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Tecnologia

No, Facebook non può risolvere il caos politico con un algoritmo

I social hanno contribuito alla situazione politica in cui ci troviamo, ma secondo i ricercatori di Harvard la soluzione va cercata altrove.
Immagine: Getty

Se avete l'impressione che il discorso politico negli Stati Uniti stia crollando a pezzi, ho una pessima notizia per voi: avete ragione da vendere, e non possono essere le forze tecnologiche che hanno dato forma al fenomeno a fornire una soluzione.

Un report recente sulla disinformazione, sulla faziosità e sui media online pubblicato mercoledì scorso dal Berkman Klein Center for Internet & Society di Harvard offre un'analisi tetra sullo stato del discorso politico.

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"Le nostre osservazioni suggeriscono che aggiustare la sfera pubblica americana sarà una sfida più ardua del previsto," scrivono gli autori del report, spiegando che il problema non è legato solo al modo in cui piattaforme come Facebook e Twitter hanno amplificato le notizie false. Piuttosto, dicono, molti americani, in particolare al capo più conservatore dello spettro politico, hanno optato per comunità politiche e media outlet che rafforzano un insieme di convinzioni in cui già credono e che tende a far riferimento, per lo più, a una cassa di risonanza mediatica che condivide le stesse idee. Tutto ciò genera una situazione ancor più grave per chi vuole trovare un modo per risolvere il problema della disinformazione online, un obiettivo che appare — da un punto di vista tanto tecnologico quanto democratico — fondamentalmente impossibile.

Gli sforzi per trovare una soluzione tecnologica — attraverso cambiamenti all'algoritmo di Facebook o una app di fact-checking — hanno molte meno possibilità di risultare efficaci o giustificabili se sottintendono una deliberata distruzione di una classe di comunicazione politica desiderata dai suoi stessi destinatari e atta a forgiare un forte legame politico con una parte sostanziosa del pubblico americano.

Il problema sta nella differenza tra fake news esplicite — il tipo di articolo creato da adolescenti macedoni e altri personaggi con il puro intento di farci dei soldi — e la disinformazione, che tende a coinvolgere un'interpretazione dei fatti ingannevole e lo spingere chi la consuma a trarre conclusioni erronee, anziché offrire direttamente falsità. Analizzando circa 2 milioni di articoli che circolavano durante le elezioni americane, ricostruendo quali storie fossero legati a quali outlet e studiando dove e quanto spesso queste notizie fossero condivise su Facebook e Twitter, gli autori del report hanno scoperto che il secondo ha giocato un ruolo molto più decisivo del primo, specialmente sulla destra politica.

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Il report ha concluso che i lettori di destra non sono gli unici che vogliono vedere le proprie opinioni validate, ma durante la stagione elettorale del 2016 le organizzazioni mediatiche di destra come Braitbart e FoxNews hanno agito con lo scopo di reiterare le tendenze del proprio pubblico per assecondare le loro idee, mentre gli outlet più centristi o di sinistra tendevano a moderare quelle stesse inclinazioni, attingendo a un insieme di risorse più diversificato ideologicamente.

"[Il problema è che nonostante le idee a cui le persone danno forma siano erronee, probabilmente vogliono crederci perché queste storie sono essenziali alla costruzione della loro identità politica," mi ha detto al telefono Yochai Benkler, professore di legge ad Harvard, nonché tra gli autori del report.

"A quel punto diventa molto più difficile dire 'Oh, Facebook e Google sanno cosa è vero, Breitbart e Fox New no, per cui Facebook dovrebbe impedire a Breitbart di raggiungere i suoi utenti.' Non sono a mio agio all'idea di vivere in un sistema costituzionale dove questa è la raccomandazione."

Non ci sono questioni legali con Facebook e altre piattaforme che tentano di arrestare la diffusione della cattiva informazione, dato che le aziende non sono vincolate dal Primo Emendamento. Ad ogni modo, la preoccupazione dei ricercatori riguarda piuttosto il fatto che Facebook cerchi di vincolare "le comunicazioni tra chi vuole parlare e chi vuole ascoltare." Per quanto le i siti di news faziosi e le pagine Facebook ad alto traffico siano proliferate nel corso degli ultimi due anni, Beckler ritiene che il vero problema sia legato in modo più profondo al dialogo politico vero e proprio, soprattutto nella destra. "È qualcosa che, a mio avviso, l'ordinamento politico non si può permettere di affidare ad altri, né a Facebook, né a Google," ha detto.

"Eppure, ci sono piattaforme dove questo accade," ha detto Beckler. "Ma far sì che siano esse stesse a guidare un processo inverso è a dir poco problematico." Questo, ha concluso Beckler, è dovuto alla dimensione di aziende come Facebook e Google, oltre che al fatto che si tratta di entità private, senza responsabilità dovute a un pubblico nel senso ampio del termine.