Perché è importante cercare l'anima nel cervello
Andreas Vesalius, De humani corporis fabrica libri septem (1543). Immagine: Vesalius/Wikimedia Commons

FYI.

This story is over 5 years old.

Tecnologia

Perché è importante cercare l'anima nel cervello

Filosofi e neuroscienziati cercano da sempre di scoprire dove si trovi esattamente la coscienza. E questa ricerca è stata il motore principale dello studio del cervello.

La storia della neuroscienza occidentale può risultare ostica a un profano, una litania di latinismi impenetrabili e strani diagrammi anatomici. Si tratta, in effetti, di battaglie infinite tra modelli e metafore che cercano di descrivere il modo in cui pensiamo—primo tra tutti il concetto di "anima," definita in termini generici dal Cristianesimo come l'essenza incorporea dell'essere umano, e la base del pensiero cosciente.

Pubblicità

L'idea che l'anima esista all'interno di una parte specifica del cervello umano non è più, ovviamente, oggetto di indagini nel campo secolare della neuroscienza. "Non ci sono ipotesi, niente che si possa comprovare—è tutto troppo vago e per niente 'scientifico,'" mi ha detto Sylvia McLain, professoressa in biochimica dell'università di Oxford che gestisce anche una rubrica sul Guardian.

La ricerca del luogo dove giace l'anima è servita, però, come forte motivazione per le prime generazioni di accademici, e continua a spronare, se non guidare, le nostre domande sulla natura della mente e del corpo umani. "Porsi domande filosofiche come 'Che cos'è l'anima?' è un modo per arrivare a indagini scientifiche," ha scritto McLain. "Molti dei primi naturalisti studiavano piante, animali e il pianeta in generale, per capire 'il piano di Dio' o 'la Creazione.'"

Una volta si pensava che il cervello non fosse un computer biologico, composto da centinaia di miliardi di celle neurali "elettrificate," ma una sorta di raffineria psichica, che pompava fluidi alchemici attraverso il corpo sotto ordine dell'anima.

Nel 1567, facendo in riferimento alle usanze mediche introdotte dal medico greco Galeno di Pergamo centinaia di anni prima, lo scienziato francese Jean Fernel sosteneva che il corpo fosse infuso da tre "spiriti": "spiriti naturali" che provenivano dal fegato e che erano trasformati nella fornace del cuore in "spiriti vitali", che erano poi distillati in "spiriti animali" dal cervello—nello specifico, dentro l'intricata matassa di cellule nervose nota come plesso coroideo, che ora sappiamo essere fonte di fluido cerebrospinale.

Pubblicità

Questi spiriti animali erano poi fatti circolare di nuovo nel corpo dall'anima, come "servi e facchini" che portassero gli ordini agli organi inferiori. È un modello favolosamente arcano della presunta relazione tra anima e carne, e, tra le altre cose, costruisce un parallelo estremamente comodo tra l'idea promossa dalla chiesa di un monarca eletto da Dio che giudica e amministra gli organi della società. Come anche altri pensatori del suo tempo, Fernel era attento alle conseguenze che la speculazione scientifica poteva avere sull'ordine sociale.

L'idea di una schiera di fluidi specializzati al servizio dell'anima è rimasta popolare fino al Diciassettesimo secolo. Il filosofo francese René Descartes è stato autore di una delle teorie più controverse su come l'anima determinasse la distribuzione di questi spiriti: asseriva infatti che essa manipolasse il corpo attraverso una ghiandola a forma di pigna, posta al centro del cervello.

In una lettera datata 1640, Descartes giustificava la propria teoria con queste parole: "non posso trovare alcuna parte del cervello, eccezion fatta per questa [ghiandola], che non sia doppia. Poiché vediamo solo una cosa pur avendo due occhi, e sentiamo solo una voce pur avendo due orecchie, e—in generale—non abbiamo più di un pensiero alla volta, non può che essere che le cose percepite con due occhi o due orecchie e via dicendo diventino una sola in qualche parte del corpo, prima di essere considerate dall'anima."

Pubblicità

La ghiandola pineale, suggeriva il filosofo, aveva questo scopo proprio perché si trovava in una posizione centrale, sospesa nei fluidi vorticanti del cervello "come un palloncino intrappolato su una fiamma." Serviva sia come recettore degli stimoli sensoriali che come forza motrice delle azioni corporee. Passando attraverso i canali nervosi, gli spiriti animali tracciavano dei segni sulla superficie della ghiandola—proponeva sempre Descartes—, generando di conseguenza l'esperienza del calore, del dolore e via dicendo. L'anima poteva poi muovere la ghiandola pineale come un timone per modificare il flusso e inviare gli spiriti attraverso il sistema nervoso fino agli altri organi del corpo.

Le teorie di Descartes erano note a tanti, ma considerate controverse—secondo alcuni, per esempio, poiché la ghiandola pineale era presente anche nei cervelli di cani, gatti e altri animali, non poteva essere il recipiente dell'anima umana immortale. nel 1713, l'anatomista italiano Giovanni Maria Lancisi suggerì una teoria alternativa nella sua Dissertatio Physiognomica: l'anima doveva trovarsi da qualche parte nel corpo calloso, una grassa fetta di fibre di materia bianca che connette i due emisferi cerebrali.

Gli spiriti, spiegava Lancisi, fluivano lungo alcune di queste fibre fino alla parte frontale e a quella posteriore del cervello, collegando anima e coscienza al resto del corpo. Questa teoria è stata smontata del tutto quando è stato dimostrato che il corpo calloso poteva essere tagliato—separando i due emisferi cerebrali—senza privare un paziente della propria coscienza.

Pubblicità

Come raccontano Marco Catani e Stefano Sandrone nel libro Brain Renaissance, nel Diciottesimo secolo gli scienziati avevano già iniziato ad abbandonare la nozione di un sito specifico per l'anima o la coscienza. Diventava invece sempre più popolare l'ipotesi che la mente fosse un prodotto di una connessione distribuita, e che le sue facoltà fossero divise tra gli organi che collaboravano tra loro.

Come faccia a crearsi una sola impressione cosciente, nonostante i diversi aspetti del processo siano gestiti da parti separate del cervello, rimane un dibattito aperto. Se da un lato l'idea di poter trovare una serie di coordinate fisiche per l'essenza incorporea dell'essere umano è morta da un pezzo, dall'altro i neuroscienziati continuano a ribadire che da qualche parte nel cervello deve esserci un contenitore che unisce i meccanismi da cui prende forma il pensiero cosciente.

"Cercare di osservare la coscienza è come voler guardare il vento."

Secondo il neuroscienziato Joseph Bogen, che è morto nel 2005, il talamo, una struttura composta da ue parti e posta sulla linea mediana del cervello, potrebbe ospitare i neuroni in questione. In un articolo speculativo del 1995, Bogen scriveva che la formazione di piccole lesioni nei nuclei intralaminari del talamo "in genere" comporta il coma. Di contro, è possibile operare o addirittura rimuovere porzioni del cervello, come la corteccia cerebrale, senza che il paziente perda conoscenza.

Bogen teorizzava che i nuclei intralaminari controllassero, tramite il corpo striato, i comandi motori che hanno origine in altri punti del cervello—che è come dire che il loro ruolo è prendere in considerazione un'azione prima che questa sia compiuta—ma non è stato in grado di dimostrare il fenomeno. "Cercare di osservare la coscienza è come voler guardare il vento," ha scritto. "Vediamo solo gli effetti del vento."

Un altro studio, pubblicato nel 2014 da Mohamad Koubeissi della George Washington University a Washington DC, suggerisce che il claustro, uno strato sottile di neuroni attaccato alla parte inferiore della neocorteccia, potrebbe contribuire all'intessitura dei processi che creano l'esperienza cosciente.

Nonostante la tecnologia di imaging abbia fatto passi da gigante negli ultimi decenni, il cervello rimane ancora un organo per lo più malinterpretato, dalla complessità scoraggiante. Secondo i ricercatori della Stanford University School of Medicine, le centinaia di trilioni di connessioni sinaptiche di cui è composto superano di gran lunga il numero di stelle nella nostra galassia. Svelare le origini del pensiero cosciente potrebbe sembrare una missione folle, ma è improbabile che le future generazioni di ricercatori e studiosi decidano di abbandonare l'impresa—ognuna continuerà a esaminare gli errori della precedente nella speranza di scoprire finalmente le funzioni neurologiche che danno vita alla coscienza di sé.

I miei ringraziamenti a Michael Trimble, autore di The Soul in the Brain: The Cerebral Basis of Language, Art, and Belief, per il suo contributo alla mia ricerca.