natale con amici
Illustrazione: Jurio Toyoshima.
Cultura

Alcune persone raccontano perché preferiscono trascorrere il Natale con amici

Natale è tradizionalmente la festa della famiglia. Come cambia quando scegliamo di passarlo con amici che sentiamo più vicini di molti parenti?
Giulia Trincardi
Milan, IT
JT
illustrazioni di Jurio Toyoshima

Come suggerisce (o intima) il vecchio detto “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”, per la maggior parte delle persone in Italia passare il periodo di festa a dicembre con i parenti è scontato, se non obbligatorio. Magari alternando parti di famiglia diverse—specialmente se si ha qualche nonno o nonna che vive in una città diversa, o se si hanno genitori separati o divorziati—ma sempre e comunque con parenti.

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D’altronde, per chi lo celebra, “il Natale è tradizionalmente la festa della famiglia, un momento in cui è possibile ritrovare, recuperare e consolidare i legami affettivi e i sentimenti di appartenenza,” spiega a VICE la psicologa, psicoterapeuta e terapeuta EMDR Lavinia La Torre, che vive e lavora a Bologna.

Ma il Natale è anche una festa fatta di aspettative, di cui ogni componente—dagli addobbi ai regali e ai pasti—può trasformarsi in una situazione stressante e dolorosa, specifica La Torre. “Non tutte le persone riescono a calibrare i propri bisogni con le pressioni sociali ed entrare in sintonia con il clima imposto e con le aspettative familiari che spesso ci travolgono, suscitando un malessere generalizzato.”

Vedere i parenti in massa durante le feste può significare, per esempio, subire domande che ci mettono a disagio e commenti non richiesti (se non deliberati attacchi) su identità, relazioni, lavoro, studi, piani per il futuro, e aspetto fisico. “Il Natale come momento di incontro familiare, se forzato, può portare a fare i conti con aspetti irrisolti delle proprie relazioni interpersonali, con situazioni conflittuali celate e mai affrontate, che generano ansia e tensione,” concorda La Torre. “Inoltre, per le persone che si trovano ad affrontare una situazione particolarmente difficile, come coloro che hanno subito perdite affettive (e non solo), i sentimenti di solitudine, abbandono ed emarginazione si possono acutizzare nelle settimane natalizie.”

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La soluzione, in certi casi, è la scelta radicale di non passare le feste a dicembre con la famiglia di origine, ma con un gruppo di amici o con famiglie altrui che sentiamo accoglierci in modo incondizionato. Ma cosa significa fare questa scelta? L’abbiamo chiesto a un po’ di persone che vivono il Natale in modo diverso dall’idea scontata di questa festa.

Giulia, che ha 30 anni e lavora a Milano nell’ambito delle risorse umane, passa il Natale lontano dalla famiglia da quando ha lasciato la sua regione d’origine, circa dieci anni fa. “È una decisione che ho preso per diversi motivi, sia perché scendere in Abruzzo è sempre il viaggio della speranza, sia perché non ho una famiglia numerosa e soprattutto unita,” spiega Giulia a VICE. “A me le feste piacciono al di là che siano religiose o meno, perché sono un momento in cui puoi rilassarti e non pensare ai doveri quotidiani, motivo per cui preferisco passarle in compagnia di persone con cui sto bene e con cui trascorrere il tempo è piacevole, in questo caso gli amici,” aggiunge. “Con loro puoi bere, mangiare, divertirti, senza preoccuparti di dire o fare cose che in famiglia non si dovrebbero dire o fare.”

Per Giulia, il Natale è dunque soprattutto un periodo da godersi “senza sentire la pressione sociale per cui, se non hai una famiglia con cui passarlo, sei una persona sola o sbagliata.”

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“Natale è associato all’obbligo di celebrare valori e legami affettivi; in particolare, si sente di doversi mostrare felici, gioiosi di stare in famiglia e apparire al meglio di sé. Il fatto che le aspettative non siano soddisfatte, o lo siano solo in parte, può generare un forte senso di frustrazione, stati d’ansia e persino di depressione,” spiega La Torre. Il periodo delle feste può far emergere emozioni e conflitti che durante l’anno sentiamo di avere sotto controllo o che effettivamente gestiamo in modo più funzionale, perché ci costringe a “uscire dalla routine quotidiana per convivere con familiari.” 

Per Maria, che ha 40 anni, è originaria di Palermo e vive a Milano dove lavora come office manager, “i periodi tristi dell'anno sono Natale e agosto, proprio quando si va a casa a trovare la famiglia. A Natale siamo sempre stati da soli, io, i miei e le mie due sorelle maggiori, poi solo io e i miei,” racconta. “Non abbiamo mai festeggiato con la famiglia di mia madre—mio padre non aveva rapporti con loro, perché mafiosi. Però io da piccola non capivo, pensavo solo che mio padre volesse tenermi lontana da loro, perché erano molto ricchi.”

Ricorda con serenità solo un Natale quando faceva le scuole medie in cui i genitori sono andati a pranzo fuori e lei è rimasta da sola a casa perché immobilizzata da un gesso, a mangiare sul divano e giocare con il Nintendo, e un Natale da adulta in cui “ho fatto finta di perdere l'aereo, pur di non dover stare con la mia famiglia. Ho preferito stare da sola a Milano,” racconta. Quest’anno passerà le feste a Berlino con amici. Pensare al Natale le fa provare comunque un senso di nostalgia, “ma nostalgia per cosa, mi chiedo?”

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Per Fabio, che ha 38 anni e vive a Milano (ma è originario del Venezuela) dove lavora nel settore ingegneristico ferroviario e come musicista, il Natale andrebbe riformulato completamente, “tenendo in considerazione che ci sono molteplici aspetti per i quali il Natale può non essere bello per tutti, basti considerare chi non ha una famiglia. Poi se ci estendiamo un po’, è evidente che ormai è principalmente un elogio al capitalismo.” 

Fabio ricorda il Natale in infanzia “come un momento dove ho iniziato a sperimentare le prime sensazioni di noia quando si trattava di fare cene in famiglia o andare a trovare i nonni il 25 dicembre,” e “crescendo ed allontanandomi dai fattori religiosi/tradizionali ho capito che la cosa non era per me e il festeggiamento iniziava a tornarmi superficiale e poco utile.”

Da allora, “sono riuscito a fuggire da tutto il pacchetto familiare e a cercare di trasmettere delicatamente il messaggio a tutte le persone che mi circondano—specialmente ai nonni, ma anche a miei genitori da quando sono tornati (di recente) a vivere in Italia. Ho cercato sempre di mantenere la mia posizione: preferisco vederli in momenti veri in altri periodi dell’anno.” Fabio cerca di vivere comunque il periodo nel modo nel più spensierato possibile. “Se alcuni amici, come spesso capita, tirano dentro me e la mia fidanzata, ci aggiungiamo senza stress per andare a mangiare, bere e fare schifo insieme,” racconta. Le generazioni più giovani, pensa, dovrebbero comunque interrogarsi in modo più profondo sul senso del Natale oggi.

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La pandemia di COVID-19 ha messo a dura prova la routine di tantissime persone, compresa quella legata alle tradizioni di festa. Se in molti casi ha portato sentimenti di malinconia, incertezza e angoscia per il contagio, in altri ha permesso di “ricostruire un ‘proprio Natale,’ con nuove tradizioni, piccoli mattoncini della propria esperienza come individuo adulto,” dice La Torre. “Si ha avuto l’opportunità di evitare le forzature che conducono al senso di colpa, al sentirsi a disagio, inadeguati e fuori luogo.”

Per Gabrielle, producer di 36 anni che vive a Milano, deludere le aspettative della famiglia—che vive in Francia—è l’aspetto più complicato di una scelta altrimenti piuttosto naturale. “Da quando è mancata mia nonna, sette anni fa, il Natale non è più stato lo stesso, un po’ come se con lei se ne fosse andata tutta la magia e la tradizione di questa festività,” racconta a VICE. “È diventato per me un momento di forzatura e malessere in cui spendi soldi per dei regali spesso inutili che finiranno a inquinare solo un po’ di più il pianeta.”

Per lei, la pandemia è stata un’occasione per sperimentare qualcosa di diverso : nel 2020 gli spostamenti internazionali erano impossibili per i lockdown severi, mentre nel 2021 è rimasta a Milano perché positiva al Covid. “Ho organizzato una cena di Natale con il mio ragazzo e altri due amici, a loro volta positivi, ed è stata la migliore cena di Natale da quando non credo più a Babbo Natale,” racconta. Nel 2022, in assenza di motivi superiori, Gabrielle ha deciso “di dichiarare in modo molto schietto che non sarei tornata, perché consideravo Natale una messa nera del capitalismo quanto lo è il Black Friday,” dice. La madre, però, ha reagito alla notizia chiudendosi nel silenzio.

“Le ricorrenze restano comunque momenti significativi e importanti nella vita di ognuno, hanno un valore relazionale e sociale,” spiega La Torre. “Segnano il passare del tempo, delle stagioni, rinnovano un rituale in cui si incontrano le persone che ci sono familiari e amiche.”

A prescindere dunque dalla ragione per cui si decide di rompere con la versione della festa con cui siamo cresciuti, è importante ascoltare i propri desideri e il proprio sentire, prosegue La Torre, evitando di fingere sentimenti di gioia esasperati da richieste che arrivano dal mondo esterno.

Piuttosto, “le feste natalizie possono essere un momento per ascoltarsi e prendersi cura soprattutto di se stessi e delle persone a cui vogliamo bene,” conclude. “Possono essere giornate ed occasioni in cui sfruttare gli elementi critici e faticosi per poter recuperare e ricostruire valori che rendano la vita e il proprio quotidiano più ricco di significato.”