La leggenda della ragazza cyborg di Shenzhen
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Tecnologia

La leggenda della ragazza cyborg di Shenzhen

Abbiamo passato tre giorni con Naomi Wu, il volto della città più cyberpunk della Cina.

Questo articolo è apparso originariamente sul numero di aprile dell'edizione cartacea di VICE US e sul sito di Motherboard US. In seguito alla pubblicazione è scaturita una controversia tra l'intervistata e la redazione di VICE. A riguardo, Motherboard US ha pubblicato una nota di spiegazioni che trovate qui.

Huaqiangbei, il famoso bazar dell’elettronica a Shenzhen, in Cina, pullula di infiniti organismi simbiotici: ci sono circuiti stampati, cavi e componenti elettronici colorati che si estendono ovunque. I venditori spacciano le loro merci in cubicoli e corridoio claustrofobici. È un immenso universo cyberpunk che per Naomi Wu, un'appassionata di hardware, rappresenta casa.

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Un giovane sbuca dalle scale mobili del SEG Market, il più grande emporio di elettronica di Huaqiangbeu. “Uhm, ciao. Sei Naomi Wu?” È un fan. Ha guardato i suoi video su YouTube. Vuole una foto insieme a lei.

“Certo,” risponde allegramente Wu. Indico me stesso facendo il gesto universale per scattare una foto, lui annuisce e mi passa il suo smartphone. Wu si mette in posa e sorride con il savoir faire che solo le persone famose hanno.

L’uomo ha solo un’altra domanda prima che se ne vada. “Posso aggiungerti su WeChat?,” chiede.

Wu, che è stata soprannominata la “Chinese Reddit Bombshell” dai media occidentali, è chiamata anche “maker” da molti. I “maker”, in senso ampio, sono esperti di tecnologia: persone ossessionate da hardware e sostenitrici dell’etica DIY. Questa definizione sembra piuttosto azzeccata per lei: Wu costruisce BarBot che versano vodka, kit di trucchi che fungono anche da dispositivi di hacking basati su Linux e dispositivi indossabili 3D. Ha un canale YouTube di successo chiamato “Naomi ‘SexyCyborg’ Wu” che in meno di due anni ha collezionato più di 28 milioni di visualizzazioni. I suoi video sono divertenti e istruttivi, con tutorial passo per passo, recensioni di prodotti e frammenti di vita di Shenzhen.

Una fermata della metro vicino a Huaqiangbei in pieno fermento al tramonto. Immagine: Lam Yik Fei

Le imprese tecnologiche di Wu interessano il suo stesso corpo. La tecnofila cantonese è infatti una transumanista e considera il corpo umano come qualcosa di “hackerabile.” Ci spiega che “I nostri corpi sono come gli altri nostri dispositivi. Se possiamo aggiornare gli ultimi, perché non il primo?” Wu, che a stento raggiunge il metro e 60, parla con totale franchezza delle proprie “protesi artificiali.” Volendo effettuare un upgrade del proprio corpo, racconta, gli si presentavano due opzioni: aumentare il seno o l'altezza. Rompere e sottoporre a trazione le ossa delle gambe per guadagnare centimetri (una procedura medica controversa che il Ministero della Salute cinese ha vietato nel 2006) le sembrava troppo estremo, perciò ha preferito la seconda opzione. È una forma di “espressione di genere,” commenta.

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L'aspetto di Wu è studiato appositamente per catturare l'attenzione del pubblico—cosa che Wu vorrebbe a sua volta investire per una migliore rappresentazione del genere femminile nel settore tecnologico. “Sono in tanti a fare uso del clickbait,” confessa. “Lo faccio anche io. Non con i titoli, direttamente con le fotografie.”

E i fan di Wu non mancano di mostrarle il proprio entusiasmo. In centinaia sponsorizzano il suo canale YouTube attraverso Patreon. Wu utilizza Twitter non solo per promuovere i propri progetti, sostenere il ruolo femminile nella tecnologia e interagire con i fan, ma anche per difendersi da accuse e critiche, come avrei presto imparato di prima mano. Il grande Firewall cinese potrà anche bloccare questi siti, ma Wu rimane una presenza prolifica sui social media occidentali, ai quali accede attraverso vari software anti-censura. “La visibilità è il mio super-potere!” campeggia a chiare lettere nella sua biografia su Twitter.

I nativi di Shenzhen sono relativamente rari. Perciò Wu, che è nata e cresciuta qui, può vantare un legame particolare con questa città in continua evoluzione. Dalle province più lontane, sono in milioni a recarsi in pellegrinaggio in questo tempio della tecnologia, che fino a poco tempo fa era poco più di un villaggio e ora è uno dei maggiori centri di ricerca e sviluppo sul suolo cinese. Il ruolo di Shenzhen è fondamentale in una Cina che vuole sostituirsi agli Stati Uniti come leader nel settore dell'innovazione e della ricerca tecnologica, e Wu è uno dei volti più riconoscibili di questa Cina rivolta al futuro, anche in Occidente.

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In serata, mentre ci aggiriamo in uno dei molti centri commerciali di Shenzhen, Wu controlla i messaggi su WeChat, la app di messaggistica più popolare in Cina. Ne legge alcuni ad alta voce—un altro fan di sesso maschile le fa i complimenti per la sua bellezza. Non capisco se la cosa le faccia piacere, la irriti, o entrambe le cose. Wu non è facile da interpretare.

Lavoratori al SEG Market, l'emporio di elettronica più grande di Huaqiangbei, impacchettano prodotti da spedire. Immagine: Lam Yik Fei

Non esiste una vera e propria definizione per “maker” e anche la genesi della comunità è oscura. Alcuni collegano la sua storia al movimento internazionale anti-industrial Arts and Crafts del XIX e XX secolo, altri, al contempo, sostengono che sia emerso dalla controcultura anti consumista degli anni Sessanta. La teoria occidentale, invece, è che la produzione moderna si sia evoluta dai gruppi hacker del XX secolo e dai club come il leggendario Tech Model Railroad Club del Massachusetts Institute of Technology, fondato a metà degli anni Quaranta che ha dato origine all’hacking come lo conosciamo e il Silicon Valley’s Homebrew Computer Club che durò dal 1975 al 1986 e aveva come membri, tra gli altri, il co-fondatore Steve Wozniak. Questi collettivi abbracciano il mondo accademico e il mondo degli hobbisti, chiedendo solo che la conoscenza fosse libera e aperta a tutti. In altre parole, open-source.

Non ci volle molte affinché questa cultura diventasse un’esportazione ideologica. Già nel 2010 centinaia di aziende, biblioteche, scuole, città e persino amministrazioni presidenziali avevano visto la luce del DIY. Il presidente Barack Obama, nel 2014, ha definito l’America “una nazione di maker” inaugurando la prima White House Maker Faire, una sorta di fiera delle invenzioni degli artigiani digitali. La Banca Mondiale ha sostenuto che fosse un mezzo per portare benefici economici e sociali ai paesi in via di sviluppo. I bambini in età prescolare sono diventati improvvisamente maker; le nonne sono diventate maker; e le persone che già stavano facendo cose improvvisamente si sono rese conti di essere, sì, dei maker.

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“Cosa diavolo è un maker a Shenzhen?”

Per Wu, ciò che definisce un maker si riduce a: sporcarsi le mani e riportare la conoscenza nella comunità. In poche parole, creando e condividendo.

“Gli occidentali mi chiamano maker perché costruisco cose,” dice. “Ci metto tempo, sudore — mi sporco, ferisco e brucio. Quando costruisco qualcosa, la porto in strada. Ho persino preso la metro con una stampante 3D sulla schiena per portare la cultura maker in giro. Non l’ho fatto una o due volte per un progetto universitario ma l’ho fatto per settimane intere con l’intento di costruire il più grande repository [un sistema informativo in cui vengono gestiti metadati attraverso tabelle relazionali] di progetti DIY di qualsiasi altro produttore in Cina.”

Wu pubblica questi progetti su YouTube, dove è stata in grado di entrare in contatto con il pubblico americano anche grazie alla sua padronanza dell’inglese. La parlata di Wu, infatti, è costellata da americanismi e slang di internet.

In her studio, Wu displays the wearable LED boot projectors that she created. Image: Lam Yik Fei

Da bambina, Wu era una studentessa vorace. Solo che invece di leggere libri dice di aver guardato programmi TV e video. Lei attribuisce alcune delle sue abilità di inglese a 90210 “riguardando le stesse stagioni più volte.” Il resto può essere attribuito alla sua laurea in inglese, siti come Grammarly e un gruppo di WeChat che occasionalmente rilegge i post di Wu.

All’età di 20 anni, cercando di guadagnare un po’ di soldi, Wu ha imparato a programmare attraverso dei tutorial online come Codecademy. Quando è stata pagata 50 dollari per il suo primo lavoro di codifica, Wu, mi confessa che ha spesso tutti i soldi per comprare degli snack da dividere con i suoi amici. Tramite la codifica, Wu ha acquisito familiarità con la scena e ha continuato a imparare tramite guide pratiche.

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Sebbene Wu ora sia molto legata al concetto di condivisione, non è sempre stato così. “Non sapevo come condividere,” dice, seduta nel suo studio-appartamento. “La comunità open source è un buon modo per condividere i tuoi valori e le tue cose ma mi chiedevo perché. Cioè, perché non le vendono per dei soldi?”

I lavori originali di Wu sono piuttosto complessi. Le sue scarpe Wu Ying prendono il nome dall’iconica tecnica di arti marziali dell’eroe popolare cinese Wong Fei-Hung, il letale Shadowly kick. Wu Ying si traduce in “shadowless” ed è un modo piuttosto appropriato per descrivere le scarpe; visto che sono abilmente progettate per lo spionaggio. Ogni tacco delle scarpe ha uno compartimento senza cuciture per nascondere dispositivi per la penetrazione informatica. Insieme c’è un registratore di tasti USB, un grimaldello, un cavo ethernet e un router wireless. Gli accessori perfetti per l’hacking.

Wu ha detto che il progetto le è venuto in mente guardando Mr. Robot ma che rispecchia anche il suo modus operandi da maker. “Sono un Honeypot [un sistema o componente hardware o software usato come "trappola" o "esca" a fini di protezione contro gli attacchi di pirati informatici],” ha scritto online sulle scarpe. “Quando ho le mie scarpe shadowless addosso distraggo il bersaglio con le mie… la mia parte superiore del corpo e così non notano il pericolo ai piedi.”

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“Naomi Wu,” è uno pseudonimo che usa per proteggere la sua vera identità. Molti cinesi adottano nomi inglesi per vari motivi e Wu dice che il suo è il risultato di un binge-watching di 90210. Lo pseudonimo, che ha adottato prima che diventasse famosa, le conferisce oggi una parvenza di anonimato. Nessuno può rintracciare l’alias al suo indirizzo, account o dati registrati. Online si dice da ottobre 2016 che abbia 23 anni. Nello stesso post FAQ si legge "non mi piace dichiarare la mia età poiché un’informazione del genere renderebbe più facile identificarmi. Sono un po' più giovane di quel che sembro." Wu dice anche che usa un nome maschile in codice per il suo lavoro principale come sviluppatrice per separare ulteriormente le sue identità e aggirare i pregiudizi di genere dell’industria.

Le donne hanno una lunga storia di identità fittizie nel settore per evitare pregiudizi, persecuzioni e persino aggressioni fisiche. Oggi, la possibilità di operare con un alias online ha aperto nuovi canali di libertà creativa per gli individui emarginati ma ci sono ancora dei limiti. Siti come Patreon, PayPal e YouTube le hanno un modo per depositare direttamente le donazioni sul suo conto bancario senza rivelare il suo nome di nascita. Poiché, però, i visti di viaggio richiedono informazioni personali Wu non è mai apparsa in un evento per maker americano, anche se molti dei suoi fan vivono lì. Per Wu, il gioco non vale la candela. “Per me, non importa tanto. Posso combattere qui o combattere lì,” mi dice, anche se in una mail successiva con lei mi ha confessato di avere in programma una visita a New York.

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Tuttavia, lo pseudonimo di Wu non l’ha protetta dal genere di molestie che le donne ipervisibili affrontano regolarmente. Wu è stata derisa per i suoi vestiti, per il suo corpo, per la sua razza e per il suo genere. Online è stata chiamata “stronza,” “bambina” e “puttana,” dice, e ha ricevuto minacce inquietanti per la sua sicurezza fisica.

Inoltre, il suo successo da maker faticosamente conquistato non l’ha liberata dal dover costantemente dimostrare la sua prodezza. Negli ultimi anni è stata costretta a difendersi da teorie complottiste vili e infondate su Reddit e 4chan che sostenevano che un uomo bianco avesse architettato la sua carriera. Altri hanno accusato Wu di falsificare la padronanza della lingua inglese nonostante lei sia aperta sul fatto che riceve aiuto e correzioni di bozze con la sua comunicazione scritta.

Wu ha dovuto difendersi pubblicamente più e più volte. Ha documentato le sue creazioni dall’inizio alla fine e si è offerta di rispondere pubblicamente a un interrogatorio. “Faccio TUTTE le mie creazioni da solo e le faccio con la telecamere costantemente accesa,” ha scritto Wu sul forum Hacker News. “Qualsiasi aiuto che ricevo durante il mio lavoro viene sempre citato nel log di presentazione e costruzione. Non ci sono prove che posso offrire che verranno accettate e più lavoro sodo, più trasparenza offro, più studio e provo, più diventano aggressivi.”

Poi, lo scorso novembre, Wu è stata presa di mira dal suo nemico più feroce.

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Wu indossa lo zainetto stampante-3D che ha costruito e che contiene una piccola replica di lei stessa. Immagine: Lam Yik Fei

Dale Dougherty è conosciuto come il padrino del movimento maker e questo, in buona parte, perché è il fondatore e CEO di Maker Media, editore di Make: un magazine e una influente piattaforma maker. Agli inizi degli anni 2000, Dougherty ha gettato le basi per quella che sarebbe diventata una comunità globale al pari della realtà di Shenzhen.

Una mattina, Dougherty ha tweetato “Naomi è un personaggio, non una persona reale. È diverse e tante persone.” Stando a quello che ha scritto successivamente in difesa di Wu Bunnie Huang, un hacker e autore di The Essential Guide to Electronics in Shenzhen, Dougherty stava accusando Wu basandosi sulla cospirazione anonima di Reddit. Dougherty, in diverse conversazioni pubbliche su Twitter, oltre a quelle ripubblicate dagli utenti di Twitter, ha insinuato, infatti, che il canale SexyCyborg di Wu fosse solo una bufala, facendo da eco alle infondate accuse di Reddit.

La risposta da parte dei maker è stata istantanea e potente. Secondo molti di loro, Dougherty avrebbe avanzato queste supposizioni su Wu solo perché donna. I contributori alle proprietà editoriali di Dougherty hanno minacciato di tagliare i legami con lui e una petizione su change.org chiedeva le sue dimissioni. Poco dopo, Dougherty ha emesso un mea culpa pubblico.

“Due settimane fa, ho fatto qualcosa di veramente stupido,” ha scritto sul sito web di Make. “Ho twittato che Naomi Wu… non era chi affermava essere… il mio riferimento a una pagina web che affermava che ci fosse un uomo bianco dietro ai suoi progetti è stato offensivo nei confronti di Naomi, delle donne e le capacità tecniche e creative del popolo cinese.”

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Limor Fried, ingegnere e fondatrice di Adafruit Industries, una società di hardware open-source di proprietà 100 percento femminile, descrive la risposta alle osservazioni di Dougherty. “La comunità maker è stata chiara,” mi dice. “Non credo che nessuno sia stato convinto dai tweet di Dale, anzi, credo che l’effetto sia stato proprio il contrario.”

Per diversi mesi, Maker Media ha cercato di espiare l’accaduto. Quelli di Make: sono andati da Wu a Shenzhen e l’hanno messa in copertina sul numero di febbraio/marzo, cosa che ha fatto di lei la prima cinese a comparirci. Wu spera che Make:, facendo così, continuerà a rappresentare altre realtà emarginate. “Se hanno fatto un’eccezione per me, ora possono farlo anche per altri,” dice. La copertina mostra Wu che tiene una delle sue creazioni in mano e accanto alla testa si legge la parola CYBORG. Mentre la foto in copertina è stata scattata in uno studio, l’immagine di apertura del pezzo su di lei è stata scattata a Hong Kong perché sembra “più cyberpunk,” mi dice.

La pubblicazione includeva anche un saggio scritto da Wu su Shenzhen e la sua evoluzione come maker lì. “Più di tutti gli altri, sono il risultato di questo ambiente di milioni di persone che condividono un obiettivo e un valore comune. Essere, cioè, creatori e non lavoratori,” ha scritto.

Uno dei mercati di elettronica di Huaqiangbei. Immagine: Lam Yik Fei

Oggi Shenzhen è una megalopoli tentacolare ma questo è il risultato di uno sviluppo relativamente recente. In un dialetto locale 圳 (o zhen) si riferisce al drenaggio delle risaie mentre 深 (o shen) si traduce in “profondo” e quindi un riferimento alle comunità di pescatori che un tempo coprivano il Pearl River Delta. Anche a gennaio, il clima è piacevolmente tropicale e ci sono strani temporali che ripuliscono il denso miasma di smog dalla città.

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La trasformazione della città è iniziata nel 1979 quando l’ex leader del paese Deng Xiaoping creò la Shenzhen Special Economic Zone. Gli incentivi economici hanno permesso a Shenzhen di esplodere ad un ritmo senza precedenti. Oggi, infatti, rivaleggia con Shangai come maggiori centri di produzione in Cina con un PIL (di 350 miliardi di dollari) che dovrebbe superare Hong Kong quest’anno. In meno di 50 anni, la popolazione della città è passata da 30.000 a oltre 12 milioni di persone e alcune stime dicono che si arriverà a 18 milioni. Fino all’80 percento dei residenti di Shenzhen sono migranti e molti non hanno documenti, il che rende piuttosto difficile un calcolo esatto della popolazione.

Anche adesso, che la Cina sta tentando di lasciarsi alle spalle lo stereotipo occidentale del paese “fabbrica del mondo”, Shenzhen è nel mezzo di un’altra trasformazione. Nel 2015 il governo cinese ha intrapreso un’audace politica nazionale chiamata zhongchuang kongjian o “makerspace per il popolo” che finanzierebbe spazi di produzione, colmando così il divario tra ricercatori, studenti e aziende private.

Lo stesso anno, il premier Li Keqiang ha fatto un viaggio simbolico a Chaihuo in Shenzhen. “I maker mostrano la vitalità dell’imprenditoria e dell’innovazione tra le persone e tale creatività servirà da motore duraturo per la crescita economica della Cina,” ha detto durante la sua visita. “Alimenterò il fuoco dell’innovazione con ancora più legno.”

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La città di Shenzhen ha speso più del 4 percento del suo PIL in ricerca e sviluppo lo scorso anno, che era il doppio della media occidentale e come se non bastasse la società di Shenzhen ha depositato più brevetti internazionali della Francia e della Gran Bretagna. Nel 2016, circa il 40 percento dell’output economico è stato generato da industrie di biotecnologie, telecomunicazioni e tecnologie dell’informazione. Shenzhen è un luogo in cui è possibile sviluppare un prodotto, prototiparlo e produrne altri 10.000 come questo. Non a caso, DJI, il più grande produttore di droni al mondo, ha aperto la sa sede proprio a Shenzhen. Anche i giganti della tecnologia cinese come Tencent, Huawei e ZTE vedono la città come casa.

È un hub, una centrale elettrica, un incubatole, un focolaio e per startup tecnologiche e imprenditori sta guadagnando velocemente la reputazione di “Silicon Valley dell’hardware.” E il sostegno del governo ai suoi affari ha creato qualcosa che sia più di un ciclo di feedback.

A partire dal 2016, scienziati e ricercatori potrebbero qualificarsi per una serie di sussidi governativi tra cui un pagamento in contanti di 6 milioni di yuan o quasi un milione di dollari, un affitto di appartamenti per dieci anni e altri benefici per i neolaureati dei programmi di istruzione superiore. Anche i maker, attraverso un programma speciale che è stato promosso in alcune delle più grandi città della Cina con spazi di produzione e incentivi finanziari, hanno approfittato di questa sponsorizzazione governativa.

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Tra il 2010, quando è stato fondato il primo makerspace Xinchejian, e il 2016, il Ministero della Scienza e della Tecnologia dichiara che sono stati aperti 4.298 spazi di produzione. Molti erano dotati di finanziamenti governativi, affitti sovvenzionati e strumenti di tecnologie di alto livello come stampanti 3D e laser cutter. La commissione per l’innovazione scientifica di Shenzhen, ad esempio, consente agli spazi per maker di richiedere fino a 5 milioni di yuan (circa 800.000 dollari) di finanziamento.

Un mercoledì pomeriggio, io e Wu andiamo allo Shenzhen Open Innovation Lab, uno dei principali centri produzione della città. Mi è stato detto che molti degli spazi di produzione si trovano in parchi dai design scheletrici ma questo si trova al quinto piano di un complesso zeppo di altre imprese, gran parte delle quali straniere. Lo studio open space è molto arioso e silenzioso. Nel laboratorio, noto un teschio di un Tyrannosaurus rex stampato in 3D che sbuca da uno scaffale. Tutta la Cina è in continuo movimento in questo momento. È il periodo del nuovo anno lunare e molte persone sono a casa o da un’altra parte che non sia Shenzhen. Tuttavia, ci sono pochi ritardatari delle festività che lavorano al computer.

Vicky Xie dentro allo Shenzhen Open Innovation Lab, uno dei makerspace più noti della città. Immagine: Lam Yik Fei

La maggior parte dei membri dello Shenzhen Open Innovation Lab sono stranieri, secondo Vicky Xie, il direttore della cooperazione globale del laboratorio. I makerspace sono una risorsa inestimabile per gli imprenditori stranieri in Cina. Sono accomodanti per gli occidentali e le persone che vedo nel laboratorio parlano tutte inglese perfettamente. Oltre a questo, sono anche dei luoghi accoglienti, pieni di angoli per riposarsi e cucine piene di snack.

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Molti makerspace aiutano stranieri a navigare nell’industria manifatturiera della città. Fare affari in Cina spesso si basa sul concetto confuciano di guanxi, che non è traducibile perfettamente ma che si riferisce genericamente alla rete di relazioni di una persona; qualcosa come “una mano lava l’altra.” C'è bisogno di tempo e fiducia per i maker non cinesi e la mancanza di guanxi può essere proibitiva quando si cerca di prototipare un progetto o produrre delle idee.

“I produttori locali hanno più familiarità con l’ecosistema in termini di gestione della catena di distribuzione,” afferma Xie.

Diverse volte al giorno, durante il mio viaggio, vedo gruppi di uomini d’affari bianchi che acquistano posti in Huaqiangbei—senza dubbio per qualche nuova startup—con un traduttore cinese al seguito. E spesso sento persone che usano il termine “scimmia bianca” per descrivere un professionista bianco assunto come mascotte per un’azienda cinese.

“Assumono uomini bianchi solo per dimostrare che sono autentici,” dice Wu in merito a questo fenomeno. “Negozi di telefoni come Huawei e Xiaomi, assumo ingegneri stranieri per insegnare ai cinesi come fare le cose, anche quando quest’ultimi non ne hanno bisogno.”

La superiorità percepita dell’uomo bianco, in tutte le sue manifestazioni, è qualcosa che frequentemente Wu menziona. “Non importa quanto sei bravo se non sei bianco,” mi dice esasperata.

Anche il termine “maker” è visto, da alcuni nella comunità, come un tentativo di americanizzare la scena tecnologica cinese.

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“Penso che dal lato di Shenzhen, “maker” abbia questa connotazione. E penso che oscuri molte delle altre dinamiche che potrebbero essere in gioco,” dice Jie Qi, ingegnere meccanico e co-fondatore di Chibitronics, un kit di strumenti elettronici educativo.

Questi conflitti sono venuti alla luce due anni fa, in occasione della Shenzhen Maker Faire, che negli ultimi sei anni ha svolto il ruolo di vetrina annuale del movimento. Wu, che ha partecipato come spettatore in quell’anno, ha denunciato la manifestazione sui social per non aver messo in risalto le donne cinesi.

“Quando hai una Maker Faire in una città di milioni senza nessun maker locale, c’è qualche problema,” ha twittato dopo l’evento nel 2016. In un altro tweet, ha detto che nel 2016 sono state invitate zero donne. All’attacco di Wu, la Faire ha risposto scrivendo in un post che “tre oratrici, una cinese, una giapponese e una statunitense hanno parlato di educazione, robotica e incubazione.” Wu dice che inizialmente non è stata invitata a palare all’evento del 2017 — ricevendo solo all’ultimo minuto un’offerta per un’apparizione — e continua a denunciare l'evento.

Wu ritiene che sia stata proprio quella critica ad aver portato Dougherty ad attaccarla pubblicamente, dato che la Maker Faire di Shenzhen è stata sponsorizzata da Maker Media. In un’intervista con BuzzFeed, Dougherty ha ammesso di aver attaccato Wu solo dopo che lei aveva criticato lui e l’evento. In un blog post, gli organizzatori dell’evento hanno difeso la loro scelta di dare spazio sia a maker internazionali che locali, ma non hanno potuto negare che donne come Wu fossero sotto-rappresentate. “Le maker donne sono una minoranza nelle comunità maker di tutto il mondo, una ragione in più per celebrarle,” hanno scritto. Maker Faire ha rifiutato di commentare specificamente l’accaduto quando li ho contattati.

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Sebbene Wu sostenga l’inclusività di genere, non si considera “femminista,” definendo il termine controproducente in Cina. “Mette le persone sulla difensiva,” dice Wu. E mentre la lotta per l’eguaglianza nella tecnologia è importante per lei, movimenti mainstream femministi non sembrano importarle, poiché rivolte solo a donne bianche occidentali. Ma proprio come loro usa la sua presenza sui social media per diffondere maggiore consapevolezza del proprio lavoro.

“Posso difendere le cose a beneficio di tutti i cinesi: un accesso equo all’educazione tecnologica per le ragazze, accertarsi che le donne partecipino agli eventi come gli uomini,” dice Wu. “Non ho le conoscenze per parlare di questioni più ampie come politica e società ma ho doti tecnologiche adeguate e so che le donne migliori e più brillanti che abbiamo sono le più modeste. In questo, posso dare il mio contributo.”

Lit Liao è la fondatrice di Litchee Labs, uno spazio educativo per maker a Shenzhen dedicato ai bambini. Immagine: Lam Yik Fei

Una donna che Wu elogia costantemente è Lit Liao, un’ingegnera con sede a Shenzhen e fondatrice di Litchee Labs, uno spazio per maker incentrato sull’educazione. Liao, che ha lavorato nella scena DIY dal 2011, ha contribuito a fare da apripista alla formazione dei maker in città.

“È fantastica,” dice Wu. “Può creare perché è anche un’ingegnera ed è anche molto brava con le altre donne: cerca costantemente di promuovere le ragazze nelle materie STEM [acronimo che deriva dall'inglese Science, Technology, Engineering and Mathematics, in italiano scienza, tecnologia, ingegneria e matematica]. È l’unica che vedo.”

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In un caldo pomeriggio, io e Wu visitiamo Liao nei Litchee Labs. Ci sono una manciata di studenti impegnati a lavorare. Due ragazzi e una ragazza si stanno aiutando a vicenda per stampare degli adesivi personalizzati con dei coniglietti da trasferire su una carta rosa brillante. Liao ammette che troppe poche ragazze si stanno iscrivendo ai corsi da maker. Sono solo il 10 percento nelle ultime iscrizioni, ma è determinata a cambiare le cose.

"Penso che Naomi stia colmando il divario che c’è tra produttori occidentali e le persone che creano queste tecnologie."

Esattamente come Wu, Liao crede che le donne cinesi siano svantaggiate nella comunità maker. Liao descrive con risentimento un socio uomo che, incontrandola, le disse che sembrava una “ragazzina”. “Ho sentito parlare di storie [di sessismo verso le donne] nella Silicon Valley ma l’anno scorso ne ho sentito parlare anche qua,” aggiunge.

La relazione di Wu con gli altri nella scena dei maker è un po’ più complicata. Wu dice che ci sono molte donne che si allineano con la comunità maker cinese ma sostiene anche di essere una delle uniche maker vere e proprie di Shenzhen. Ad un certo punto la sua bio su Twitter recitava “l’unica hobbysta di making della Cina continentale dal 2015”. Oggi la bio non è più la stessa ma l’affermazione ha suscitato diverse polemiche all’interno della comunità.

“Naomi è forse la produttrice più nota di Shenzhen. Ma no, non è l’unica e credo che se le chiedessi di commentare quella bio ora non sarebbe più d’accordo,” dice Monica Shen, direttrice delle operazioni per la Maker Faire. Ci sono, infatti, donne a Shenzhen che lavorano nelle aziende, nelle scuole, a progetti come ingegnere, insegnanti e designer.

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“Nei campi in cui gli uomini hanno dominato per anni ci vuole tempo per far sì che le donne non si sentano intimidite,” aggiunge. “Questo vale sia per una città tradizionalmente manifatturiera come Shenzhen che per altre città.”

Wu si è estesa al pubblico globale — oltre ad essere su piattaforme cinesi come WeChat. Wu ha incontrato e guidato diversi giovani maker. Uno di loro, Becky Button, un maker diciasettenne della Virginia, considera Wu un pilastro della sua carriera.

“Le ho mandato un tweet per un capriccio e lei mi ha risposto,” mi dice Button.

Button mi ha detto di aver consultato Wu per il suo primo progetto per il Maker Faire, ovvero, un paio di sandali stampati in 3D contenenti un hardware in grado di cacciare dalla tua connessione wi-fi altri account. Wu ha anche stretto un accordo con un’azienda di stampe 3D con sede a Shenzhen per inviare a Button la sua stampante personale.

“Penso che Naomi stia colmando il divario che c’è tra produttori occidentali e le persone che creano queste tecnologie,”mi dice Button. E nonostante i suoi scrupoli sui maker di Shenzhen, Wu è una figura importante quanto positiva del settore tecnologico.

Ma la sua forma di attivismo può anche essere ostile e combattiva. Esercita una costante presenza su Twitter per confrontarsi con persone con cui non è d’accordo. E questo lo so per esperienza personale visto che Wu ha avuto problemi con il mio reportage dopo il mio rientro dalla Cina.

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Wu mi ha detto che non voleva parlare del suo stato civile, ma prima di pubblicare il pezzo l’ho contattata: speravo di discutere della teoria della cospirazione di Reddit.

“Hai tempo per parlare della teoria complottista di Reddit?,” le ho scritto. “Sarebbe davvero utile affrontare queste accuse. Ho visto quel video in cui dici di essere la moglie di [nome redatto] e mi piacerebbe discutere l’ingiustizia che sta dietro al pensiero che una donna lavori in un settore simile solo perché è la moglie di qualcuno. Se non vuoi discuterne affatto, lo capisco e non presserò. Penso che la cospirazione su Reddit sia viziosa, ma dal momento in cui il profilo che sto scrivendo è lungo e sfaccettato, mi piacerebbe evidenziare le tue opinioni sui pregiudizi del settore, le aspettative di genere e il razzismo, tutti temi collegati alla cospirazione. Fammi sapere cosa ne pensi.”

Nello stesso momento in cui mi ha risposto, Wu ha anche iniziato a twittare su VICE. Nelle settimane seguenti, Wu ha inoltrato le nostre conversazioni a giornalisti e ha taggato me, ex colleghi, il mio editor e VICE in dozzine di tweet; i suoi follower me ne hanno mandati altri ancora.

Via email, Wu mi ha accusato di averla ricattata e di aver scritto un articolo denigratorio nei suoi confronti. Senza averlo nemmeno letto, mi ha scritto che se lo avessi pubblicato con la mia intestazione, VICE mi avrebbe "gettato in pasto ai lupi."

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"Se non mi credi, indirizzerò i miei tweet contro di te — vediamo se quelli di VICE vengono in tuo aiuto o se invece trovano qualche scusa per tirarsene fuori, così poi possono darti tutta la colpa e licenziarti — segnata a vita come la giornalista che istiga all'odio contro le donne nel settore tecnologico," ha scritto.

Wu ha chiesto di vedere una bozza della storia prima della pubblicazione. Cosa che abbiamo rifiutato in quanto contraria alla nostra politica editoriale. È rimasta infastidita anche da altre protocolli editoriali, come quando un revisore ha contattato fonti secondarie per questo articolo.

“Ci serve solo vedere che articolo vomiterai fuori per vedere in quanti modi hai violato l’etica giornalistica base,” ha scritto Wu al mio editor.

Il proprietario di un negozio osserva Wu in posa nell'iconico distretto dell'elettronica Huaqiangbei di Shenzhen. Immagine: Lam Yik Fei

L'appartamento-studio di Wu è piccolo e disordinato. A confronto dei makerspace in stile coworking di Shenzhen, sembra che qualcuno ci lavori davvero dentro. File di contenitori di plastica su scaffalature metalliche, pieni fino all'orlo di attrezzature e hardware. Una statuetta di Lu Ban, il dio cinese dei costruttori, veglia sul laboratorio. Appena entrati, Wu raccoglie un vecchio numero di Make: in copertina c'è Limor Fried, CEO della Adafruit. “La mia eroina!” esclama Wu, stringendosela al petto.

Oggi Wu vuole parlarci del suo ultimo progetto, il BarBot. E' un marchingegno composto da rotaie, motori e parti stampate in 3D, programmato su codici open-source. Il suo compito è quello di preparare il drink perfetto, come un provetto robot-barman. Alcuni numeri su una tastiera corrispondono a “Sex on the Beach”, “Woo Woo”, e altri cocktail elencati in un elegante menu rilegato in nero.

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Wu rifornisce con attenzione il robot di bottiglie di vodka, schnapps, soda e succo di mirtillo, che prende da alcuni scatoloni impilati sulla soglia della cucina. Sono tutte provviste di una bocchetta che, una volta premuta, rilascia uno shot del liquido prescelto. Premo il tasto nove sulla tastiera. Non è in elenco, per cui assisto con trepidazione ai primi ronzii vitali del robot – è un vodka coke. Wu sta già sorseggiando il suo drink, uno stomachevole sciroppo di mirtillo, con evidente piacere.

Durante tutto l'anno passato, Wu non ha smesso di lavorare all'ultimo parto della sua immaginazione: un congegno rosso grande quanto il palmo di una mano, chiamato sino:bit. È un micro-controller a scheda singola — essenzialmente un piccolo computer programmabile, con un reticolo di luci LED grande abbastanza da mostrare i caratteri cinesi — che ha l'obiettivo di insegnare ai bambini cinesi i rudimenti dell'informatica e dell'open-source. Di forma ottagonale (come il bagua, il simbolo cosmologico del taoismo), sino:bit trae ispirazione da altri progetti di tecnologia educativa, come micro:bit e Calliope. Il loro scopo è rendere la programmazione intuitiva e comprensibile (e si spera anche divertente) a bambini senza nessun tipo di background tecnico.

Wu spera che sino:bit sia utilizzato nelle scuole pubbliche per insegnare la programmazione, ma anche — e soprattutto — le regole dell'open-source: come e quando è possibile copiare.

“In Cina, open-source significa gratis,” spiega Wu. “Posso semplicemente prendere, senza dover accreditare nessuno. In America, è sottinteso che se si prende qualcosa dalla comunità, poi si deve restituire qualcosa in cambio.” Dice poi che alcuni tools di programmazione derivati sono già presenti su piazza, ma sono solo in inglese, ed è imperativo che i bambini cinesi imparino a utilizzarli nella loro lingua nativa.

“L'innovazione dovrebbe cominciare dalle scuole, non dai makerspace,” ci dice Wu. Altrimenti “la forbice sociale tra ricchi e poveri non farà che allargarsi.”

Pur se su progetto originale di Wu, sino:bit è stato costruito da Elecrow Technology, una delle aziende di elettronica di Shenzhen. Cercando di dare l'esempio, Wu lo ha poi certificato alla Open Source Hardware Association, rendendolo il primo hardware open-source cinese a ricevere questo riconoscimento. Il programma di certificazione è stato lanciato nel 2016 per fornire un vero statuto al termine “open-source,” e vincola legalmente i progettisti a rispettare alcuni standard, come il rendere pubblico il progetto hardware e utilizzare solo componenti di facile reperimento.

Il movimento open-source — basato sulla condivisione previo riconoscimento — si è sviluppato in concomitanza con il mercato cinese della contraffazione, che si basa invece sul copiare senza concedere accredito alcuno.

Più dell'80 percento dei beni contraffatti confiscati dalla US Customs and Border Protection nell'anno fiscale 2015 provenivano dalla Cina o da Hong Kong, secondo dati pubblici della stessa agenzia. La posizione della Cina sul furto di proprietà intellettuale si fa però di giorno in giorno più severa, vedendo in esso un possibile freno alla sua ascesa a leader dell'innovazione sul mercato globale. Come risultato, le autorità hanno raddoppiato il loro impegno contro le imitazioni. Nel 2015 sono state arrestate nove persone, secondo dati della polizia di Pechino, colpevoli di aver fabbricato e esportato 41,000 iPhone falsi e 66,000 cavi piatti (ribbon cables), per un totale di 120 milioni di yuan, o 19 milioni di dollari.

A Huaqiangbei spendo 700 Yuan, circa 110 dollari, per un iPhone X falso. Di aspetto è buono ma l’interfaccia è deludente e la qualità della fotocamera è pessima. Poco più in là ci sono cover per iPhoneX vendute a blocchi, insieme a centinaia di altre parti che finiranno dentro a device simili al mio.

Una volta, con il termine slang in cantonese shanzhai si faceva riferimento all'elettronica contraffatta, ma oggi il fenomeno riguarda un universo intero di invenzioni originali. Ci sono gli ovvi falsi come “Nckia” e “iPhone” il cui logo è una pesca. Per strada una signora tenta di vendermi un cellulare simile a un mattone per spiare le conversazioni di un eventuale amante. Ma ci sono anche molti dispositivi geniali. Ho visto copie dell'Apple Watch pensate per connettere facilmente i bambini con i loro genitori. E qualcuno mi parla di uno smartphone che ha una bussola interna che punta alla Mecca, per tutta la popolazione musulmana cinese.

“In Cina le persone vogliono realizzare prodotti per fare soldi, quindi realizzeranno tutto ciò che guadagna,” dice Huang, autore di The Essential Guide To Electronics in Shenzhen. “Vale un po’ la regola ‘posso farlo e dal momento in cui posso farlo, lo farò’.”

Il fenomeno non riguarda solo Shenzhen, ma qui è sicuramente più palpabile.

“Come faranno una Maker Faire in una cultura di persone che già fa tutto?,” chiede Huang. “Cosa diavolo è un maker a Shenzhen?”

"L’ho fatto io. E tu, figlio di puttana, che hai fatto?"

Un pomeriggio Wu va verso un piccolo negozio. È pieno zeppo di componenti colorati e dietro al bancone c’è un uomo sorridente. È un vecchio amico di Wu, che chiamerò Li. Oltre a vendere prodotti di marche, Li produce la sua versione di un prodotto popolare che non posso citare perché potrebbe collegarlo a lui ma è davvero indistinguibile dal vero. “Ha una famiglia,” mi dice Wu.

Anche se gli estremi opposti dello spettro ideologico c’è un’autenticità organica che sia Wu che gli altri emettono innegabilmente. Non è cooptato o importato e mi chiedo se il nuovo movimento di maker stia cannibalizzando le sue culture native o se siano effettivamente simbiotiche. In ogni caso, Wu non sta solo creando, sta anche costruendo una piattaforma che è tangibile e potente.

“Naomi sta adottando un approccio per far imparare l’inglese alle persone e sta insegnando come si inizia un’attività,” mi dice Qi quando le chiedo come classificherà il marchio di Wu. “È una specie di testa di cazzo difficile da classificare.” Quando più tardi racconto questo a Wu lei ride e dice “Forse lo sono!”

L’ultima volta che vedo Wu, è nella fabbrica in cui stato realizzato sino:bit. Il parco industriale, situato nel distretto Bao’an è sudicio e labirintico ma Wu, che mi ha portata qua per vedere il luogo di nascita del progetto, lo conosce come le sue tasche. Mentre saliamo su in un ascensore traballante Wu è raggiante di eccitazione. E qualcosa che mi ha detto la mattina stessa mi si ripete in testa. “Il lavoro potrebbe non essere ben pagato ma è soddisfacente. L’ho fatto io. E tu, figlio di puttana, che hai fatto?”

This article originally appeared on Motherboard US.