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Tecnologia

Internet è fatto di ferraglia

Nell'era dell'iperconnettività, è bene ricordarsi che Internet dopotutto non è altro che un enorme ammasso di cavi metallici che passano per Stati e oceani.
Il Dr. Leonard Kleinrock in LO AND BEHOLD. Immagine: Magnolia Pictures

Il documentario di Werner Herzog dedicato a Internet, Lo and Behold, si apre con un pugno. Nel film, il Professore dell'UCLA Leonard Kleinrock, uno degli informatici e pionieri del progetto Arpanet, la prima incarnazione dell'internet moderna, prende a pugni uno degli host del network di computer che per primo connesse UCLA all'università di Stanford. Era il 1969 e nasceva Arpanet, e con essa l'idea stessa di Internet.

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Il pugno di Kleinrock potrebbe sembrare un dettaglio stravagante ma in realtà ha un potere simbolico molto forte e ribadisce, in tempi in cui diamo per scontata l'ubiquità e l'onnipresenza di Internet in qualsiasi nostra attività, cosa sia davvero la rete e come essa funzioni. Siamo infatti nell'epoca della "cloud" e della presunta totale smaterializzazione di Internet in un'entità quasi eterea, senza connotazioni fisiche: la rete ci sembra dappertutto perché sembra non esistere, sembra ovunque perché non sorretta più da una struttura materiale. Internet ci sembra una nuvola perché è in qualsiasi oggetto monti un chip al suo interno e perché il suo potenziale utilizzo ci sembra senza confini. Nulla a che vedere con il pesante e lentissimo (se paragonati ai suoi eredi) computer che Kleinrock prende a pugni nel film di Herzog.

Dopo i computer e i dispositivi mobile, ora molti oggetti hanno Internet dentro di sé e questo cambiamento contribuirà progressivamente a quella che è la spinta più potente verso la presunta smaterializzante della rete: l'Internet of Things. La IoT continua ad annunciare la prossima rivoluzione dei media, della comunicazione e dell'economia, ma fino a questo momento ha principalmente dimostrato solo di essere facilmente hackerabile e di poter essere utilizzata per sferrare attacchi informatici senza precedenti, come quello di qualche settimana fa contro Dyn. In quell'occasione, il malware Mirai infettò diverse migliaia di termostati, videocamere e altri elettrodomestici connessi trasformandoli in un esercito di zombie con un IP capaci di mettere offline mezza Internet in tutto il mondo.

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Internet Landscapes: Sweden. Immagine: Evan Roth

È proprio il numero sempre maggiore di oggetti connessi che abbiamo per le mani ad accrescere quel senso di connessione senza soluzione di continuità che rende la percezione della presenza di Internet molto simile a quella dell'aria: invisibile, costante, ubiqua. In questa visione "sublime" della rete manca spesso un elemento: la tangibilità dell'infrastruttura che rende il tutto possibile. "Non c'è nessun cloud, è solo il computer di qualcun altro", ricorda a questo proposito un adesivo molto popolare sui laptop degli sviluppatori di mezzo mondo. Tutto lo scheletro tecnico di Internet ha molto più a che vedere con il pugno di Kleinrock che con le visioni mistiche del gergo sempre più vuoto dell'innovazione: Internet è un'infrastruttura che si regge in buona parte su cavi lunghi migliaia di chilometri che connettono ogni cosa da una parte all'altra del pianeta, attraversando gli oceani.

Certo, la stragrande maggioranza di questa infrastruttura fisica è invisibile per chi usa Internet quotidianamente, ma la sua invisibilità non coincide affatto con la sua assenza. L'arte e la fotografia stanno cercando di colmare questo vuoto percettivo: il lavoro dell'artista Trevor Paglen, che di recente si è immerso con una tuta da sub nel mare dalle parti di Miami per fotografare i cavi di Internet (sorvegliati dalla NSA) è un ottimo esempio di come poter rompere quel velo di invisibilità ed, effettivamente, vedere Internet per quello che è. Dal cant suo, il fotografo Peter Garritano ha fatto qualcosa di simile con la sua serie "The Internet" in cui ha immortalato uno dei "carrier hotel" dove convergono i cavi di diverse network nella città di New York. Francesco Stelitano ha invece paragonato le immagini della materialità di Internet - server e data center - alle strutture architettoniche delle città. Internet ha insomma una fisicità tangibile, per quanto nascosta, ma le problematiche che la caratterizzano sono spesso esclusivamente materiali e, a volte, hanno la capacità di mettere tutto offline. Nel 2011, ad esempio, un incendio nella sede di Aruba, uno dei maggiori provider di servizi Internet in Italia, mise offline molti siti italiani. Lo stesso film di Herzog dedica ampio spazio alla possibilità che una tempesta solare di devastante potenza possa mettere al tappeto i satelliti e, con essi, la connettività del pianeta.

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"Non c'è nessun cloud, è solo il computer di qualcun altro."

Diversi ricercati nell'ambito della comunicazione e dei media studies ha iniziato a interessarsi da diverso tempo a Internet da un punto di vista materiale e infrastrutturale. Nicole Starosielski, Assistant Professor alla New York University e autrice di The Undersea Network è tra questi. Il suo lavoro studia la "relazione tra la tecnologia, la società e l'ambiente acquatico" e se le si chiede quale sia la più emblematica infrastruttura mediatica che abbia mai visto non ha dubbi: il punto di arrivo del cavo Honotua, lungo 5mila chilometri, a Tahiti. "Vicino al punto di arrivo esatto, che è vicino a una scuola, è situato addirittura un monumento al cavo, dentro il cortile della scuola", racconta Starosielski a Motherboard, "è raro che questa industria dei cavi abbia dei marcatori così evidenti e raramente piazza dei monumenti sui siti di arrivo a terra dei cavi di Internet: come quasi tutta l'infrastruttura di Internet, questi sono punti per lo più nascosti e invisibili. A Papenoo, Tahiti, il cavo, invece, non è solo qualcosa da celebrare, ma connette i movimenti passati lungo l'oceano e le connessioni tra le isole. Ho visitato i siti dei cavi di Internet per anni, ma non ho mai visto nulla di simile".

Qualche settimana fa Quartz ha realizzato un bellissimo progetto interattivo, "Map of the Internet", per mostrare l'importanza del lato infrastrutturale di Internet nell'assicurare il suo funzionamento. Secondo i dati di Teleography, che ha collaborato al progetto della testata di New York, gli investimenti in cavi sottomarini sono rimasti stabili negli ultimi anni, dopo i picchi dei primi anni 2000, ma come si legge nel report dell'azienda, potrebbero essere all'orizzonte nuovi investimenti ingenti, dato che "33 nuovi sistemi, da valore di 8 miliardi di dollari, potrebbero essere lanciati":

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In questa fase, tra i player più interessati a entrare nel settore dell'infrastruttura di Internet ci sono, non a caso, proprio quelle aziende che più di tutte fanno affidamento al lato intangibile della rete: Amazon, ad esempio, ha annunciato la sua partecipazione al progetto Hawaiki Submarine Cable, un nuovo cavo che connetterà la Nuova Zelanda e l'Australia con le Hawaii e la terraferma deli Stati Uniti. Il cavo sarà pronto nella primavera del 2018 e, si legge nel comunicato stampa, servirà ad Amazon e alle altre aziende coinvolte ad "accelerare le performance e a ridurre la latenza per i clienti cloud che operano tra l'Australia, la Nuova Zelanda e gli Usa".

Facebook e Microsoft hanno annunciato qualcosa di simile la scorsa primavera collaborando al varo di un nuovo cavo transatlantico di oltre 6mila chilometri che connetterà la Virginia alla Spagna. Il cavo si chiamerà Marea. Lo scorso ottobre, invece, Facebook e Google hanno annunciato una nuova partnership per un altro cavo sottomarino, questa volta esteso tra Hong Kong e Los Angeles. L'obiettivo? 120 terabit al secondo di banda per rispondere alla crescente domanda di connettività tra le due parti dell'Oceano Pacifico. L'interesse delle aziende della Silicon Valley per i cavi sottomarini è cresciuto insieme al loro ruolo dominante nell'economia e nella geopolitica di Internet, ma la partecipazione di imprese private nel settore, invece, non è inedito: "la maggior parte delle infrastrutture di Internet è di proprietà privata, ma c'è stato un cambiamento nel tipo di aziende che possono operare con queste infrastrutture", spiega Nicole Starosielski, "nel caso dei cavi sottomarini, che sono stati a lungo gestiti da aziende di telecomunicazioni come AT&T negli Usa, ora è il momento delle aziende di Internet: Google, Facebook e simili, che iniziano a costruire i loro sistemi di cavi. Questa non è una fase di privatizzazione crescente, è più un momento in cui sono aziende private di diversa estrazione a essere coinvolte".

La visione "smaterializzata" e "sublime" della rete è spesso anche accompagnata dalla credenza che Internet sia totalmente senza confini geografici, eminentemente globale e senza bandiere. Se certamente è così da un punto di vista simbolico e pratico—nella misura in cui dà ovviamente accesso, qualora non vi fossero filtri e censure a contenuti di qualsiasi provenienza—la sua infrastruttura tecnica è però ancora connessa al concetto di nazionalità. "I cavi sottomarini fanno ancora affidamento e sono supportati dallo Stato, anche se quasi tutti sono posati da aziende private. Queste infrastrutture potrebbero essere più vicine a un'entità sovranazionale se non dovessero mai toccare terra, ma i costruttori di cavi devono negoziare e connettersi con i governi ogni qualvolta si trovino nelle acque territoriali di un particolare Paese o sulle loro coste", spiega Nicole Starosielski. "Il risultato è che gli Stati possono interrompere il traffico Internet, anche se questo evento è raro, oppure regolamentare o monitorarne le attività o persino decidere che, qualora un cavo si rompesse in acqua, le navi che lo devono riparare devono aspettare per intervenire", spiega la ricercatrice.

"I cavi sottomarini fanno ancora affidamento e sono supportati dallo Stato, anche se quasi tutti sono posati da aziende private."

Parlando di navi, nell'ottobre del 2015 l'eccessiva prossimità di navi militari e sottomarini russi ad alcuni cavi subacque causò l'irritazione delle autorità Usa e un incidente diplomatico per possibili sospette attività di spionaggio sulle telecomunicazioni. Quello che è certamente noto è invece come la sorveglianza di massa passi dalle infrastrutture e dagli cavi. I file di Snowden, ad esempio, hanno dimostrato come il GCHQ, l'equivalente britannico della NSA, con il suo programma Tempora, abbia avuto accesso alle comunicazioni transitanti lungo 200 cavi sottomarini. Tra i cavi posti sotto sorveglianza vi erano anche SeaMeWe3, che tocca terra a Mazara del Vallo e SeaMeWe4, transitante da Palermo, entrambi gestiti da un consorzio di telco compresa Telecom Sparkle, come ricorda L'Espresso. La fisicità di Internet è anche una questione geopolitica che può portare al rischio di eccessivo controllo o, come è nelle idee di Cina, Russia e Iran e come è stato per l'Egitto che venne messo offline per scelta governativa durante la Primavera Araba tagliando le connessioni del Paese dal resto del mondo (accadde anche in Siria nel 2012, ma in quel caso fu la NSA, schiacciando il bottone sbagliato, nda).

Evgeny Morozov, nel 2013, scrisse che, a causa del caso Snowden era giunto il tempo di mettere in soffitta alcune mitologie sull'esistenza di un potenziale "cyberspace" separato dal resto della realtà e governato diversamente. In previsione dell'avanzata dell'Internet of Things, occorre ribadire come Internet sia prima di tutto un'infrastruttura fatta di ferraglia e non una fantomatica nuvola di dati senza alcun legame con la realtà empirica: prenderla a pugni come Leonard Kleinrock è un modo di testarne la resistenza.