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Perché le eruzioni vulcaniche sono un 'laboratorio di biologia' perfetto

Dai fiori che spuntano dalle crepe ancora calde alla fertilità delle pendici del Vesuvio, è chiaro che i vulcani non portano solo distruzione.
Una cupola di lava alta 20 metri che si è formata durante l'eruzione di Mauna Ulu del 1969-71 del Vulcano Kilauea, alle Hawaii. Foto: USGS 

La drammatica eruzione avvenuta alle Hawaii ha ribadito la forza inarrestabile dei vulcani — in grado di distruggere qualsiasi cosa. I poteri da cataclisma dei vulcani sono in genere il primo e principale argomento, ma vale la pena fermarsi un attimo ad apprezzare anche il loro ruolo come rinnovatori ecologici — per quanto, certo, radicali.

Da giovedì scorso, il vulcano Kilauea alle Hawaii ha sputato lava bollente su aree prima abitate, costringendo all'evacuazione oltre 1.800 persone. La colata ha distrutto diverse abitazioni, mentre colonne di fumo e gas solforici nocivi si alzavano al cielo. Per fortuna non sembrano esserci feriti o vittime al momento, in parte grazie alle scosse di terremoto d'avvertimento provocate dal rimescolio della lava sotterranea che si preparava all'eruzione.

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Se da un lato questo è un chiaro promemoria della distruzione che la natura può provocare su città e paesi prima stabili, lo è anche dell'energia incontrollabile dei vulcani — una (come quella di diluvi, uragani e tsunami) contro cui le difese che innalziamo non possono nulla. Per quanto siano terribili per la vita umana, però, i vulcani giocano un ruolo affascinante e bizzarro in biologia. L'aspetto più importante è che si comportano da fantastici unificatori ecologici: radendo ogni cosa al suolo, infatti, creano nuovi spazi per microbi, piante e animali che cresceranno senza dubbio a posteriori.

La vita che prospera nelle vicinanze o nella scia delle eruzioni vulcaniche è, credetemi, da togliere il fiato. Per esempio, i vulcani, nella loro violenta e ipnotica bellezza, sono forieri di terreno ricco di nutrienti e minerali. È la ragione per cui la regione che circonda Napoli è così produttiva a livello agricolo — nella terra vulcanica alle pendici del Vesuvio, famoso per aver ucciso migliaia di persone con l'eruzione del 79 d.C., crescono ovunque alberi di fico e viti d'uva.

Un altro famoso mostro vulcanico, il Monte Sant'Elena, ha ucciso 57 persone e milioni di animali — sia d'allevamento che selvatici — nel maggio del 1980. Nonostante questa fase distruttiva, l'eruzione ha lasciato nel suo solco una scia di nuova vita — solo un anno dopo, gli scienziati hanno scoperto una pianta di lupino che cresceva alle pendici del monte, portata in quello strano nuovo mondo da un soffio di vento. Da allora, gli scienziati considerano il sito un laboratorio ideale per studiare il concetto di successione, ovvero il processo graduale di cambiamento che si verifica nelle comunità naturali nel tempo. Sì, c'è proprio un laboratorio specifico sul Monte Sant'Elena.

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C'è anche il leggendario albero di Ohila Lehua alle Hawaii — il cui nome evoca gli amanti che si crede siano intrappolati nei suoi rami e fiori per sempre. Nella nera cenere basaltica che si deposita dopo un'eruzione, gli alberi di Ohia Lehua sono spesso i primi a spuntare, con i loro fiori rossi che spingono per uscire dalle crepe di nuova lava ancora non del tutto fredda.

Un albero di Ohia che cresce su un arido campo di lava che risale al 1986, dove prima sorgeva il villaggio di Kalapana, Hawaii. Foto: Brocken Inaglory/Wikimedia Commons

Forse, però, la storia di ecologia vulcanica più impressionante è quella di Krakatoa, in cui un'eruzione enorme uccise circa 36.000 persone nel 1883. Il disastro è avvenuto sulla piccola isola di Krakatau, una protuberanza desolata lunga otto chilometri e priva di abitanti. È stato scritto che il vulcano abbia creato il rumore naturale più forte del mondo — un suono così potente che poteva essere udito da un tredicesimo del pianeta.

Quando i marinai e gli allevatori di pecore hanno alzato lo sguardo, nubi di cenere sovrastavano le vette vulcaniche dello Stretto di Sunda, è piovuto un torrente di pomice sull'isola, accumulandosi in uno strato di 30 metri di roccia vulcanica inabitabile. L'evento ha portato a un crollo di 1.2 gradi Celsius nelle temperature globali, bloccando il sole con la cenere. Ma da quella fatale eruzione, l'isola è diventata una miniera d'oro per la ricerca biologica, con specie colonizzatrici probabilmente portate dal vento o dalle feci degli uccelli. Nel 1927, la nuova isola di Anak Krakatau, o "Figlia di Krakatoa" in indonesiano, è mersa dalle successive eruzioni vulcaniche, fornendo un perfetto sito di paragone per studiare gli effetti delle eruzioni nel tempo.

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Inoltre, i vulcani creano siti di severo contrasto. Per vulcanologi, geologi, ecologisti — e più o meno qualsiasi altro "-ologo" voglia unirsi alla festa —, i vulcani sono ambienti che tendono a piegare le regole della biologia e altri sistemi. C'è lo strano arcipelago di kipuka di Mauna Loa — spesso definito come "laboratorio vivente dell'evoluzione;" grazie alla lava che circonda (ma non tocca mai) e ritaglia dal resto del mondo queste piccole isole, su cui le specie possono evolversi senza incrociarsi o mescolarsi geneticamente con altre popolazioni. È come alle Galapagos, ma con un oceano di lava anziché acqua.

Infine, pensate alla famosa pianta di pomodoro di Surstey, un'isola che si trova a sud dell'Islanda. Questa pianta imprudente è la perfetta dimostrazione dello strabiliante contraddizione tra l'aridità della cenere vulcanica e la nascita di nuova vita. L'isola nata da un'esplosione vulcanica, che esiste nella sua forma attuale solo dagli anni Sessanta, è stata dichiarata patrimonio dell'UNESCO per la biologia unica che ha attirato dopo le eruzioni. Forse l'esempio più interessante di queste nuove forme di vita è dato da questa pianta di pomodoro, prima colonizzatrice di una terra arida. A seguito di un'analisi accurata, gli scienziati si sono accorti che la pianta cresceva da una pila di escrementi umani, plausibilmente lasciati lì da uno scienziato o un intruso di passaggio.

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In fondo, bisogna dire, qualsiasi forma di vita avrebbe una possibilità in una terra tanto pulita e ricca di dolce terriccio vulcanico.

Tornando al vulcano Kilauea alle Hawaii, non vedremo crescere nulla finché le crepe continueranno a eruttare. Ma dopo, una volta che la lava si sarà raffreddata, che la nebbia vulcanica tossica accumulata nell'aria si sarà dissipata, e che i semi avranno fatto ritorno, quei sentieri di lava potrebbero trasformarsi in giardini rigogliosi e floridi habitat.

Questo, certo, fino alla prossima eruzione.

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Questo articolo è apparso originariamente su Motherboard US.