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Tecnologia

La NASA vuole costruire astronavi che si auto-assemblano

Satelliti a volo libero con controllo elettromagnetico possono assemblarsi in un'astronave dopo il lancio.
Le SPHERES fluttuano all'interno della ISS. Immagine: NASA/ISS

Nel 1999, David Miller portò una copia di Guerre Stellari alla sua classe di ingegneria al MIT. Mandò avanti il film fino alla scena in cui Luke Skywalker si allena con la spada laser sul Millenium Falcon, deviando i piccoli laser che gli vengono sparati contro.

A quel punto, Miller mise in pausa il film e disse ai suoi studenti che avrebbe voluto costruire dei satelliti a volo libero come quelli con cui si sta allenando Luke, eccetto per i laser. Nel 2000, tre satelliti ispirati a Guerre Stellari e chiamati SPHERES vennero imbarcati sulla Stazione Spaziale Internazionale. Due mesi fa, Miller è stato nominato ingegnere capo della NASA.

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In veste di questo ruolo ai quartieri generali di Washington, Miller coordina, segue e integra tutti gli investimenti tecnologici della NASA, partecipando a tutti i consigli direttivi sulle missioni tecnologiche, da quelle  che riguardano l’ambito umano fino a quelle che riguardano la tecnologia spaziale. Fuori dal suo ufficio visita i siti di ricerca sparsi nel paese per vedere in azione gli investimenti tecnologici della NASA. Si assicura anche che la NASA coordini le sue attività con altre organizzazioni governative (come DARPA), le industrie e le istituzioni accademiche.

David Miller, Chief Technologist della NASA. Image: NASA

Come potrete immaginare, al momento ci sono un sacco di progetti tecnologici interessanti in via di sviluppo alla NASA. Non tutti, ma la maggior parte dei  progetti sono connessi all’obiettivo dello sbarco di uomini su Marte, e alcune tra le tecnologie più interessanti sono molto vicine ai robot a volo libero a cui Miller ha lavorato con l’esperimento di SPHERES.

Immaginate un micrometeorite che colpisce un veicolo spaziale in rotta verso Marte. Non causa un danno sufficiente da distruggere il mezzo, ma causa abbastanza danni da richiedere una riparazione esterna. Gli astronauti a bordo dovrebbero impiegare molto tempo ed energie per mettersi le tute, fare una passeggiata spaziale e riparare il danno. Ma come mi ha detto Miller, l’equipaggio potrebbe delegare il compito a dei robot automatici.

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L’obiettivo del progetto SPHERES—acronimo di Synchronized Position Hold, Engage, Reorient, Experimental Satellites—è quello di testare se questi dispositivi a volo libero potrebbero muoversi lungo il veicolo spaziale, cercare dei danni e ripararli. Il nome è appropriato: i tre globi all’interno della Stazione Spaziale Internazionale sono un banco di prova che la NASA sta usando per raccogliere i dati che verranno implementati nei sistemi a movimento autonomo delle future navette spaziali.

Ma ancora più importante, l’esperimento SPHERE sta permettendo di sviluppare la tecnologia per le missioni che un giorno viaggeranno ben al di fuori dell’orbita terrestre. Miller ha detto che uno degli scopi di SPHERES è sempre stato quello di creare un banco di prova in cui poter integrare nuove possibilità e che magari servisse da supporto per nuove attività di ricerca. Questo è esattamente quello che è successo con i robot nel corso di otto anni. Nuovi progressi faranno in modo che queste sfere si potranno connettere con gli smartphone creando un’interfaccia utente, in altre parole gli sviluppatori potrebbero teoricamente costruire delle app per controllarli.

I progressi compiuti usando questi multifunzionali satelliti fluttuanti sono impressionanti. Dotati di interferometri, possono compiere manovre di attracco con oggetti in movimento, come è stato testato nel programma VERTIGO.

Immaginate un satellite colpito dai rottami che rotea in modo troppo pericoloso per essere riparato da un astronauta. La speranza è che queste sfere fluttuanti possano allinearsi al movimento di rotazione del satellite e atterrarci sopra, trasportando il materiale richiesto per la riparazione senza mettere in pericolo la vita di nessuno. Questa tecnologia può anche misurare il grado di rotazione e altre proprietà inerziali, cose che a detta di Miller sono di vitale importanza quando si ha a che fare con una navetta spaziale che si sta muovendo vorticosamente.

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Al di là delle proprie capacità individuali, il potenziale che l’utilizzo di SPHERES porta allo sviluppo di veicoli che possono volare in formazione è enorme. Una tecnologia avanzata connessa a questi satelliti a volo libero su cui Miller ha lavorato precedentemente è la formazione di volo elettromagnetica tra piccoli veicoli spaziali.

Tradizionalmente, le navicelle si muovono nello spazio usando del combustibile; piccoli razzi di spinta sono posizionati sul veicolo, e lo spingono verso la sua destinazione o ne aggiustano la sua posizione sull’orbita. Il problema con questo metodo di propulsione è che prima o poi il combustibile si esaurisce e una navetta spaziale ancora buona ma col serbatoio vuoto viene abbandonata a vagare nello spazio.

Il progetto SPHERES-VERTIGO, in cui si vede una delle sfere (con telecamera) che individua un oggetto rotante a bordo della ISS. Immagine: MIT/NASA

Tra le tecnologie analizzate da Miller c’è l’utilizzo di elettromagneti per spingere una navicella spaziale in volo. Imbrigliando, immagazzinando e sfruttando l’energia del Sole, questi satelliti si potrebbero muovere senza dover usare delle scorte limitate di carburante. Potrebbero addirittura trasferirsi tra di loro l’energia elettrica senza l’utilizzo di cavi. Senza la limitazione imposta dal combustibile, la lunghezza della missione dipenderebbe solo dalla longevità dell’hardware. Come dimostrato dalla sonda Voyager, un veicolo spaziale ben costruito può durare per decenni.

Questa tecnologia diventa addirittura più interessante se pensiamo ai telescopi per l’osservazione dello spazio profondo. Immaginate che un telescopio venga lanciato in pezzi scomposti. A questo punto, la domanda posta da Miller è: come recuperare i pezzi che stanno fluttuando liberi e ricomporli? I satelliti elettromagnetici a volo libero potrebbero assemblarli dopo il lancio formando un unico telescopio, stadio nascente di quelli già studiati al MIT.

I pezzi non dovrebbero per forza rimanere assemblati. Se qualcosa si rompesse o smettesse di essere operativo a causa dell’impatto di un meteorite o del semplice utilizzo continuativo, il telescopio potrebbe ricomporre le sue parti e superare l’intoppo. Lo stesso tipo di satelliti a volo libero potrebbe anche compiere delle riparazioni nello spazio profondo, fino ad immaginare un momento in cui le riparazione potranno essere effettuate senza la presenza umana.

Robot riparatori che volano in formazione e veicoli spaziali auto-assemblanti sono una cosa, ma c’è un’altra grande domanda: quando la NASA svilupperà spade laser in modo che gli astronauti possano allenarsi usando le SPHERES sulla Stazione Spaziale Internazionale? A questo, Miller risponde che la stazione ospita esperimenti proposti da tutti i tipi di ricercatori, dagli studenti del liceo agli scienziati internazionali. Per cui, chiunque voglia può affrontare la sfida di sviluppare una spada laser, e se la NASA sarà abbastanza interessata, forse allora gli astronauti saranno finalmente in grado di recitare la scena di Guerre Stellari.