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Tecnologia

I biosensori di questo monocolo sanno cosa provi

Si chiama Amoeba ed è un prototipo a base di biosensori che capiscono se sei davvero interessato a quello che leggi sul web. Fidatevi, funziona.
Immagine: Sanya Rai

Abbiamo visto la nascita e la caduta di un sacco di app e siti web, ideati nel vano tentativo di trovare uno strumento per organizzare il pozzo senza fondo delle informazioni su internet. Sono così numerosi che ora abbiamo bisogno di strumenti per organizzare gli organizzatori. Il processo per ordinare i segnalibri del pasticcio digitale sta diventando sempre più concettuale, e non meno opprimente.

Con tutta questa nebulosa di cose in mente, l'ultimo tentativo della serie "capiamo il web" ha deciso di prende una strada diversa. Si tratta di un monocolo indossabile che tenta di leggere alcuni indizi biologici istintivi per rivelare quanto siamo interessati a quello che stiamo leggendo o guardando su internet. L'idea è di rendere la navigazione web più intuitiva, per aiutarci a esplorare i dati filtrando gli argomenti che non ci interessano e portare le cose interessanti in primo piano.

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Il dispositivo si chiama Amoeba, e si presenta come una sorta di monocolo futurista. Il prototipo stampato in 3D è stato realizzato da tre studenti del Royal College of Art e dell'Imperial College di Londra: Sanya Rai, Carine Collé e Florian Puech. La squadra ha pubblicato un video del progetto su Vimeo, che è stato portato alla luce da Dezeen.

Il dispositivo oculare monitora (e registra in modo un po' inquietante) tre segnali biologici diversi: i sensori di calore nei pressi della bocca misurano quanto velocemente stiamo respirando, una fotocamera integrata nella lente misura la dimensione delle pupille, mentre i sensori sul braccio misurano i livelli di umidità nella pelle, che cambiano quando sudiamo.

Da lì in poi, il monocolo incrocia i dati sensoriali rilevati con le informazioni che stiamo cercando in quel momento. Così facendo, Amoeba trae una conclusione su come ci si sente di fronte a ciascuna pagina visitata. Se stiamo respirando velocemente e iniziamo a sudare, probabilmente non ci stiamo annoiando. A quanto pare, nei primi test effettuati su alcuni utenti, il software del dispositivo ha identificato gli articoli che le persone ritengono più o meno interessanti nove volte su dieci.

Una mappa concettuale del progetto Amoeba. Immagine: Sanya Rai

Grazie alla proliferazione di gadget intelligenti e ubiquitari, siamo sul punto di essere bombardati con più dati che mai e, per come la vedono i progettisti di Amoeba, la cosa richiederà un po' di pensiero laterale per organizzare ed elaborare al meglio questo fiume di informazioni. Ma la gente vuole veramente essere cablata al proprio computer mentre naviga sul web, come una sorta di topo da laboratorio?

Probabilmente no, ma scommetto che, con il passare del tempo, l'unione tra dati biologici e contenuti sarà vista sempre meno come una stranezza. Alcuni mesi fa ho scritto di un progetto del MIT Media Lab chiamato Sensory Fiction, che sarebbe un libro indossabile coperto di sensori e attuatori collegati a un giubbotto da indossare durante la lettura. Man mano che la trama del libro si dipana, il dispositivo produce sensazioni fisiche per simulare le emozioni dei personaggi, in modo che il lettore possa entrare in empatia con loro in modo più profondo di quanto non sia possibile attraverso il solo testo.

Prima o poi, potremmo anche arrivare a indossare qualcosa come Amoeba o i Google Glass e altri dispositivi per approfondire il nostro legame con i computer. I progettisti ipotizzano anche di commercializzare il loro dispositivo nelle scuole, per valutare attraverso i biosensori se gli studenti sono seriamente impegnati nel loro lavoro di studio. È un'idea abbastanza estrema, ma apprezzo comunque il tentativo di costruire un giubbotto di salvataggio per impedirci di annegare nel mare dell'informazione.