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Tecnologia

David Bowie e 'Don't Panic!': Elon Musk voleva solo venderti una Tesla

Per quanto costosissimo e folle, in fin dei conti l'evento di ieri era lo spot interplanetario di una macchina.

Secondo alcuni, Elon Musk è un alieno. E anche se non abbiamo ancora le prove della sua provenienza da un misterioso esopianeta, si può considerare se non altro un individuo postumano — sì, sia per il suo sguardo agghiacciante che per le sue ambizioni da megalomane. Tutti i progetti che porta avanti implicano una visione del presente e del futuro che ha come protagonista un’umanità che viaggia a una velocità supersonica, attraverso un immaginario che rende reali e possibili scenari fino a ieri fantascientifici.

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La colonizzazione di Marte con Space X, le auto elettriche e i powerwall, l’Hyperloop e il piano per impiantarci delle interfacce per potenziare il cervello sono tutte imprese fattibili nel potentissimo mondo milionario di Elon. Ma per quanto il raggiungimento di certi traguardi possa coincidere con il bene comune, e forse è per questo che Musk è amato così ingenuamente, la domanda banalissima che sentiamo il bisogno di farci è: perché lo fa? E la risposta è altrettanto banale.

Ieri sera, il lancio epocale di Falcon Heavy è stata l’ennesima dimostrazione della portata del fenomeno. Oltre ai sogni di grandezza dell’umanità tutta, il razzo operativo più potente al mondo ha portato in orbita anche un’auto elettrica dell’azienda di Musk, una Tesla Roadster rossa fiammante che al momento sta sfrecciando verso Marte guidata da uno Starman.

Il naturale rilievo mediatico dato all’evento ha trasformato la missione spaziale in un’enorme campagna pubblicitaria. Un lancio nello spazio sulle note di 'Life on Mars', con un’ulteriore strizzatina d’occhio nella scritta 'DON'T PANIC!' riferita a Guida Galattica per autostoppisti, non è forse il modo più impressionante per pubblicizzare un’auto e per posizionarsi sul mercato come leader indiscussi?

La grandezza dell’impresa, in questo caso come in altri, mette in evidenza per traslato la grandezza del prodotto, e allo stesso tempo di chi lo ha creato. “Elon Musk è contornato da un'aura quasi mistica che lo rende un Iron Man della Marvel diventato realtà. Come insegna Lévi-Strauss, il mito è capace di mettere assieme caratteri o elementi apparentemente inconciliabili, e lui è un mitico per definizione, così come i suoi prodotti: ecologici e supertecnologici, avvenieristici ma allo stesso tempo a portata di mano,” ha detto a Motherboard Gabriele Marino, semiologo, collaboratore della rivista Lexia.

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“La cosa davvero impressionante del lancio di Falcon è stata la messa in scena programmatica, la mise-en-abyme stessa dell'idea di fantascientificità: il manichino Starman, le canzoni di Bowie, le citazioni nerdy. Tutto uno schiacciare l'occhiolino a una cultura pop ormai completamente post-nerd, post-The Big Bang Theory con cameo di Hawking,” ha continuato.

È stato un evento pensato, disegnato e realizzato per agire sull’immaginario delle persone, per coinvolgere anche e soprattutto chi non è interessato al mondo di Elon Musk — e che probabilmente non potrà mai permettersi una Tesla, ma che fa comunque parte di un mercato economico e culturale che Musk sembra voler fagocitare.

“Si è trattato di un salto dal livello della subcultura dei tecnofili eco-entusiasti, al livello della cultura senza prefissi e suffissi."

“Si è trattato di un salto dal livello della subcultura dei tecnofili eco-entusiasti, al livello della cultura senza prefissi e suffissi. L'abitacolo color ciliegia, autoironico e postmoderno, è la testa di ariete che rende interessante questa cosa anche a chi, come me, è interessato alle sorti future della vita sul pianeta Terra e al sistema solare, ma di base non si esalta per il lancio di un razzo,” ha concluso Marino.

Quella di ieri sera, insomma, è stata a tutti gli effetti un’operazione di self-branding e allo stesso tempo lo spot interplanetario di una macchina, per quanto costosissimo, folle e talmente definitivo rispetto alla concorrenza da essere quasi fuori parametro.

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