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Tecnologia

Il doping tecnologico fa male alle Olimpiadi ma non agli atleti

Le Olimpiadi di Sochi sono il posto perfetto per capire quand'è che la tecnologia sportiva diventa un vantaggio sleale.
Immagine: Under Armour

Le Olimpiadi invernali potrebbero avere un problema di doping, e questa volta non c'entrano gli steroidi o la genetica—e neanche il nuovissimo Full Size MGF. Il “doping tecnologico” è un problema crescente negli sport da competizione, perché ogni anno gli sviluppi in ambito tecnologico e scientifico trasformano gli equipaggiamenti degli atleti in oggetti sempre più ingegnerizzati. La questione è decidere quando si oltrepassa il confine del semplice miglioramento delle performance atletiche e si comincia a barare.

Molte attrezzature “truccate” faranno il loro debutto questa settimana a Sochi. La più esagerata è la tuta della squadra americana di pattinaggio di velocità, progettata con l'aiuto degli ingegneri aerospaziali della Lockheed Martin—quelli che costruiscono i caccia F-35 per intenderci. L'azienda produttrice della tuta, la Under Armour, sostiene che sia la più veloce di sempre, sebbene anche Cina e Russia abbiano fatto proclami simili.

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Lo sviluppo della tuta Mach 39 è stato un progetto top-secret durato anni. Gli ingegneri hanno per prima cosa utilizzato la tecnica del motion capture per analizzare ogni singolo movimento dei pattinatori mentre filavano sul ghiaccio. Poi hanno usato i dati raccolti per costruire dei manichini in fibra di vetro che riproducono l'esatta posizione degli atleti durante una corsa. In seguito, sono state progettate centinaia di varianti della tuta, e dopo 300 ore di test nella galleria del vento per vedere come reagivano ai flussi d'aria, è stata fatta l'ultima messa a punto per ottenere un design aerodinamico ottimale.

Le attrezzature ingegnerizzate hanno sempre giocato un ruolo negli sport olimpici, specialmente in seguito alla proliferazione dei materiali nanotecnologici. Ormai, le nanotecnologie vengono usate per ottenere miglioramenti un po' in tutto, dai bob alle slitte, dai pattini alle tute. Gli sciatori presenti a Sochi, ad esempio, utilizzano alcuni sci che sfruttano i nanotubi di carbonio per incrementare la velocità. I nanotubi attutiscono le vibrazioni causate dai dossi di neve scaricando verso l'esterno l'energia accumulata durante la discesa.

Ok, ma tutto ciò fino a che punto è legittimo? Spesso diventa chiaro che gli equipaggiamenti super tecnologici danno un vantaggio sleale agli atleti solo quando questi infrangono dei record. È stato il caso del famigerato costume LZR Racer della Speedo, indossato dai nuotatori alle Olimpiadi di Pechino del 2008.

Il costume era ricoperto di nanoparticelle, in modo tale da respingere l'acqua e trattenere l'aria, rendendo gli atleti più “galleggianti.” In questi anni, i nuotatori armati dell'LZR Racer hanno battuto ben 168 record mondiali—il costume è stato dichiarato doping tecnologico e vietato a partire dai Giochi invernali di Vancouver del 2010.

C'è una sottile differenza tra fornire agli atleti le migliori attrezzature per farli stare comodi, sicuri, e in grado di raggiungere nuovi traguardi sportivi, e trasformare una competizione di forza e abilità umana in una corsa agli armamenti nanotecnologici. Soprattutto quando abbassare un tempo anche di un millesimo di secondo può fare la differenza tra arrivare sul podio e andare piangere negli spogliatoi.

Ogni sport ha una sua federazione che può decidere dove tracciare la linea tra una miglioria tecnica e un vantaggio sleale, ma quando ci sono ulteriori innovazioni non è subito chiaro da quale parte debbano stare.