FYI.

This story is over 5 years old.

Tecnologia

Se Facebook è una malattia, allora è di quelle sfigate

Uno studio dice che perderà l'80 percento degli utenti in 3 anni.
Zuck davanti al suo profilo Facebook originale durante un evento del 2011. Immagine: Niall Kennedy/Flickr

Presto, saremo tutti curati dalla malattia di Facebook. Almeno, questa è la conclusione di un nuovo studio di Princeton pubblicato questo mese sul server Arxiv che ha analizzato l'andamento della popolarità del social network nel tempo come se fosse quello di una malattia infettiva. Le conclusioni potrebbero sembrare assurde—gli scienziati prevedono che Facebook perderà l'80 percento dei suoi utenti entro il 2017—ma suonano molto più credibili se si osserva come hanno fatto i calcoli.

Update: la risposta di Facebook non si è fatta attendere.

Pubblicità

I modelli epidemiologici sono stati utilizzati per altre applicazioni diverse dalle malattie. Nel 2005, un gruppo di scienziati americani ha pubblicato uno studio (PDF) sul modo in cui si diffondono le idee, proponendo che si facessero strada nella popolazione in modo simile alle epidemie. Si è scoperto che avevano ragione: il modello utilizzato per il monitoraggio delle malattie ha previsto con precisione il modo in cui i diagrammi di Feynman si sono diffusi attraverso la comunità scientifica.

Entrambi gli studi di cui sopra si basano sul modello SIR, che è stato anche utilizzato per monitorare le epidemie zombie. Dato che è impossibile prendere in considerazione tutti i fattori individuali che caratterizzano una popolazione umana, il modello divide i gruppi di persone in tre categorie: sensibili (S), infetti (I) e riformattati, l'ultima delle quali può indicare sia chi guarisce o chi muore. Nel nostro caso, possiamo parlare tranquillamente di cura, visto che per adesso nessuno muore quando decide di cancellarsi da Facebook.

In ogni caso, man mano che le persone sensibili si infettano, la popolazione di individui infetti aumenta, così da infettare sempre più persone. Ma dato che nessuna infezione è efficace al 100 percento, la popolazione infetta alla fine è riformattata (sia attraverso la guarigione che la morte). Con il passare del tempo, il numero di persone sensibili scende a zero, così come la popolazione infetta. Ordinata in un grafico, la situazione appare così:

Pubblicità
I blu sono i sensibili, i verdi gli infetti, e i rossi i riformattati.

Nel caso di Facebook, è chiaro quale tipo di utenti rientri nelle diverse categorie: 1) le persone sensibili che non hanno Facebook, come ad esempio i vostri zii e zie, che si iscriverebbero solo dopo che tua mamma ha detto loro che è fichissimo; 2) le persone infette come io e te, se proprio diamo per scontato che tu sia arrivato a leggere questo articolo attraverso Facebook; e 3) gli individui che stanno troppo avanti, i quali hanno deciso di lasciare Facebook perché divorava tutto il loro tempo, perché tutte le loro zie si sono improvvisamente messe a commentare le loro foto, o semplicemente perché Facebook non è più di moda.

Visto che gli scienziati non sono nati ieri, non potevano limitarsi a supporre che un modello pensato per prevedere la diffusione della parotite fosse buono anche per tracciare la caduta di una azienda che fattura miliardi di dollari. Così, hanno messo alla prova la loro teoria anche sul cadavere ormai freddo di MySpace. Per farlo, hanno preso i dati pubblici di Google sul crollo di MySpace e li hanno messi a confronto con il modello SIR. Il risultato era sorprendentemente simile, fatto salvo un piccolo aggiustamento introdotto dagli scienziati.

A sinistra, il modello SIR tradizionale. A destra, la versione modificata sulla base dei dati di MySpace.

Il modello SIR tradizionale si basa sul presupposto che le persone siano riformattate dopo un certo periodo di tempo, ma gli utenti che si iscrivono a un social network di solito non si aspettano di cancellarsi dopo un determinato numero di settimane o mesi. Piuttosto, il congedo di un utente avviene in concomitanza con quello dei suoi amici. E così, gli scienziati hanno presupposto che un utente iscritto da tanto tempo sarebbe rimasto infetto più a lungo rispetto a chi è caduto nel vortice di Facebook solo recentemente.

Questo aggiustamento suggerisce anche che il processo di abbandono di un social network segue lo stesso andamento delle iscrizioni. Se qualcuno decide di cancellare il profilo, cerca anche di convincere a fare lo stesso i propri amici, magari per via della privacy o altro ancora. Di conseguenza, questi ultimi sono portati a comportarsi nello stesso modo. E così, la quantità di riformattati che abbandonano il sito cresce quasi esponenzialmente, il che significa che anche la caduta è relativamente rapida. Proprio come lo era la crescita iniziale.

Pubblicità
Ciao, ciao Facebook.

Dopo aver verificato l'ipotesi, gli scienziati hanno modificato il modello SIR allestito per MySpace e lo hanno applicato ai dati di Facebook raccolti sempre grazie a Google. E indovinate un po'? Il modello risponde ai dati in modo sorprendente, il che significa che Facebook è potenzialmente sull'orlo di un forte ribasso di utenti. Gli autori scrivono che, sulla base di una estrapolazione che risponde al migliore adattamento del modello nel futuro, "Facebook subirà un rapido declino nei prossimi anni, perdendo l'80 percento della sua base di utenti tra il 2015 e il 2017." Potrebbe sembrare assurdo, ma non proprio così esageratamente assurdo.

Gli adolescenti stanno abbandonando Facebook in favore di alternative come Instagram e Tumblr. E mentre una recente previsione sulla morte di Facebook si è rivelata essere un mucchio di sciocchezze senza alcun fondamento, una delle conclusioni dello studio—cioè che i giovani pensano che Facebook non sia cool—è stata ripresa e sostenuta sempre di più anche altrove.

Aggiungete a ciò il fatto che le preoccupazioni sulla privacy stanno facendo fuggire via le persone, e scoprirete che l'onda d'esodo potrebbe verificarsi davvero. E anche se in realtà gli utenti non affrontano tutte le fasi di disattivazione dei propri account, è pur sempre vero che l'utilità di un social network si basa sul numero di amici che lo utilizzano. Perciò, se alcuni amici smettono di frequentarlo tutti i giorni, il fenomeno di abbandono si diffonde.

Naturalmente, un modello che ha funzionato per MySpace potrebbe non essere applicabile a Facebook—tanto per dirne una, MySpace non è mai stato così ben integrato nel tessuto del web come invece lo è Facebook. Tutta questa storia potrebbe essere poco più di un eccesso di pessimismo scientifico. Ma resta comunque difficile contraddire la teoria; se gli utenti iniziano ad abbandonarlo in massa, perché gli altri dovrebbero rimanere? Se il modello si rivelerà corretto, Facebook potrebbe diventare una città fantasma nel giro di un anno o giù di lì, una città popolata da zie e zii arrivati troppo tardi, e altri che sono irrimediabilmente segnati dalla malattia.