Perché nel cyberspazio odierno l’imperativo è disobbedire
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Tecnologia

Perché nel cyberspazio odierno l’imperativo è disobbedire

E il MIT vuole riconoscere i vostri sforzi.
Giulia Trincardi
Milan, IT

Aggiornamento del 21 / 07 / 2017:

Il 20 luglio sono stati pubblicati sul sito del MIT i nomi dei vincitori del Disobedience Award, indetto a marzo di quest'anno: sono la dottoressa Mona Hanna-Attisha e il professor Marc Edwards. "I due vincitori," si legge sul comunicato scritto da Joi Ito e Ethan Zuckerman, "[…] sono persone il cui lavoro riflette la speranza con cui nasce il premio."

Il lavoro di entrambi si è mosso tra la scienza e l'attivismo, spiega sempre il comunicato del MIT, portandoli a sviluppare indagini di ricerca relative alla crisi dell'acqua contaminata con il piombo a Flint, in Michigan, "per svelare un mistero che molte persone di potere avrebbero preferito tenere nascosto."

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Il professor Marc Edwards e la dottoressa Mona Hanna-Attisha, vincitori del Disobedience Award 2017 del MIT. Foto di David Silverman, via Media Lab MIT

"Il loro lavoro dimostra che la scienza e lo studio sono strumenti tanto potenti per il cambiamento sociale quanto l'arte e la protesta," si legge nel comunicato, "e sfida chiunque tra noi faccia parte del mondo accademico a utilizzare il potere di cui dispone per il bene."

Delle 7800 candidature e dei 220 finalisti selezionati nel corso dei mesi passati, il MIT ha deciso di offrire anche diverse menzioni d'onore: una per il professor James Hansen — un pioniere degli studi sul cambiamento climatico —, una per i Water Protectors of Standing Rock — che hanno unito e organizzato le tribù di nativi americani contro la costruzione della Dakota Access Pipeline nella Riserva Sioux di Standing Rock —, e una per i fondatori della Freedom University ad Atlanta, in Georgia, un programma che permette agli studenti senza documenti di frequentare le scuole pubbliche senza pagare le tasse salate riservate agli studenti stranieri.

Il comunicato si sofferma anche su Aaron Swartz, il programmatore e hacktivista che si è tolto la vita nel 2013, dopo essere stato arrestato per aver scaricato tramite uno script migliaia di paper accademici sotto copyright dalla libreria digitale JSTOR, mentre connesso alla rete del MIT. Il legame controverso tra Swartz e MIT è stato oggetto di legittima polemica in occasione del lancio del premio in questione, ma, anziché offrire una vittoria postuma all'hactivista, il MIT ha preferito premiare qualcuno che potesse utilizzare la cifra offerta (250.000 dollari) per portare avanti il proprio lavoro, si legge sul sito.

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L'esperienza del Disobedience Award — alla sua prima edizione —, conclude il comunicato, è stata piena di speranza. "Non vediamo l'ora di vedere cosa succederà il prossimo anno."

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All'inizio del secolo scorso, la rivoluzione industriale ha modificato il significato e il ruolo dell'arte e dell'artista stesso, svincolando per la prima volta la pratica artistica dalla produzione materiale. In quel momento, l'innovazione artistica ha smesso di essere una questione di unicità della tecnica e dell'oggetto, e, allo stesso tempo, le istituzioni della storia dell'arte sono state messe in dubbio per la prima volta.

Improvvisamente, l'arte non è stata più una questione né di oggetto, né di perfezione tecnica, né di assolutismi culturali: tutto poteva essere arte — anche un cesso — e niente di fatto lo era più.

L'arte ha assunto dunque un nuovo ruolo, che ha avuto (e ha tuttora) a che fare con una dimensione di disobbedienza politica e culturale: non era più legata alla produzione di qualcosa di bello, ma a un messaggio di protesta cosciente.

Che cos'ha in comune con l'evoluzione storica dell'arte il bando Disobedience Award, indetto dal MIT questo mese?

In un certo senso, la tecnologia sta attraversando adesso una crisi identitaria simile a quella vissuta dall'arte nel secolo scorso, o, se non altro, lo stesso tipo di reazione a un'inevitabile presa di consapevolezza politica: la tecnologia, come l'arte (se non di più, per certi versi), ha un impatto enorme sulla società e non solo da punto di vista meramente fisico (abbiamo tutti uno smartphone), ma anche politico: attraverso i nostri smartphone, forniamo dati che alimentano un clima di sorveglianza e una precisa verità storica.

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Quali sono le responsabilità attuali di una società tecno-politica? Come ci liberiamo dell'assolutismo che la tecnologia ha imposto sulle nostre identità virtuali?

'Velvet-Strike', mod politica del videogioco 'Counter-Strike'. Invece di sparare proiettili, il giocatore spara graffiti pacifisti. immagine via Critical Commons

Durante il secolo scorso, l'arte si è trovata a fare i conti, abbiamo detto, con domande altrettanto fondamentali. Non ha solo dovuto ridefinire il proprio scopo (a che cosa serve l'arte?), ma anche i propri spazi e i propri metodi. Nel riflettere per la prima volta su se stessa, l'arte è diventata prima beffa e ribellione, poi movimento di sovversione e disobbedienza: la dimensione etico-politica è diventata imperante e poliforme, dagli artisti performativi, alla street art, fino agli hacktivisti che sovvertono i mondi virtuali dei videogiochi oggi.

Similmente, nel panorama tecnologico-cibernetico odierno, la risposta potrebbe essere ancora una volta la disobbedienza. Almeno secondo un premio appena indetto dal Media Lab dell'MIT, che intende offrire una sovvenzione di 250.000 dollari alla "persona o gruppo impegnato in un esempio straordinario di disobbedienza per il bene della società."

Il progetto del MIT segna uno spartiacque importante per la nostra cultura: non solo un'istituzione importante del settore dell'innovazione tecnologica si dichiara consapevole delle implicazioni politiche della tecnologia, ma si fa promotrice e patrocinatrice di una necessaria ribellione alle stesse, riconoscendo materialmente il potenziale beneficio sociale di un certo tipo di disobbedienza.

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"Le società e le istituzioni tendono all'ordine e a prendere le distanze dal caos," si legge sul bando del MIT. "Benché necessaria al funzionamento, una struttura può anche soffocare la creatività, la flessibilità e il cambiamento produttivo — e, in ultima istanza, la salute e la sostenibilità di una società. Il discorso vale per il mondo accademico, le corporazioni, i governi, le scienze e le comunità locali."

"Benché necessaria al funzionamento, una struttura può anche soffocare la creatività, la flessibilità e il cambiamento produttivo"

Da oltre trent'anni l'obiettivo del Media Lab del MIT è quello di "progettare tecnologie che permettano alle persone di creare un futuro migliore," rispetto al quale ha sempre avuto un approccio multi-disciplinare, mescolando ambiti di ricerca come l'informatica, la teoria della comunicazione e l'arte. Non è un caso, dunque, che, nel voler "reinventare il modo in cui gli esseri umani fanno esperienza della tecnologia" oggi, il Media Lab introduca e abbracci anche il concetto di disobbedienza, caro prima di tutto al mondo dell'arte e dell'attivismo.

La deadline per il Disobedience Award scade il 1 maggio e fino ad allora è possibile nominare individui singoli o gruppi il cui impegno di disobbedienza si sia distinto per non-violenza, creatività, coraggio e responsabilità, in qualsiasi ambito disciplinare, come "ricerca scientifica, diritti civili, libertà di parola, diritti umani e libertà di innovazione."

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Nel riconoscere come equivalenti tra loro azioni intraprese in contesti così diversi, il MIT assume una posizione in netto contrasto con il panorama politico attuale, soprattutto all'indomani dei tagli imposti dal governo degli Stati Uniti alle agenzie che si occupano di finanziare le attività artistiche e culturali. La sospensione dei fondi in questione (per un totale di 973 milioni di dollari) avrà un impatto disastroso sulle istituzioni che promuovono progetti in questi ambiti, come ha segnalato un altro reparto del MIT, quello di Comparative Media Studies.

Disobedience Award. Immagine via MIT Media Lab

Eppure la tecnologia, soprattutto quella d'avanguardia, ha bisogno ora più che mai di confrontarsi con i settori d'indagine culturale che l'hanno preceduta, perché il suo futuro — esattamente come quello dell'arte — non è più legato solo alla sua componente materiale e produttiva, ma alla sua pratica quotidiana. Viviamo circondati da dispositivi tecnologici, al punto che possiamo definirli elementi di un nuovo panorama naturale; sappiamo che la prossima auto che compriamo sarà più veloce di quella precedente, sappiamo che la prossima versione di Siri sarà ancora più intelligente di quella di oggi.

Ciò che non sappiamo ancora, e su cui è necessario sviluppare un discorso, dunque, è la definizione del nuovo ruolo politico della tecnologia: se quello che abbiamo creato è di fatto un nuovo spazio, sovvertire le sue regole è l'unico modo che abbiamo per individuarne i benefici e le implicazioni più problematiche.

Per questo, il fatto che il MIT offra un premio "senza obblighi" a un destinatario che "si sia assunto un rischio personale per apportare un cambiamento positivo con il fine di una società migliore," e che lo faccia per "alimentare la consapevolezza e il sostegno alle opere di disobbedienza, per promuovere modelli di ruolo" ai giovani, è un atto di pura resistenza culturale. E un esempio da seguire.