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Tecnologia

Materiali che si auto-riparano dal microscopico ai proiettili

Quando gli ingegneri imparano dal sistema sanguigno.
Immagine: danno da impatto in materiale colorato/Ryan Gergely

La capacità di guarire da una ferita è considerata una tra le cose più miracolose che il corpo umano è in grado di fare. Pensateci: un taglio di un coltellino lascia un sorriso sanguinante sul palmo della vostra mano. Potreste andare al pronto soccorso per farvi mettere i punti, ma la guarigione non consiste in questo. I punti la facilitano e assicurano che essa segua il suo sviluppo naturale, ma è il corpo che compie il vero lavoro.

Immaginate di non disporre di questo processo. Se una volta feriti dovessimo diventare come una incrinatura sullo schermo di uno smartphone o il taglio in una gomma, la vita sulla Terra sarebbe decisamente molto più terrificante. Ora provate a pensare all’opposto: immaginate se gli schermi degli smartphone e le gomme potrebbero guarirsi da sé, proprio come facciamo noi. Sarebbe un futuro in cui non dovremmo più incessantemente sostituire le cose che costruiamo. Lo schermo incrinato non finirebbe nei rifiuti, tornerebbe come nuovo. La tuta spaziale si squarcia a 370 kilometri dalla superficie terrestre? Si ricuce da sola giusto in tempo (circa 30 secondi, per la precisione). Queste sono le promesse dei materiali auto-guarenti, un nuovo sotto-ambito delle scienze dei materiali impegnato nello sviluppo di tessuti sintetici che si riparano da soli proprio come i tessuti umani, o qualcosa di molto simile. Sarebbe un luogo molto vicino a un mondo senza sprechi.

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Nel 2000, Scott White, un ingegnere aerospaziale e professore all’Università dell’Illinois, ha pubblicato uno studio basato un polimero simile alla plastica che è stato prodotto con delle capsule microscopiche contenenti un materiale guarente in forma liquida. Quando il polimero e le capsule vennero spezzate, rilasciarono il monomero diciclopentadiene che generò una reazione chimica con il materiale dello stesso polimero, rilegando e sigillando il taglio. Nel 2005, è stato proposto un altro studio da un team dell’Università di Bristol che ha rimpiazzato le capsule con fibre cave riempite con l’agente riparante e una tinta fluorescente. Nel 2011, White ha presentato un nuovo studio sostituendo le capsule, riempiendole di metallo liquido invece che monomeri. Questa settimana, White pubblicherà un quarto studio per la rivista Science in cui mostrerà l’auto-guarigione su una scala mai vista prima d’ora, riempiendo aperture fino a 35 mm di diametro in poco più che 20 minuti.

Il problema dell’auto-guarigione di grossi buchi è che l’agente riparante viene rilasciato in forma liquida, il che lo sospinge in direzioni indesiderate a causa della forza di gravità. Più grosso è il buco e più è il tempo che l’agente è sottoposto alla forza di gravità. “Sanguina via”. Questo problema è stato sconfitto da White et al nella loro ricerca più recente, aggiungendo un passaggio che rende il processo più simile alla guarigione dalle ferite negli animali. Prima che l’agente monomero di riempimento/rilegatura compia la sua reazione finale con il polimero ferito—dopo che esso stesso diviene un polimero rigido—reagisce con un secondo agente, anch’esso rilasciato al momento della ferita. Questo secondo agente porta il monomero ad aumentare abbastanza la viscosità da poter sconfiggere la gravità e poter riempire un buco molto più largo. Per fare un paragone, la riparazione precedente più estesa era di 100 micron, circa 100 volte più piccola da quella raggiunta da White et al.

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Il co-autore Brett Krull, uno studente laureato in scienze dei materiali e ingegneria che ha lavorato con White, ha impiegato, la scorsa settimana, un paio di minuti per spiegarci il processo. “Abbiamo progettato un sistema che autonomamente si attiva nel caso si subiscano danni catastrofici. Quando viene subito il danno—nel nostro caso, un evento che genera un impatto che allo stesso tempo buca/espelle il materiale e crea delle microfratture radianti simili a quelle di un proiettile che infrange un vetro—si spezzano le connessioni vascolari presenti nel materiale. Questo è qualcosa che assomiglia alle vene e alle arterie in un organismo biologico.

“Prima del danno, le connessioni vascolari intatte contengono due liquidi isolati e stabili, ma quando viene subito un danno i liquidi vengono rilasciati verso le regioni danneggiate, dove si mescolano provocando delle reazioni chimiche,” ha detto Krull. “I due liquidi sono composti in modo tale che contengono soltanto una porzione del composto che è richiesta per le reazioni di gelazione e polimerizzazione, il che significa che abbiamo bisogno di mescolarli affinché completino la transizione dallo stadio di gel a quello di polimeri. La prima reazione è una gelazione molto rapida, simile alla coagulazione sanguigna e che crea una sorta di impalcatura per l’ulteriore deposito di liquido.”

La seconda reazione è più lenta e converte il gel formato dalla prima rapida reazione in un polimero rigido. Tutto questo va avanti finché il foro è completamente “riempito.” Una volta che le piccole vene e arterie che trasportano i due agenti riparanti sono nuovamente sigillate, le due reazioni si interrompono. Essenzialmente, ciò che si ottiene è un tessuto cicatriziale plastico, in grado di ripararsi, secondo dei test di impatto, fino al 60 percento rispetto al materiale originale non danneggiato. Questo è degno di nota, considerando che una riparazione convenzionale non-autonoma riesce ancora a raggiungere circa soltanto il 70 percento.

Il prossimo obiettivo di questa tecnologia è quello di ingrandire la scala. Connessioni vascolari più complesse vorrebbero dire essere in grado di curare ferite multiple allo stesso tempo, mentre una chimica più precisa potrebbe rendere possibile l’auto-guarigione per una più ampia gamma di condizioni ambientali. “L’obiettivo finale è quello di progettare dei materiali ingegneristici che possano continuamente rigenerarsi e rimodellarsi, simili ai materiali biologici come le ossa e per cui si possa dire per davvero che non invecchiano,” ha detto Krull.

“Questo aumenterebbe la sicurezza ed estenderebbe la durata della vita delle componenti al di là le loro attuali limitazioni.”