protezione dalla sorveglianza e libertà nel processo di autodeterminazione della propria identità.

Se il messaggio è semplicemente rifuggire ogni attività digitale e combattere l'anonimato, abbiamo un estremo bisogno di educare per primi gli agenti che lo promuovono.

Non vi è alcun ragionevole motivo di consentire a qualcuno di conoscere le nostre ricerche online, ricerche che, come è recentemente avvenuto negli Stati Uniti, potrebbero essere vendute ad aziende per effettuare una profilazione degli utenti ancora più marcata.

L'intervento di Alessandra Belardini ha gettato luce su come le forze dell'ordine concepiscono internet e la descrivono ai giovani durante la loro attività sul territorio. Purtroppo, la Polizia Postale influenza il discorso su internet utilizzando per prima parole ostili. Le minacce di cui parla esistono, sono concrete, ma non sono tutto quello che accade su internet.

Si possono condividere lo spirito e gli obiettivi dell'attività della Polizia Postale — garantire la sicurezza e combattere il crimine — ma se il messaggio che traspare ai giovani è semplicemente quello di rifuggire ogni attività digitale e combattere l'anonimato, abbiamo un estremo bisogno di educare per primi proprio gli agenti che lo promuovono.